Rettifica all'articolo “Papa Wojtyla verso la beatificazione”

ROMA, venerdì, 22 maggio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito una dichiarazione del dott. Angelo Zema, direttore responsabile di Romasette.it e del periodico “Totus Tuus”.

In merito all’articolo-intervista “Papa Wojtyla verso la beatificazione” apparso su ZENIT il 21 maggio u.s., in qualità di direttore responsabile del periodico “Totus Tuus”, segnalo alla Vs. attenzione che l’intervista ad Aleksandra Zapotoczny non è mai stata autorizzata. La Zapotoczny, che collabora con la rivista e cura soltanto l’edizione polacca, smentisce di aver rilasciato un’intervista in tal senso.

Quanto ai contenuti diffusi nel testo dell’articolo, ci preme precisare che:

– non è vero che monsignor Oder avrebbe “inventato una rivista sulla quale si pubblica quello che si trova sul sito”, com’è stato scritto, ma il sito riprende semplicemente alcuni, e solo alcuni contenuti, della rivista;

– non è vero che il sito ha il titolo “Totus Tuus”, com’è stato scritto, ma ha l’indirizzo web www.vicariatusurbis.org/Beatificazione;

– non è vero che “la rivista all’inizio era di 4 pagine”. Dal 2006 era di 26 pagine, fino al passaggio a 28 pagine dal 2007 e a 32 nel 2009;

– la rivista è pubblicata in cinque lingue (il portoghese non c’è più);

– Aleksandra Zapotoczny, come detto, non è responsabile del periodico “Totus Tuus”, ma collaboratrice dell’edizione italiana e curatrice dell’edizione polacca;

– l’équipe dei collaboratori del postulatore, per quanto riguarda la rivista “Totus Tuus”, comprende anche Domitia Caramazza e Riccardo Bencetti.

Corrisponde invece al vero, anche se non possono essere considerate come risposte di un’intervista mai autorizzata, il contenuto del racconto delle testimonianze dei devoti e fedeli su Giovanni Paolo II che arrivano alla postulazione.

Grazie per la collaborazione e comprensione. Cordiali saluti.

Bioetica, Fini riapre la polemica: «No a leggi da precetti religiosi»

“Il Parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso”. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, parlando di bioetica durante un incontro sulla Costituzione con studenti di Monopoli. “Il dibattito sulla bioetica – ha aggiunto – è complesso e mi auguro che venga affrontato senza gli eccessi propagandistici che ci sono stati da entrambe le parti perché queste sono questioni nelle quali il dubbio prevale sulle certezze”.

La polemica freddamente riaperta da Fini ha provocato immediate reazioni politiche: “Il Parlamento italiano non ha mai fatto leggi tenendo conto dei precetti religiosi – ha seccamente replicato il leader dell’Udc Pierferdinando Casini – ed il presidente Fini ha detto una cosa ovvia ma nel Parlamento c’è chi fa delle battaglie sui valori e sui principi”. “Per fortuna – ha aggiunto Casini – che in Parlamento c’è ancora qualcuno che fa battaglie su valori e principi che ormai non hanno diritto di cittadinanza in politica”.

Ancora più duro il capogruppo vicario dell’Udc alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, Luca Volontè: “Fini oggi compie il peggiore attacco laicista della storia repubblicana – ha detto in una nota -; la fede cristiana non dovrebbe informare il comportamento e le idee dei deputati? Siamo alla vergognosa e inaccettabile discriminazione dei credenti, come ai tempi dei totalitarismi neri del ‘900″. Volontè accusa Fini di passare “dal politically correct alla discriminazione religiosa. Fini vorrebbe favorire il dibattito e le leggi solo nel caso in cui i credenti non abbiano dato il loro contributo. È un attacco alla libertà e alla dignità della Chiesa. Un attacco indegno e insopportabile – conclude Volontè – in una parola, antidemocratico”.

