Riabilitare Daniélou

di Filippo Rizzi da Avvenire
Fu veramente scandalosa la morte del cardinale Jean Daniélou (1905-1974) o vi fu, in quel drammatico e apparentemente «scabroso» decesso, una traccia evangelica, capace di scalfire un certo conformismo borghese e benpensante? È l’interrogativo portante su cui si snoda la riflessione del giornalista e scrittore Paolo Giuntella, scomparso più di un anno fa a causa di una lunga malattia, nel libro uscito postumo La fedeltà, trasgressione e follia per il mondo (Il Margine, pp. 126, euro 9,50).

Giuntella torna in queste dense pagine alla morte improvvisa del teologo gesuita francese, e scrive: «Daniélou cardinale e accademico di Francia, in visita alla Maddalena, è stato stroncato dallo Spirito Santo in condizioni esteriori di apparente ambiguità (e invece interiori di santità e carità) perché perdesse la sua vita, al prezzo della sua onorabilità, e acquistasse uno spicchio di cielo per tutti noi, costringendoci a gettare nel mondezzaio il nostro stupido moralismo».

In effetti Jean Daniélou, insigne studioso delle origini del cristianesimo e perito al Concilio Vaticano II, morì il 20 maggio 1974, a 69 anni, sulla soglia dell’appartamento parigino di una donna di dubbia reputazione. Quella morte apparentemente obbrobriosa per un principe della Chiesa e membro dell’Académie française avvenuta a causa di un collasso sull’uscio dell’appartamento dell’avvenente Madame Santoni, detta Mimi, per anni soubrette di un cabaret, fornì soprattutto alla stampa scandalistica d’Oltralpe – capitanata dal settimanale d’assalto Le Canard enchainé – abbondanti motivi per creare una fitta e ambigua rete di insinuazioni e di ombre, mai realmente provate, su uno dei teologi più grandi del Novecento e uno dei più stimati da Paolo VI, che lo creò non a caso cardinale nel 1969.

Una rete di insinuazioni che trovò qualche sponda persino nella Compagnia di Gesù, mentre la difesa della Conferenza episcopale francese (ma anche di autorevoli quotidiani come La Croix e Le Figaro) fu compatta. Dopo la lunga ondata di dicerie sulla «morte umiliata» del cardinale francese si riuscì ad appurare, a mente fredda, una verità molto più semplice, ma proprio per questo difficile e scomoda da accettare da parte di una certa cultura benpensante: molto tempo dell’apostolato del padre Daniélou era speso per aiutare (anche economicamente) e redimere le persone più lontane dalla Chiesa, soprattutto nella pratica dei sacramenti: dalle prostitute agli artisti, dai malati psichici agli omosessuali, in ultimo coloro che vengono bollati come i reietti della società. Fu la stessa signora Santoni a confermare ai media francesi la completa innocenza di quel rapporto con il grande intellettuale francese.

A suffragio di questo stile, da cattolico «irregolare», per molti versi simile al suo confratello Michel de Certeau, fanno ancora oggi vivida testimonianza le riflessioni dello stesso Daniélou racchiuse nel bellissimo saggio, una sorta di testamento, Le memorie, uscito postumo (in Italia nel 1975 per la Sei), in cui egli spiega il senso di un apostolato «anticonformista» e «non clericale» destinato ai lontani. Di grande interesse sono anche le confidenze consegnate al grande amico, l’orientalista e teologo Louis Massignon, sul suo costante servizio nei quartieri dimenticati di Parigi per i «fratelli perduti». Ma a spiegare lo stile di vita evangelico fuori dal comune del gesuita Daniélou parlano ancora oggi le sue note del 1938, racchiuse nei Diari spirituali (editi da Piemme nel 1998), in cui egli a causa di Cristo si sente pronto ad «accettare di essere disonorato, anche agli occhi di coloro che amo, se Egli lo permette».

Il 20 maggio di 36 anni dopo il suo amico e successore all’Académie française, il domenicano Ambroise-Marie Robert Carré, facendo riferimento a quella nota dei suoi Diari, affermò non a caso: «Moriva in condizioni che odiose calunnie sfruttarono. Il suo voto eroico era esaudito». Una ricostruzione sullo stile di redenzione dell’apostolato di questo gesuita sui generis lo si trova, in una chiave ovviamente letteraria, nel bel romanzo scritto nel 1998 da Angelo Lodi La Ragazza e il cardinale (Edizioni Leoni, pp. 108).

