Buone Vacanze

Segni dei tempi va in vacanza, il servizio riprenderà sicuramente dal 16 Agosto 2010. Se avrò connettività durante tale periodo continuerò ad aggiornare il blog.

Buone Vacanze a tutti.

Giovedì della II settimana di Quaresima

di Don Antonello Iapicca

Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “C’era un uomo ricco, che  vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell?inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.
Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.
Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino
a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”.

IL COMMENTO

Ascoltare e credere. Entrambi doni celesti: tutto annuncia Lui. Ogni Parola annuncia l’unico evento capace di strappare l’uomo ad una vita distesa tra vizi e lussi anestetizzanti. Avere e possedere in questa vita perchè un’altra non ce n’è. Tutti i giorni uguali, dispersi ad accumulare simulacri di vita, per non accorgersi della morte che incombe, sicura. Come sicuri sono paradiso e inferno, in questo tempo occultati “novissimi” in una società spiaccicata sul parabrezza di un mondo lanciato a tutta velocità nel vuoto del non senso.
E un mendicante sulle soglie dei bagliori vuoti e transitori della vana-storia, quella aggrappata alla vana-gloria: “Il mistero della misericordia sfonda ogni immagine umana di tranquillità o di disperazione…. Questo l’abbraccio ultimo del Mistero, contro cui l’uomo, anche il più lontano e il più perverso o il più oscurato, il più tenebroso, non può opporre niente, non può opporre obiezione: può disertarlo, ma disertando se stesso e il proprio bene. Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Per cui l’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo” ( Testimonianza di don Luigi Giussani durante l’incontro del Santo Padre Giovanni Paolo II con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità. Piazza San Pietro, Roma, 30 maggio 1998). Mendicare dalle proprie piaghe, che sono le ferite del peccato e della vita, le ferite della debolezza, perchè le piaghe di Cristo ci guariscano. E ci portino al Cielo. Il Vangelo, l’annuncio profetizzato da Mosè e dai Profeti, in esso, e solo in esso, vi sono la Vita e la salvezza. Il Paradiso. Ascoltare e credere: l’amore di Dio, piagato della passione infinita. Anche se apparisse, in questo istante Cristo risorto, probabilmente non cambierebbe nulla. Emozione, sussulti, ma il cuore rimarrebbe incapace di credere, e l’avvenimento della risurrezione resterebbe velato, e non ne saremmo persuasi. L’ascolto della predicazione è la porta che dischiude sulla fede, sulla conversione. E’ il cammino di una vita, nulla si improvvisa. La povertà racchiusa in Lazzaro è l’immagine che il ricco non vuole guardare, è la propria realtà cancellata e dimenticata. La pancia piena di alienazioni impedisce uno sguardo stupito e bisognoso. Bastare a se stessi, l’inganno che che ci impedisce d’essere felici e beati. Gesù infatti riserva la beatitudine ai poveri, ai Lazzaro che non hanno nulla. Di essi è perù il Regno dei Cieli, per essi è preparato il seno di Abramo. La parola povero, nel vangelo di oggi come in quello delle beatitudini
traduce l’autodefinizione dei monaci di Qumram: «anawim ruah». La TOB ha «poveri di cuore». Questi poveri, infatti, sono «quelli dal cuore ferito e dallo spirito affranto» ( Sal 34,19), dei quali Dio si prende cura (cf. Sal 40,18). Essi hanno gli stessi sentimenti interiori ed esteriori dei poveri di Jhwh. Non a caso il termine usato da Mt è πτωχοί, da cui deriva pitocco, miserabile. A questi poveri Gesù è inviato come Messia e salvatore (Mt 11,5; cf. Lc 4,18 che cita Is 61,1-2). Il motivo della beatitudine non sta nella situazione precaria vissuta dal fedele, me nel sicuro intervento di Dio. In questo senso, la povertà è la migliore condizione per accogliere il Regno di Dio. Esso, perciò, è già “al presente” dei poveri. È fatto di loro (cf. Sof 3.12). Per questo le apparizioni mariane, nel solco delle apparizioni di Gesù risuscitato, sono sempre a favore dei piccoli, degli ultimi, dei bambini. Dio ha voluto incarnare se stesso nell’estrema povertà di un Figlio crocifisso. Per raggiungerci dove siamo realmente. Fuggire dal luogo che ci appartiene, l’estrema povertà e l’infinito bisogno della creatura, significa chiudersi alla Grazia. Convertirsi è dunque, in questa quaresima, prendere di peso la nostra vita, non tralasciare nessuna debolezza, nessuna fame, nessuna sete. Guardarci dentro, sino in fondo, e scoprire che è lo stesso bisogno che muove il ricco e il povero Lazzaro. Prendere tutto dalla vita, frugando tra mondo, carne e demonio, significa saziarsi di fumo per precipitare nel vuoto eterno che è l’inferno. Accettare d’essere, in questa terra, un povero mendicante che solo può tendere la mano alla misericordia di Dio è l’unico atteggiamento realistico e ragionevole per camminare nella storia. La verità che ci fa liberi e ci spalanca le porte del Paradiso. Che il signore ci aiuti nel faticoso cammino verso la Verità.