Reazioni anche da parte del presidente dell’Udc Rocco Buttiglione: “Non si può chiedere al parlamentare credente di mettere da parte la sua fede quando entra nelle aule parlamentari. La fede è la vita, forma una esperienza di vita che ha diritto di entrare nel dialogo politico. Noi non diciamo mai che una cosa è vera perchè lo dice il Papa. Semmai diciamo che il Papa lo dice perchè è vera, e ci impegniamo a dimostrarlo con argomenti ragionevoli, umani, che nascono dalla esperienza della nostra vita. Tutto questo dovrebbe essere escluso dal dibattito politico?”. “Nel dibattito politico – ha aggiunto Buttiglione – ciascuno porta l’esperienza della propria vita, si cerca una sintesi e se necessario si vota. Di che cosa dovrebbe parlare il parlamentare credente – domanda il presidente dell’Udc – se gli vietassero di fare riferimento all’esperienza della sua vita formata dalla fede?”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il vice-presidente della Camera Maurizio Lupi (PdL), che in una nota si dichiara “stupito dalle dichiarazioni del presidente Fini. Non capisco la sua preoccupazione quando parla della necessità di evitare ‘leggi orientate da preconcetti religiosi’, so però che la nostra Carta Costituzionale è il frutto dell’incontro delle grandi tradizioni che hanno fatto la storia del Paese”. “E so . prosegue Lupi – che tra queste, la tradizione cristiana, ispirata alla dottrina sociale della Chiesa, ha giocato un ruolo di primo piano. Se il Presidente Fini pensa che certi valori rappresentino dei ‘preconcetti religiosi’ sbaglia e si pone su un piano di scontro ideologico molto lontano dalla laicità positiva da lui stesso evocata. Non ho mai visto un uomo fare politica – conclude – se non partendo da una base valoriale. E credo che ognuno di noi, rispettando chi la pensa diversamente, abbia il diritto e il dovere di difendere ciò in cui crede. Sempre”.
Sostegno alle parole di Fini sono venute invece da Benedetto Della Vedova, esponente dell’area radicale del PdL, e da Massimo Donadi, capogruppo IdV alla Camera.

da Avvenire

L’intimo rapporto fra Antico e Nuovo Testamento nella liturgia cristiana

Rubrica di teologia liturgica a cura di Don Mauro Gagliardi

ROMA, mercoledì, 13 maggio 2009 (ZENIT.org).- Nel suo articolo, originariamente scritto in inglese, padre Paul Gunter, osb, Professore presso il Pontificio Istituto Liturgico di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, presenta il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento nella liturgia cristiana. Consigliamo ai lettori di operare una lettura attenta, frase per frase, di questo contributo, sintetico nell’estensione, ma denso per contenuti e ricco di spunti utili ad ulteriori approfondimenti (Mauro Gagliardi).

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di padre Paul Gunter, osb

La vita di Gesù Cristo era definita ed ordinata dalla preghiera pubblica e privata. Gesù conosceva la liturgia della sinagoga, e il suo costante desiderio di compiere la volontà del Padre era sostenuto dalla liturgia di Israele, mentre la Torah coordinava i sacrifici prescritti per il culto di Dio. Il percorso storico del culto di Israele ci proietta dall’Antico Testamento verso il Nuovo Testamento, mentre la storia della salvezza trova la sua unità nella Croce e nella Resurrezione di Gesù [1]. Senza tenere conto dello stretto rapporto fra l’Antico e il Nuovo Testamento sarebbe impossibile comprendere il dono e il significato della liturgia cristiana.

Nel contesto di queste fondamentali connessioni non si deve dimenticare che le pratiche ebraiche si sono evolute nel corso della storia, soprattutto dopo la distruzione del Tempio, similmente a come si sarebbe poi sviluppata la stessa liturgia cristiana, in contesti diversi, attraverso i secoli. Molti studiosi sostengono che la liturgia della sinagoga è mutata quando i riti che in precedenza si svolgevano nel Tempio furono trasferiti alle sinagoghe. Nel ricercare parallelismi tra cristiani ed ebrei, si potrebbe talvolta anche riconoscere che essi facevano cose opposte gli uni dagli altri, allo scopo di distinguersi. Gli influssi sul Cristianesimo sembrano essere provenuti anche da movimenti giudaici del primo secolo, spesso nascosti alla comparazione a causa della distruzione del Tempio, piuttosto che necessariamente e con la stessa ampiezza da parte di tradizioni rabbiniche, che solo più tardi sarebbero state accettate come Giudaismo ortodosso [2].