Il libro di Lodi, per molti versi simile alle conclusioni a cui arriva Giuntella, intravede nell’incontro tra il porporato e la ragazza la rivelazione di qualcosa di nuovo: misericordia per lui e redenzione per lei. Ma in quel lontano lunedì del 1974 fu soprattutto numerosa la schiera di persone che difese l’onorabilità di Daniélou, tra queste, il giovane frate domenicano e poi divenuto maestro generale del suo Ordine, Timothy Radcliffe, i cardinali Gabriel-Marie Garrone e Charles Journet, e soprattutto il compagno di studi di una vita, il gesuita e poi cardinale Henri de Lubac.

La testimonianza di quest’ultimo si evince da un libro, Memoria intorno alle mie opere (Jaca Book, 1992), in cui egli dedica un passaggio all’amato confratello. L’anziano gesuita racconta la grande austerità e morigeratezza «priva di qualsiasi fariseismo» in cui il cardinale Daniélou viveva a Parigi, «senza un’automobile né una segretaria». Ma nella sua requisitoria il padre De Lubac si sofferma soprattutto sulla solitudine di Daniélou e sulla «campagna diffamatrice da parte dei confratelli» simili a «una muta feroce»: «Egli rimase sorridente, servizievole fraterno. In lui non ci fu amarezza e rancore. In questo fu soprattutto evangelico. Proprio per questo l’ho amato di più». A riconoscere la grande autorevolezza di studioso e di teologo è stato recentemente Benedetto XVI, che conobbe da vicino il teologo francese durante le sessioni del concilio Vaticano II.

Papa Ratzinger lo ha citato per ben due volte nel suo libro Gesù di Nazaret e ne ha ricordato la grandezza di «eminente studioso dei Padri» durante la catechesi dedicata ad Eusebio di Cesarea il 13 giugno 2007. Un riconoscimento che trova conferma nell’attualità del suo pensiero. Infatti, pur a molti anni dalla loro prima apparizione in francese, vengono ora ripubblicati due saggi che fecero epoca come Dio e noi (Rizzoli, pp. 224, euro 9,20, ) e La Risurrezione (Cantagalli, pp.134, euro 10,90) e presto sarà in libreria per le Dehoniane di Bologna anche un altro testo molto in voga negli anni Settanta, Messaggio evangelico e cultura ellenistica.

Tra coloro che non si sono mai arresi nella difesa della memoria del cardinale francese, grazie anche ai loro ricordi, ci sono tuttora allievi di Daniélou come i teologi gesuiti Joseph Paramelle, Michel Sales e in particolare il grande filosofo quasi novantenne, studioso di Maurice Blondel, Xavier Tilliette: «Qualcosa si è spezzato in me all’epoca della morte umiliata del cardinale Daniélou. Fu un episodio penoso – ha dichiarato recentemente Tilliette –. Ero corso al soccorso dell’amico e mi si intimò di tacere. Presunto colpevole, il grande apostolo e scienziato ebbe la reputazione macchiata per molto tempo. Ormai le calunnie sono cessate, ma mi hanno fatto dubitare della Compagnia e del suo spirito fraterno».

Nel ventennale della scomparsa sulla rivista France CatholiqueLouis Henri Parias lo definì amabilmente «divino impaziente», pensando certo anche al triste epilogo da cronaca nera di cui fu vittima inconsapevole. Un destino forse annunciato nell’ultimo articolo di Daniélou sull’Osservatore Romano, apparso poco tempo prima della sua morte: «Quel che chiediamo ai teologi non è di annunciare le loro idee, ma Gesù Cristo».

Auguri di Buon Natale

L’augurio che posso rivolgere a me e tutti voi che quotidianamente seguite questo blog, è, che la Luce, quella vera di Dio fatto uomo in Gesù Cristo, possa illuminare le nostre vite e diradare quelle nubi che spesso si addensano intorno a noi. Tutto passa solo Cristo resta.

Baltazzar

Il Vangelo di domenica. IV del Tempo di Avvento C

di Don Antonello Iapicca
Lc 1,39-45
In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo.
Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”.