Venerdì della I settimana di Quaresima

di Don Antonello Iapicca

Mt 5,20-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se la vostra  giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

IL COMMENTO

La giustizia. Cercare giustizia. Farsi giustizia. Volere giustizia. Rivoluzioni, sistemi, ideologie, tutte in nome della giustizia. E Le nostre riunioni di condominio, e i turni in ufficio, la scelta dei periodi di ferie, e i furieri in caserma, i professori, gli studenti, primo-secondo-terzo figlio, tribunali e mani pulite, di tutto e di più in nome della giustizia. Tutti a cercare giustizia, tutti, con tutta probabilità inconsapevomente, giustificati gratuitamente. Per mezzo di Gesù, la Giustizia di Dio. Le Sue braccia spalancate e sanguinanti, l’abbraccio misericordioso a cancellare ogni peccato. L’ingiustizia più grande a far giusti gli ingiusti. La Croce, la Roccia sulla quale si infrange ogni onda malvagia di morte. L’amore che fa giustizia d’ogni sofferenza, d’ogni dolore, d’ogni peccato. Ci ha cercato, ha fatto di tutto per mettersi d’accordo con noi, poveri e sperduti come i discepoli di Emmaus, le speranze infrante e il Suo farsi accanto, il Suo cammino sul nostro cammino, resta con noi e spezza ancora il Suo corpo, il riscatto per i nostri peccati. Per sempre. E il cuore che arde nel petto di gioia indicibile. Amati. Perdonati. Giustificati perchè Lui è risorto. Ha pagato. E’ morto. E la prova del perdono, la sua resurrezione. I nostri peccati sono stati distrutti, sepolti nella Sua tomba dalla quale è risorto trionfante. Il documento che ci condannava è stato definitivamente stracciato dai chiodi della Sua Croce. Ha chiesto perdono per noi. Proprio lì, nell’offrire il Suo sacrificio. Qulcuno ce l’aveva con Lui. Il mondo ce l’aveva con Lui. Ogni uomo, avvelenato dal demonio e dai suoi inganni ce l’aveva con Dio. La morte e il peccato infatti cancellano Dio dal cuore dell’uomo. Il dolore, la malattia, l’ingiustizia, i campi di concentramento, le torture, la guerra, la droga le violenze, i disastri naturale, il male, spazza via dal cuore e dalla mente dell’uomo il volto di Dio e tutto precipita in un abisso senza senso. La vita si trasforma in un’enorme ingiustizia. Vivere per morire. Vivere per soffrire. No. Non è possibile. Dio, se c’è, è un mostro, il peggiore. Viva Barabba allora, viva chi può strapparci all’ineludibile sorte del topo. A morte l’ingiusto. E morte è stata per il Giusto, crocifisso come ingiusto per fare giusti gli ingiusti. E così rivelare il segreto nascosto agli angeli, l’amore infinito di Dio sin dentro il letame più fetido, la feccia del male peggiore. La Giustizia denudata, fustigata, annichilita. Crocifissa. La Giustizia giustiziata su di un patibolo. La Giustizia assassinata e sepolta. La Giustizia discesa agli inferi. L’ingiustizia più grande. Ed in essa, il miracolo più grande. L’opera di Dio, una meraviglia ai nostri occhi. Nell’ingiustizia sembrava morta la Giustizia, invece trasformava l’ingiustizia in giustizia. Nella morte è apparsa la vita. Colpita la cuore l’ingiustizia dalla giustificazione che salva. Ad ogni uomo preda dell’ingiusto serpente, schiavo del peccato e della morte è stato svelato l’inganno: il male non è l’ultima parola. L’ingiustizia non è il nostro destino. Dio esiste, ha vinto il peccato e la morte, ha fatto giustizia d’ogni malvagità nella Croce del Figlio. Noi tutti lo credevamo un empio sul quale s’era abbattuta ogni sorta di castigo. E invece caricava le nostre ingiustizie. Tutte. Lo credevamo peccatore ed era il Giusto. Dalle Sue piaghe siamo stati guariti. Giustificati. La giustizia di Dio, il sangue del Figlio. La porta del Cielo, le piaghe di Gesù. La giustizia del Padre è stata, ed è e sarà sempre la misericordia. Senza di essa niente Cielo. Il Suo troppo amore, la sua giustizia incarnata nei giustificati, in tutti noi passati attraverso la gran tribolazione, lavando le vesti nel sangue dell’Agnello, una giustizia superiore a quella di scribi e farisei. Un’aria nuova al condominio, al lavoro, in famiglia e dovunque, l’aria di misericordia che traspare dai figli di Dio. Che sia per tutti noi una quaresima di misericordia, per ogni nostro prossimo. Il Cielo sulla terra, verità e giustizia abbracciate e donate ad ogni nostro respiro. Questa giustizia il mondo attende con impazienza. Questa, e solo questa Giustizia lo salverà. Eternamente.