L’esortazione di San Paolo a pregare incessantemente (1 Ts 5,17) trae ispirazione dai vari momenti di preghiera quotidiana nella liturgia di Israele. Il Deuteronomio, ai versetti 6,7 e 11,19, richiede la recita del Shma Israel [Ascolta Israele] ogni mattina e ogni sera. Daniele 6,10 aggiunge altri tre momenti di preghiera da svolgere durante la giornata. Le cinque diverse ore della Liturgia ebraica delle ore ruotano attorno alle preghiere della mattina e della sera. Si ritiene che la Pentecoste sia iniziata al mattino, quando i discepoli erano riuniti in preghiera (Atti 2,15). Pietro si trovava in preghiera a mezzogiorno quando ebbe la visione presso Giaffa (Atti 10,9). Pietro e Giovanni entrarono nel Tempio per la preghiera quotidiana all’ora nona (Atti 3,1). I salmi dell’Hallel, 148-150, caratterizzano le lodi cristiane. Il salmo 141 dà ai vespri un’enfasi sacrificale. La liturgia domestica della luce al Sabato, nel contesto del sacrificio di lode, ha influenzato molti inni e preghiere cristiani che hanno trasferito quella luce a Cristo. La Didachè prescriveva la recita del Padre Nostro tre volte al giorno, al posto della preghiera ebraica delle Diciotto benedizioni [3].

Oltre alla Liturgia delle ore, la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme incentrava la sua vita sull’Eucaristia. Nonostante ciò, la comunità prendeva parte anche alle funzioni del Tempio e della sinagoga, considerando che il culto era indirizzato al Padre di Gesù Cristo, che poteva essere lodato attraverso il Figlio. La prima liturgia dei cristiani specificamente ‘cristiana’ era ancora strutturalmente semplice e i primi cristiani appagavano il loro desiderio di solennità liturgica nelle funzioni presso il Tempio.

Le primitive celebrazioni eucaristiche avvenivano nell’ambito di un pasto comune, al cui inizio il capofamiglia aveva spezzato il pane. Nella tradizione ebraica, il significato religioso del pasto era espresso sia nel Kiddush iniziale sia nella Berakah finale, in cui si recitavano tre preghiere di benedizione sul calice d’argento della benedizione: ringraziamento per il pasto che era condiviso, lode per la Terra Promessa, e preghiere per Gerusalemme. Il racconto del calice e della frazione e distribuzione del pane, in Lc 22,17, si pone in linea con la tradizione del Kiddush che iniziava il pasto. Le parole pronunciate sul calice “dopo la cena” (Lc 22,20) si riferiscono al calice della benedizione dopo il pasto [4]. L’Ultima Cena di Gesù, del tutto lontana da qualunque dimensione di fraternità, si pone nel solco della tradizione dei pasti festivi ebraici con i relativi rituali rivolti all’Alleanza con il Dio di Israele. La novità dell’Ultima Cena sta nella nuova ed eterna alleanza istituita nel sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo. Dopo l’Ascensione la comunità degli apostoli spezzava il pane tutti insieme “a casa” (Atti 2,46) e frequentava insieme il tempio.

Alle origini della storia cultuale, la Genesi descriveva l’ingiunzione ad Abramo di sacrificare il suo unico Figlio e discendente in vista di una terra promessa. Il sacrificio offerto consistette in un agnello, sacrificio rappresentativo dato da Dio ad Abramo e che Abramo offrì debitamente. Nella stessa scia, noi offriamo il sacrificio come descritto nel Canone Romano ‘de tuis donis ac datis’. Qui l’agnello viene da Dio non in sostituzione, ma come vero rappresentante [5], come l’Agnus Dei, nel quale noi siamo condotti a Dio. Nell’Esodo, capitolo 12, all’istituzione della liturgia della Pasqua, l’agnello del riscatto è il primogenito, di cui poi si dirà che è “il primogenito della creazione” (Col 1,15).

Accanto al sistema sacrificale dell’Antico Testamento vi è anche la profezia. Osea 6,6 auspica l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti. Gesù dice semplicemente: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13). La ragione della limitazione nel culto del tempio è indicata nel Salmo 50: “Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri?”. In Atti 7, Stefano risponde all’accusa di aver detto che Gesù avrebbe distrutto il Tempio e sovvertito i costumi tramandati da Mosé (Atti 6,14). Egli afferma che Mosé aveva costruito la tenda dell’incontro secondo il modello che aveva visto sulla montagna, cosa che dimostra che il tempio terreno era solo il riflesso di un qualcosa che rimanda ad altro da sé. Stefano cita la profezia messianica del Deuteronomio 18,15: “Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me”. Nella stessa maniera in cui Mosé costruì il tabernacolo [guardando oltre], così il culto, l’insegnamento morale e i successivi profeti si sarebbero mossi verso il Nuovo Mosé. Stefano afferma che il Profeta definitivo avrebbe condotto il popolo al compimento di queste profezie sulla Croce [6] dove la distruzione del corpo terreno di Gesù coincide con la fine del Tempio in Gv 2,19: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Ma mentre non è Gesù che ha demolito il Tempio, il nuovo Tempio inizia nel corpo vivente di Gesù, dalla Resurrezione. Nella Messa, il Cristo vivente comunica se stesso a noi e ci attira verso il Dio dell’Alleanza come punto di incontro a cui arriva tutto ciò che parte dall’antica Alleanza e dall’intera storia religiosa dell’uomo, per la potenza della Croce e della Resurrezione di Gesù.