IL COMMENTO

Il Signore viene a visitarci. E viene a noi sempre attraverso una carne ben concreta. Il seno purissimo di Maria, tabernacolo della presenza di Dio tra noi. E’ sempre Lei che ci visita, ambasciatrice dell’amore di Dio. E’ Lei che ci dona il Signore, celato nelle Sue castissime viscere. Lei è l’immagine più fedele della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo. Per noi. Da sempre. E oggi. E domani. Per sempre. Dio incarnato, Dio adagiato nel seno d’una donna, Dio disceso alla nostra vita, Dio che visita e impregna le nostre ore. Dio incarnato nelle nostre carni incamminate nella storia. Maria è lo specchio fedele di quel che accade ogni giorno nelle nostre povere vite. In noi è già seminato il miracolo d’una vita celeste, come lo fu Giovanni per Elisabetta. Proprio ora è vivo in noi qualcosa che le nostre forze, le nostre opere, i nostri desideri non hanno avuto il potere di generare. Sterili siamo, come ogni uomo, incapaci di darci vita, e di donarla. Sterili per accogliere la Grazia. Come Elisabetta intuiamo ma abbiamo bisogno d’una visita perchè il miracolo di Grazia si schiuda in un canto di lode. Viviamo l’amore di Dio dentro di noi, ne sentiamo spesso tutta la portata soprannaturale, proprio come una donna incinta vive ogni cosa in modo particolare, come afferrata da una presenza interna, misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge. Con Elisabetta abbiamo bisogno di Maria. E Maria è la Chiesa, il Suo saluto che risuona nel profondo è l’annuncio che il nostro cuore attende senza posa. La Parola capace di sciogliere in noi quel che, da sempre, la Grazia ha seminato. La Parola che muove in noi la Vita in un sussulto di gioia. E’ il Natale, l’annuncio che desta la gioia: Dio s’è fatto carne nella nostra carne, proprio nelle vicende che ci visitano per coinvolgerci, la storia nostra di ogni giorno. Maria, il mistero della nostra vita racchiuso nella dolcissima fanciulla di Nazaret. Nella storia l’eco dell’annuncio della Chiesa. E come è vero che fuori della Chiesa non v’è salvezza, perchè in ogni istante della storia che scorre dentro ogni angolo della terra risuona la Parola, unica, di salvezza, Cristo Gesù, nascosto nel seno verginale di Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra. La Chiesa, con la sua voce, abbraccia l’universo in attesa della salvezza. La storia è il tabernacolo del Figlio incarnato. Da quel giorno a Nazaret quando Dio ha deposto il Suo seme nel seno di Maria, nulla è più lo stesso. Tutta la storia, passata, presente e futura è stata inondata d’una Grazia nuova, e tutte le cose son state rinnovate, e il Signore, l’Emmanuele, ha preso dimora in ogni istante del tempo. Tutto di noi dunque, miracolosamente, è stato santificato, salvato, redento. Il mistero nascosto agli angeli è stato svelato, l’uomo è salvo. La vita non è più una corsa verso la morte. Il Cielo s’è dischiuso dinnanzi ad ogni uomo. Ogni esistenza, anche quella che appare più distrutta dal peccato, anche quella che odora di morte, tutte sono pronte ormai per essere salvate. Un annuncio, una parola, la visita di Maria e quel che era perduto sarà riscattato. I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo. I passi degli eventi stessi che abbracciano ogni uomo in un saluto di Pace sono nient’altro che la rivelazione del progetto di Dio. “Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il SIGNORE: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza” (Ger. 29,11). Shalom! Il saluto di Maria che sveglia la gioia nel seno di Elisabetta. Pace! Il saluto di Maria che ridesta la gioia che abbiamo dimenticato tra le tristezze di ciò che ormai pensiamo come perso irrimediabilmente. La gioia della risurrezione di tutto quello che in noi era morto. La risurrezione della speranza. La storia nostra di oggi, e di ogni giorno, ci arriva al cuore attraverso il saluto di Maria. E tutto si illumina, il passato ci ha preparato a questo incontro, ed è questo quello che davvero conta. Anche le debolezze, anche i peccati brillano d’una luce nuova nell’ascoltare la voce di Maria. La stessa del Figlio risorto: Pace a voi! Si, la nostra carne, la nostra storia sono la dimora di Dio, il Cielo sulla terra perchè tutto quello che di noi appatrtiene alla terra giunga, un giorno, in Cielo. Salvi, santi, Suoi. Di Gesù, come Maria, con Maria.

Edith Stein una martire per due popoli

Pagine ebraiche” – il mensile dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretto da Guido Vitale – pubblica sul numero di dicembre un articolo, qui anticipato, che replica a un intervento uscito sul primo numero.