Sos Cristianofobia

di René Guitton
Tratto da cronache di Liberal del 25 febbraio 2010

I cristiani d’Oriente sono emigrati o stanno emigrando in massa; sono sempre meno numerosi e in mancanza di meglio sostengono i regimi al potere (ritenendoli preferibili all’avvento di regimi fondamentalisti); in pratica non hanno più alcun ruolo politico nei paesi in cui risiedono.

In più, devono fare i conti con un circolo vizioso: sono emarginati in quanto cristiani, e, in quanto emarginati, di loro si parla sempre meno. Il loro isolamento è aggravato dal fatto che le persecuzioni contro i cristiani non sono generalmente menzionate nelle denunce delle violazioni dei diritti umani, per una ragione molto semplice: perlomeno in Occidente i cristiani faticano ad associare al cristianesimo il concetto di minoranza. La difesa dei diritti dell’uomo si è sviluppata a partire dalla lotta per la protezione delle minoranze religiose o etniche un tempo soggette a persecuzioni. Gli ebrei, i neri o i musulmani in Europa e in America rientrano in questo schema. La mobilitazione in loro favore è resa ancora più incisiva dal senso di colpa prodotto dal coinvolgimento delle Chiese cristiane nello sviluppo dell’antisemitismo, nello schiavismo e nel colonialismo (portatore di una visione umiliante per i musulmani). In Occidente prendere le difese dei cristiani equivale a schierarsi dalla parte della maggioranza. Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali, secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare dalla parte del dannati senza appello. All’inizio ho ingenuamente ritenuto che la colpa di questa situazione fosse da addebitare all’ignoranza. Ma essa non basta a spiegare tutto, anzi. Combattere l’antisemitismo e il razzismo, battaglie alle quali mi dedico con forza da decenni, non richiede necessariamente una conoscenza approfondita della letteratura rabbinica o della storia dello schiavismo. Non c’è alcun bisogno di avere un’empatia particolare con colui che soffre a causa della propria origine, vittima di una giustizia negata, per aver voglia di prendere le sue difese denunciando a gran voce il silenzio e l’oblio che circondano la sua condizione. Sono in ballo la dignità e i diritti umani. Una delle ragioni del silenzio e dell’oblio che circondano le minoranze cristiane è da ricercare nella loro progressiva emarginazione e nella continua perdita di peso politico e demografico da cui sono afflitte. potere. Occorre combattere la gravissima disinformazione che affligge l’opinione pubblica occidentale a proposito della situazione dei cristiani nel mondo e in particolare nelle regioni dove essi sono minoritari, come nel Maghreb, nell’Africa subsahariana, in Medio Oriente e in Estremo Oriente.