Sebbene la liturgia della fede cristiana debba molto del suo sviluppo al culto della sinagoga, quest’ultima era sempre ordinata al Tempio, anche dopo la distruzione di esso. Il culto della sinagoga aspettava la restaurazione del Tempio. Nel culto cristiano, invece, il posto del Tempio di Gerusalemme è stato preso dal Tempio universale del Cristo risorto che attrae l’umanità nell’eterno amore della Trinità, attraverso l’Eucaristia che è il Sacrificio della Nuova Alleanza. Sia la sinagoga che il Tempio sono entrati nella liturgia cristiana [7]. La progressione dall’Antico Testamento verso il Nuovo, la ricerca umana e il dialogo fra Dio e l’uomo nella preghiera si fondono nella liturgia cristiana che ci presenta il Redentore mentre ci insegna a desiderare la nostra dimora eterna in Dio.

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1) RATZINGER J., The Spirit of the Liturgy, Ignatius Press, San Francisco 1999, 37.

2) LEVINE L.I., The Ancient Synagogue: The First Thousand Years, Yale University Press 1999, 134-159.

3) KUNZLER M., The Church’s Liturgy, Continuum, New York, 2001, 333.

4) KUNZLER M., The Church’s Liturgy, 177.

5) RATZINGER J., The Spirit of the Liturgy, 38.

6) RATZINGER J., The Spirit of the Liturgy, 40-42.

7) RATZINGER J., The Spirit of the Liturgy, 49.

La Santa Sede denuncia la nuova corsa agli armamenti nucleari

Chiede all’ONU l’applicazione del Trattato sulla Non Proliferazione

NEW YORK, mercoledì, 6 maggio 2009 (ZENIT.org).- La Santa Sede ha denunciato la nuova corsa agli armamenti nucleari che sta avendo luogo e ha chiesto l’applicazione del Trattato sulla Non Proliferazione delle Armi Nucleari (Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons, NPT).

Portavoce della posizione vaticana è stato l’Arcivescovo Celestino Migliore, intervenendo questo martedì nel quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, di fronte alla terza sessione del Comitato Preparatorio per la Conferenza di Revisione delle Parti del Trattato sulla Non Proliferazione delle Armi Nucleari del 2010.

Dopo quarant’anni di esistenza “e il suo buon servizio alla comunità internazionale”, ha spiegato il presule, “il Trattato sulla Non Proliferazione delle Armi Nucleari rimane una pietra miliare del disarmo nucleare e dei regimi di non proliferazione e uno strumento chiave per cercare di rafforzare la sicurezza e la pace a livello internazionale”.

“La Santa Sede ribadisce il suo forte e continuo sostegno al NPT e chiede un’adesione piena e universale ad esso e la sua applicazione”.

“Purtroppo notiamo che nel mondo restano oggi più di 26.000 testate nucleari e alcune Nazioni stanno ancora lottando per entrare nel ‘club nucleare’, nonostante i doveri legalmente vincolanti del Trattato nei settori del disarmo e della non proliferazione”, ha denunciato l’Arcivescovo.

“Alla luce di questo, la validità e la rilevanza del Trattato restano un appello urgente a tutti gli Stati ad unire i loro sforzi per raggiungere un mondo libero dalle armi nucleari”, ha osservato.

La Santa Sede ha quindi chiesto misure “per promuovere fiducia, trasparenza e cooperazione tra Nazioni e regioni”.

“Le zone libere da armi nucleari restano l’esempio migliore di questa fiducia, e affermano che la pace e la sicurezza sono possibili senza possedere armi nucleari”.

Per questa ragione, la Santa Sede esorta tutti gli Stati che possiedono armi nucleari “ad assumere un coraggioso ruolo di leadership e la responsabilità politica di salvaguardare l’integrità del NPT e di creare un clima di fiducia, trasparenza e vera cooperazione, in vista di una concreta realizzazione di una cultura della vita e della pace”.