di Lucetta Scaraffia

Uno dei punti basilari della Dichiarazione dei diritti votata dall’Onu nel 1948 prevedeva il diritto di “avere o cambiare religione” poi trasformato nel 1966, per pressione in gran parte islamica, in quella ad “avere o adottare una religione” e poi, definitivamente, nel 1981, nel diritto ad “avere una religione”. La filosofa Donatella Di Cesare, nel suo articolo su Edith Stein pubblicato sul primo numero di “Pagine Ebraiche” – ma perché un giornale così interessante doveva iniziare con una caduta del genere? – sembra condividere proprio questo tipo di ostilità verso le conversioni. Tanto da scrivere che Edith Stein, “alla disperata ricerca di un’assimilazione negata, si era messa a scrivere di mistica, diventando cattolica, tomista e perfino carmelitana”.
E prosegue definendo la conversione “fuga assurda” e il suo essere carmelitana “una sorta di festa in costume” con le parole di Günther Anders, che parafrasa, ma omettendo però di scrivere che lo stesso filosofo nemmeno si sognò di mettere in dubbio “la bona fides, se non l’optima fides, di Edith Stein”, ben diversa ai suoi occhi dalla conversione per convenienza del comune maestro Husserl.

Insistere sul fatto che la conversione della Stein e la sua scelta di farsi religiosa carmelitana avvennero alla fine di un percorso consapevole e intenso anche dal punto di vista intellettuale è talmente noto da essere inutile. Le parole con cui Di Cesare bolla la filosofa facendosi scudo con citazioni estrapolate da Anders – che non può essere considerato l’unico veridico testimone e interprete solo per il fatto di essere nato anche lui a Breslavia e di averla conosciuta in gioventù – sono dunque sintomo non solo di disinvolta approssimazione, ma di un forte pregiudizio nei confronti delle conversioni dall’ebraismo, in questo caso poi particolarmente infondato.
Ma se a Edith Stein viene negato il diritto di scegliere la sua vita e la sua religione, Di Cesare attribuisce alla Chiesa cattolica colpe e poteri che storicamente non hanno fondamento:  sui silenzi di Pio xii il dibattito può essere considerato ancora aperto, malgrado una sempre più estesa documentazione – prodotta non solo da parte cattolica – che ha smontato questa interpretazione, ma dal punto di vista storico è assurda la dichiarazione che “quella ebrea”, cioè la Stein, “forse  non  sarebbe stata ridotta al silenzio se la Chiesa non avesse taciuto”.
Di Cesare infatti sembra ignorare che della recrudescenza antisemita in Olanda – che portò alla deportazione della religiosa e di sua sorella, anch’essa convertita e ospitata nello stesso monastero – una delle principali cause fu notoriamente proprio la severa presa di posizione pubblica del clero cattolico olandese contro la persecuzione nazista degli ebrei. Per questo Edith Stein può essere considerata al tempo stesso martire ebrea e cristiana, come del resto lei ha sempre voluto essere, fedele al suo popolo anche nella conversione e nella vita religiosa.
E proprio per questo si dovrebbe ritenere la Stein appartenente a entrambi i popoli, in misura di quanto essi hanno intenzione di avvicinarsi al suo insegnamento e ai suoi scritti. E solo l’ignoranza dei fatti, oppure un pregiudizio non scalfibile, può spiegare l’uso di un’altra citazione di Anders, e cioè che il Vaticano si occupa tanto della Stein “solo perché sente l’urgenza di procurarsi un alibi”. Chi ha promosso e sostenuto la pensatrice è stato Giovanni Paolo II, Papa filosofo vicino alla fenomenologia di Husserl e della stessa Stein, che vedeva nel pensiero e nell’esempio femminile della filosofa carmelitana  un modello per la Chiesa moderna.
Si è trattato, in sostanza, di una scelta femminista e culturale, come prova, del resto, l’ingente bibliografia sulle opere filosofiche e mistiche dell’intellettuale. La morte nel campo di sterminio è stata decisiva per dichiararla martire, e quindi rendere più rapido un percorso di canonizzazione altrimenti destinato a essere molto più lungo – chi chiede miracoli a una filosofa? – e per questo fortemente sostenuto da un Papa che voleva portarla al centro dell’interesse della cultura contemporanea, non solo cattolica.

(©L’Osservatore Romano – 3 dicembre 2009)

Il Vangelo di domenica. II del Tempo di Avvento C

di Don Antonello Iapicca

Lc 3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

IL COMMENTO

La Parola di Dio scende nel deserto. La storia incede attraverso i capi delle nazioni, e le coordinate spazio-temporali sono quelle delineate dall’incipit del Vangelo di questa domenica. I grandi governano, ma la Parola di Dio sembra non curarsene, e scende nei bassifondi della storia, lontana dagli abbagli di chi crede di orientare gli eventi con la sua sola forza e intelligenza. La Parola plana nel deserto, nel luogo meno probabile secondo la sapienza della carne.

Ma Israele ne aveva già fatto esperienza. La Parola è scesa su Mosè nel Deserto mentre sfuggiva alle guardie egiziane, ed era la risposta al grido di afflizione del Popolo. La Parola scende come lingue di fuoco e si fa Alleanza nel deserto, sul Monte Sinai, e sarà alleanza eterna, una proessa che nulla avrebbe mai potuto cancellare. Nel deserto Dio ha parlato la suo Popolo, rincorrendo le sue mormorazioni e i suoi indurimenti. Perchè il deserto è la verità sull’uomo, è la storia, e la storia, anche quando sembra innalzarsi superba, resta bene inchiodata ai suoi bassifondi.
Con il peccato Adamo ed Eva si sono infilati nella storia dalla porta della morte, della solitudine, dell’angoscia. Basta rileggersi il capitolo 3 della Genesi per rendersene conto, le Parole di Dio sono inequivocabili; esse dicono del dolore e del sudore, del dominio e della lotta, di una storia che si fa deserto per l’invidia del diavolo, di cui ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.
“Vi sono tante forme di deserto. Vi e’ il deserto della poverta’, il deserto della fame e della sete, vi e’ il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi e’ il deserto dell’oscurita’ di Dio, dello svuotamento delle anime senza piu’ coscienza della dignita’ e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perche’ i deserti interiori sono diventati cosi’ ampi”. Così parlava Benedetto XVI iniziando il suo ministero petrino, illuminando la nostra condizione. Per questo la Parola scende su Giovanni Battista, il profeta che indicherà la Salvezza, proprio nel deserto, sulle rive del Giordano, laddove la superficie della terra scende al suo punto più basso. La Parola si fa profezia nelle parole di Giovanni per farsi carne in Colui che annunciava. La Parola profetica e la Parola incarnata scendono entrambi alla fine del mondo, all’ultimo gradino compiuto dall’uomo, all’estremo deserto della sua anima. La Parola percorre, inaugurandolo, un catecumenato sino alle voragini della morte e del peccato, alla stessa schiavitù che strozza le nostre vite. In ebraico, per la durissima esperienza fatta dal Popolo d’Israele, la parola Egitto è arrivata ad essere sinonimo di deserto.
E’ qui che scende anche oggi la Parola di Dio. All’Egitto nel quale viviamo schiavi obbligati dagli inganni del demonio a raccogliere terra e a far mattoni, affamati e stanchi. Ogni giorno a cercar di cucire rapporti umani sempre più sfilacciati, a renderci presentabili e rispettabili, a tentar di avere quel po’ di successo che dia sapore alle nostre ore; e denaro, riposo, i figli, il matrimonio, il condominio, il lavoro, mattoni che trasportiamo con angoscia a costruire le piramidi degli altri. E nulla tra le mani, se non questa schiavitù che ci opprime.
La Parola scende e si fa profezia attraverso la Chiesa, i suoi apostoli e gli stessi fratelli, e ci annuncia la Salvezza, la vita nel nostro deserto. E’ la voce di Giovanni che grida oggi nel nostro deserto a risvegliarci alla speranza, a muovere il nostro cuore alla conversione. Essa infatti si realizza nel preparare il cammino del Messia cui ci invita il Battista, il luogo per incontrare il Salvatore. La sua strada, i suoi cammini, così si esprime Giovanni. E qui è nascosto il segreto. La conversione non è principalmente un fare cose, uno sforzarci, un pianificare. Convertirsi in questo Avvento, come in ogni istante della nostra vita, è preparare un cammino nel deserto, aprire in noi uno spazio perchè si faccia strada il Signore. Per questo siamo chiamati ad un battesimo di penitenza, di metanoia, letteralmente cambiare mente, guardare diversamente le cose, noi stessi, la nostra vita. E’ innanzi tutto accettare che la nostra vita è un deserto; e, di conseguenza, raddrizzare i criteri sbilanciati per cui quello che normalmente crediamo sia giusto e vero è ingiusto e falso. Azzerare tutto e attendere, è questo l’Avvento. Spogliarci della menzogna e aspettare la alvezza. Schiudere il cuore con un grido, e lasciare che il Signore faccia in noi il suo cammino di vita e di amore, a colmare e a raddrizzare, a umiliare e a salvare.


APPROFONDIRE

VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN DOMENICO SAVIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

II Domenica di Avvento, 7 dicembre 1997

1. “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (cfr Lc 3, 4.6).

L’eco della predicazione di Giovanni Battista, la “voce . . . che grida nel deserto” (Lc 3, 4; cfr Is 40, 3), giunge fino a noi in questa seconda Domenica di Avvento. Egli, che è il Precursore, colui che ricevette la missione di preparare il popolo eletto alla venuta del Salvatore promesso, continua ancora oggi a invitarci alla conversione, per andare incontro al Signore che viene.