“Nello sforzo di porre le priorità e le gerarchie di valori al loro giusto posto, bisogna compiere un maggiore sforzo comune per mobilitare le risorse verso uno sviluppo etico, culturale ed economico così che l’umanità possa voltare le spalle alla corsa agli armamenti”.

La croce dei giovani rinnova il mondo

Parla il responsabile della Sezione Giovani del dicastero per i Laici

di Mercedes de la Torre

ROMA, domenica, 26 aprile 2009 (ZENIT.org).- Sono passati 25 anni da quando, alla chiusura dell’Anno Santo, Papa Giovanni Paolo II affidò una croce di legno ai giovani del mondo con queste parole: “Portatela nel mondo come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”.

La croce, che da allora ha visitato ogni angolo del pianeta, continua ad essere fonte di speranza e di rinnovamento per un mondo assetato.

Ne è convinto il nuovo responsabile della Sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici, padre Eric Jacquinet, che mercoledì scorso ha celebrato una Messa al Centro San Lorenzo di Roma in ricordo della consegna della croce della Giornata Mondiale della Gioventù.

“Può sembrare molto strano – ha spiegato il sacerdote francese a ZENIT – che due pezzi di legno incrociati posseggano una forza così grande, ma tutti coloro che hanno dato la propria fede e la propria fiducia a Gesù hanno ricevuto una grazia di consolazione e di pace”.

“Abbiamo ricevuto testimonianze di guarigioni, pace, consolazione, di salvezza e di vita, perché questa croce non è solo un segno esteriore: è il segno del dono che il Signore vuole dare a ciascuno di noi, nel nostro cuore”, ha aggiunto.

“Ecco perché vogliamo rispondere all’appello di Giovanni Paolo II, che ci ha chiesto di portare questa croce al mondo”.

“Sappiamo che è un mezzo molto semplice per andare al cuore della fede – ha sottolineato -, vale a dire all’amore di Dio che ha dato la vita di suo Figlio, e vogliamo questo dono per il mondo, perché il mondo ha bisogno di ricevere questa speranza, questa vita nuova”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

Novena alla Divina Misericordia – V giorno

Quinto giorno (Martedì in Albis)

Meditare sulle parabole del buon Pastore e dei pastori infedeli (cfr. Gv. 10,11-16; Ez 34,4.16), mettendo in risalto la responsabilità che tutti abbiamo verso il prossimo vicino e lontano; in più soffermarsi a considerare attentamente gli episodi del rinnegamento e della conversione di S. Pietro (cfr. Mt 26,6975; Lc 22,31-32), dell’adultera (cfr. Gv 8,111) e della peccatrice (cfr. Lc 7,30-50).

Parole di nostro Signore: “Oggi portami le anime dei fratelli separati, immergile nell’oceano della mia Misericordia. Sono quelle che nella mia amara agonia laceravano il mio Corpo ed il mio Cuore, cioè la Chiesa. Quando si riconcilieranno con la mia Chiesa, si rimargineranno le mie ferite e avrò sollievo nella mia Passione”.

Preghiamo per quelli che s’ingannano nella fede

Misericordiosissimo Gesù, che sei la Bontà stessa e non rifiuti mai la tua luce a chi la chiede, accogli nella dimora del tuo Cuore pietoso le anime dei nostri fratelli separati. Attirale con il tuo splendore all’unità della Chiesa e non permettere che ne escano mai più, ma adorino anch’esse la generosità della tua Misericordia.

Pater… Ave… Gloria…

Eterno Padre, dà uno sguardo compassionevole alle anime degli eretici e degli apostati che, perseverando ostinatamente nei loro errori, hanno sprecato i tuoi doni ed abusato della tua grazia. Non guardare la loro cattiveria, ma l’amore di tuo Figlio e i dolori della Passione che Egli accettò per loro. Fa’ si che ritrovino al più presto l’unità e che, insieme a noi, esaltino la tua Misericordia. Amen.

Segue coroncina alla Divina Misericordia

Si recita con la corona del Rosario.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

Padre Nostro, Ave Maria, Credo.

Sui grani del Padre Nostro si dice:

Eterno Padre, io Ti offro il Corpo e il Sangue, l’Anima e la Divinità del Tuo dilettissimo Figlio, Nostro Signore Gesù Cristo, in espiazione dei nostri peccati e di quelli del mondo intero.

Sui grani dell’Ave Maria si dice:

Per la Sua dolorosa Passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero.

Alla fine si dice tre volte:

Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi e del mondo intero.

si termina con l’invocazione

O Sangue e Acqua ,che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di misericordia per noi,confido in Te

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.