Ci invita, alle soglie ormai del terzo millennio cristiano, a preparare la via del Signore nella nostra vita personale e nel mondo. Disponiamo il nostro cuore, carissimi Fratelli e Sorelle, a celebrare nella festa del prossimo Natale il grande mistero dell’Incarnazione, nella prospettiva del grande Giubileo dell’Anno Duemila, che si avvicina a grandi passi!

2. Nel presentare il Precursore e la sua missione in riferimento alla manifestazione pubblica del Messia, san Luca ha cura di inserire questi fatti nel loro preciso contesto temporale. L’Evangelista, infatti, mostra grande sensibilità storica quando, all’inizio del suo racconto, menziona i principali dati che aiutano a collocare nel tempo i fatti che si accinge a raccontare: il quindicesimo anno dell’imperatore Tiberio, l’amministrazione di Ponzio Pilato in Giudea, la tetrarchia di Erode, Filippo e Lisania ed i sommi sacerdoti Anna e Caifa (cfr Lc 3, 1-2).

In questo modo san Luca àncora la vita ed il ministero di Gesù ad un punto preciso all’interno dello scorrere del tempo e della storia. Il grande avvenimento della manifestazione del Salvatore ha solidi agganci temporali con gli altri fatti dell’epoca. Noi ci volgiamo con grande interesse a quegli eventi, ben sapendo che con essi è collegata la salvezza nostra e del mondo. In particolare, il grande mistero dell’Incarnazione del Verbo ci vede particolarmente attenti, perché costituirà il cuore del Giubileo dell’Anno Duemila, al quale ci stiamo rapidamente avvicinando.

3. Carissimi fratelli e sorelle della Parrocchia di san Domenico Savio! Mi piace salutarvi facendo mie le parole dell’Apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura: “Prego sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo” (Fil 1, 4). Ogni giorno, infatti, vi ricordo al Signore, insieme con tutte le comunità parrocchiali della Diocesi. Tanto più prego per voi in questo tempo della Missione cittadina, in cui l’impegno apostolico per preparare la via del Signore (cfr Lc 3, 4) nella città di Roma è più intenso e, per certi aspetti, si fa più faticoso. Confidando “che colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento” (Fil 1, 6), vi invito ad annunciare con coraggio il Signore che viene, al di là di ogni difficoltà ed ostacolo che si opponga al vostro impegno di portare a tutti la verità e l’amore di Cristo.

Vi saluto tutti con affetto. In particolare saluto il Cardinale Vicario, il Vescovo Ausiliare del Settore, il vostro amato Parroco, Don Marco Saba, ed i Sacerdoti, figli di san Giovanni Bosco, che condividono la responsabilità dell’animazione pastorale di questa bella ed attiva Comunità.

La vostra Parrocchia, sorta nel 1961 con nuovi insediamenti di numerose famiglie giovani, ha assistito poi alla partenza delle nuove generazioni, che andavano a risiedere in zone ove fosse meno gravoso acquistare o affittare una casa. La popolazione della Parrocchia è così gradualmente mutata, anche se si registra ora l’arrivo di nuove famiglie nella zona di Prato lungo – Via Rosaccio. Queste difficoltà non indeboliscono certo il vostro impegno pastorale. Esorto, in particolare, i numerosi gruppi parrocchiali a proseguire con slancio apostolico e gioia il loro indispensabile contributo alle attività della Parrocchia. Come san Domenico Savio, siate tutti missionari del buon esempio, della buona parola, della buona azione in casa, con i vicini e con i colleghi di lavoro. A tutte le età infatti si può e si deve testimoniare Cristo! L’impegno della testimonianza cristiana è permanente e quotidiano.

4. So che state cercando di rivitalizzare l’Oratorio, per favorire la crescita umana e cristiana dei giovani e in particolare dei ragazzi dopo la Cresima. Mi rallegro e mi compiaccio di questo vostro generoso sforzo per la formazione delle nuove generazioni. A voi, ragazzi e giovani, desidero proporre il luminoso esempio del vostro Patrono, il giovane discepolo di Don Bosco san Domenico Savio. Rivolgendosi nella preghiera a Gesù e a Maria, egli chiedeva loro di essere i suoi amici e di farlo morire piuttosto che gli accadesse la disgrazia di commettere un solo peccato. “La morte, ma non i peccati!”, amava ripetere. Non dev’essere questo anche l’ideale della vostra vita, cari giovani? Impegnatevi, con il suo aiuto, a fuggire il peccato e ad amare fortemente Dio.

Nella Lettera che ho scritto ai giovani di Roma l’8 settembre scorso vi esortavo, cari ragazzi e ragazze, a non rassegnarvi alla menzogna, alla falsità, al compromesso. Scrivevo così: “Reagite con vigore a chi tenta di catturare la vostra intelligenza e di irretire il vostro cuore con messaggi e proposte che rendono succubi del consumismo, del sesso disordinato, della violenza, sino a spingere nel vuoto della solitudine e nei meandri della cultura della morte” (Giovanni Paolo II, Lettera ai giovani di Roma, 8 settembre 1997).

Vi ripeto quest’oggi: reagite al peccato! San Domenico Savio, che si lasciò plasmare dallo Spirito e rispose con generosità piena all’universale chiamata alla santità, vi aiuti a farvi santi, a riscoprire ogni giorno il valore della vostra persona, dove lo Spirito di Dio dimora come in un tempio. Aggiungevo nella mia Lettera ai giovani: “Imparate ad ascoltare la voce di Colui che è venuto ad abitare in voi mediante i sacramenti del Battesimo e della Cresima” (Ibid.). L’Oratorio diventi, pertanto, la vostra migliore palestra per allenarvi a vincere il male ed a compiere il bene!

5. Care famiglie di questa Parrocchia, insieme a tutte le famiglie di Roma voi vivete un anno a voi particolarmente dedicato. Perseverate nella fedeltà e nell’amore. Ponete il Vangelo di Cristo al centro della vostra esistenza, cercando di assicurare ai vostri figli, grazie pure all’apporto prezioso dei nonni, un ambiente sereno, consono agli insegnamenti di Cristo.

Care famiglie, i giovani attendono da voi una esemplarità di vita. Guardano a voi anche quanti sono meno fortunati, perché non hanno alle spalle una famiglia che sappia sostenerli ed aiutarli efficacemente. Sappiate essere per loro testimoni dell’amore di Cristo. Vi illumini e sostenga in questo impegno lo Spirito Santo, che invochiamo incessantemente in questo secondo anno di immediata preparazione al grande Giubileo del Duemila.

6. “Rivéstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio” (Bar 5, 1). Con questa esortazione, all’epoca dell’esilio babilonese, il profeta Baruc invitava i suoi concittadini ad incamminarsi sulla via della santità. Egli continua ad incoraggiare anche noi a non cessare di tendere alla santità, per andare incontro con le opere di bene al Signore che viene. A tal fine, infatti, siamo chiamati a spianare “ogni alta montagna e le rupi secolari” ed a “colmare le valli” (Bar 5, 7).

Gli fa eco il profeta Isaia, le cui parole sono riferite da san Luca alla missione del Battista. Esse esortano a raddrizzare i sentieri dell’ingiustizia ed a spianare i luoghi impervi della menzogna, ad abbassare i monti dell’orgoglio ed a riempire i burroni del dubbio e dello scoraggiamento (cfr Lc 3, 4-5).

Così, seguendo le indicazioni della Parola di Dio, prepariamo, carissimi Fratelli e Sorelle, la via del Signore. Egli, che nella nascita del Salvatore ha compiuto grandi cose per l’intera umanità, porti a compimento il suo piano d’amore. Ed ogni uomo potrà vedere la salvezza di Dio, salvezza donata ad ogni uomo in Cristo Gesù!

Amen!

© Copyright 1997 – Libreria Editrice Vaticana

La Chiesa esorta a rafforzare la Pastorale della Strada

Documento finale del I Incontro Europeo di questa realtà

di Roberta Sciamplicotti

ROMA, giovedì, 5 novembre 2009 (ZENIT.org).- Utenti della strada e della ferrovia, donne e ragazzi di strada e persone senza fissa dimora sono le quattro categorie di persone nei cui confronti la Chiesa deve promuovere una pastorale sempre più attenta alle esigenze e pronta a far uscire da situazioni di discriminazione e di disagio.

E’ quanto emerge dal Documento finale del Primo Incontro Europeo Integrato di Pastorale della Strada, svoltosi a Roma dal 29 settembre al 2 ottobre sul tema “Gesù in persona si accostò e camminava con loro (Lc 24,15). Pastorale della Strada: un cammino insieme”.

All’Incontro hanno partecipato Direttori nazionali, rappresentanti di Conferenze Episcopali e vari esperti, provenienti da quindici Paesi europei, un rappresentante del Sovrano Ordine Militare di Malta e delegati di varie associazioni e movimenti.

Conclusioni

Il Documento finale dell’evento prevede 57 Conclusioni, iniziando dalla constatazione che la pastorale della strada “costituisce una testimonianza profetica” e che “quando torna nella strada, da cui è nato, il Vangelo esprime tutta la sua forza in molti modi”.

Le Conclusioni riguardano innanzitutto gli utenti della strada e della ferrovia, sottolineando che in una società in cui il traffico è in costante aumento si verifica “una concorrenza sempre più dura”, provocando “un aumento sensibile di tensioni psicologiche e fisiche in un gran numero di camionisti”.

Per far fronte a problemi come “orari di lavoro irregolari, lunghe assenze dalla famiglia, come pure relazioni sociali e d’amicizia ridotte o venute meno”, la Chiesa sviluppa risposte pastorali specifiche, ricordando che per molti lavoratori della strada “esiste un pericolo costante di solitudine e isolamento” e quindi c’è bisogno di “maggiore attenzione”.

Le Conclusioni ricordano poi la situazione delle donne di strada, “spesso persone con molteplici problemi (di droga, domicilio, psicologici, HIV)” che hanno bisogno di “una varietà di risposte pastorali integrate”.

Attualmente, riconosce il testo, si presta “un’attenzione eccessiva” alle questioni che riguardano le forme di intervento più che la prevenzione di questo problema. “Nel caso delle donne vittime del traffico, è molto importante fornire alle potenziali vittime un’assistenza prima della partenza e un’informazione su un’emigrazione sicura”.

Allo stesso modo, nelle Conclusioni si affronta il problema della pastorale dei ragazzi di strada, i quali stanno aumentando “a causa della disgregazione familiare e dell’aumento della mobilità”.

La Chiesa deve promuovere “una nuova visione” di questi giovani “contro gli stereotipi” esistenti, aiutando le persone “a guardare al di là dell’elemento criminale che spesso caratterizza questi ragazzi e vedervi positive possibilità future”.

Le Conclusioni riguardano infine la pastorale delle persone senza fissa dimora, sottolineando come la Chiesa debba “prestare attenzione a tale problema allo scopo di creare forme di partnership e di coordinamento delle risorse disponibili”.

In questo contesto, “è importante permettere alle persone senza fissa dimora di spezzare il ciclo della vita sulla strada”, lavorando con loro “sul luogo e al ritmo di loro scelta, rispondendo tuttavia immediatamente alle possibilità di intervento”.

“Le ragioni che spingono le persone a vivere sulla strada sono molte e variate – si ammette –. C’è bisogno di un approccio pastorale di ascolto e compassione che sia in grado di comprendere le loro storie senza un giudizio morale immediato”.

Raccomandazioni

Dopo aver sottolineato che la forza del Vangelo è “esplosiva e inarrestabile” e che per coloro che si trovano sulla strada “è sempre importante fare gesti che siano riconoscibili e comprendere che anche noi possiamo ricevere il Vangelo attraverso di loro”, il Documento invita in primo luogo a sviluppare una pastorale degli utenti della strada e della ferrovia che “includa l’educazione, in particolare dei giovani, alla responsabilità della guida e alla sicurezza stradale”.

Tra le varie iniziative, “deve anche essere incoraggiato lo sviluppo di stazioni radio cristiane”.

Quanto alle donne di strada, si ricorda che gli interventi “devono essere sempre personali e fare costante riferimento all’individuo che ha un volto e una storia unici”, e che “lo stabilire un rapporto di fiducia è essenziale”.

Occorrerà poi “rivolgere un’attenzione particolare anche alla formazione degli operatori pastorali, in particolare del clero e delle comunità religiose maschili, in vista del loro lavoro con il ‘lato della domanda’ di prostituzione”, promuovendo uno stile di vita “che rispetti la sessualità come parte costitutiva e nobile degli esseri umani, e non come qualcosa che può essere commercializzato o alienato”.

La Chiesa deve essere quindi “la voce” dei ragazzi di strada, prestando particolare attenzione alla prevenzione “attraverso una presa di coscienza dei problemi che portano un ragazzo a vivere per strada”, e favorire l’auto-responsabilizzazione dei senza fissa dimora in vista del loro reinserimento.

“È importante ricordare che le persone senza domicilio fisso fanno parte delle parrocchie in cui sono momentaneamente presenti – conclude il Documento –. Esse hanno diritto, pertanto, alla pastorale ordinaria che vi è offerta e ad una partecipazione, qualunque siano le modalità, a quella che non è territoriale. Non bisogna poi dimenticare che tali persone hanno diritto ad una sepoltura cristiana, se si tratta di fedeli cattolici, e di conseguenza ad un ricordo nella preghiera”.