L’esistenza dei cristiani orientali è poco nota. Coloro che non la ignorano ne danno spesso una valutazione troppo riduttiva, che tende a fare delle comunità cristiane d’Oriente una sorta di appendice del cristianesimo occidentale, o la conseguenza dell’espansione coloniale. In altre parole, i cristiani d’Oriente non sono considerati autoctoni, ma un elemento importato. Si dimentica che il cristianesimo è nato in Oriente dove si è sviluppato ben prima che l’Europa diventasse quasi completamente cristiana. Secondo il punto di vista occidentale, le persecuzioni a cui sono sottoposti i cristiani in quei luoghi lontani colpirebbero il cristianesimo non in quanto tale, ma nella sua qualità di emanazione dell’Occidente. Inoltre, poiché in Occidente il cristianesimo è maggioritario, non può aspirare allo status di minoranza in Oriente.

Questo ragionamento sortisce l’effetto di negare implicitamente la sofferenza delle minoranze cristiane e di frenare la mobilitazione in loro favore. Al tempo stesso, iniziative a sostegno delle popolazioni cristiane d’Oriente sono scoraggiate, in quanto potenzialmente controproducenti: trasformare i cristiani orientali in «protetti» dell’Occidente potrebbe esporli a rischi ancora più gravi. Tuttavia, questa preoccupazione deve forse esonerarci dall’intervenire, dal momento che proprio noi parliamo di «dovere di ingerenza»? E l’indifferenza non apre forse la via all’oscurantismo? Le guerre di religione o i fenomeni religiosi ci sembrano appartenere a una lontana preistoria: da ciò deriva tentala radicale incapacità, da parte dell’Occidente, di affrontare la questione in tutti i suoi aspetti. Per esempio, nella nostra società, la difesa dei cristiani di altre parti del mondo è spesso vista come un tentativo di favorire il ritorno del religioso o di imporre i principi cristiani, che non sono più considerati valori fondamentali; ne consegue che coloro che si preoccupano della sorte delle minoranze cristiane sono guardati con gran sospetto: nella migliore delle ipotesi sono etichettati come ultraconservatori.

Nel silenzio cristiano si deve scorgere altresì l’effetto di una svalutazione implicita e sistematica del cristianesimo, largamente incoraggiata da un laicismo ottuso e aggressivo, che spesso si manifesta nel modo in cui i media trattano le vicende che coinvolgono i cristiani. Tra fine novembre e i primi di dicembre del 2008 due avvenimenti legati alle tensioni interreligiose hanno fatto parlare di sé attirando l’interesse dei grandi media internazionali in modo assai diseguale: ci riferiamo al massacro compiuto a Mumbai da un regogruppo di mujaheddin, che hanno ucciso 172 persone e ne hanno ferite circa 300, e alle sommosse anticristiane verificatesi in Nigeria, dove alcuni gruppi musulmani locali hanno attaccato i cristiani, uccidendone più di 300, saccheggiando i loro beni e devastando le loro chiese. Nel 2004 si erano scatenate violenze simili, che avevano lasciato sul terreno i cadaveri di oltre 700 cristiani. I fatti di Mumbai hanno occupato le prime pagine di quotidiani e telegiornali, mentre l’altro episodio è stato appena menzionato, sebbene l’ammontare delle vittime fosse assai più elevato e le distruzioni nettamente più gravi.

Questo trattamento differenziato da parte dell’informazione è emblematico della difficoltà di sensibilizzare l’opinione pubblica, persino la più accorta, riguardo alle persecuzioni che colpiscono i cristiani in numerose regioni del mondo. Si usano due pesi e due misure; se qualcuno protesta, viene accusato di essere a favore della censura, contro la libertà di informazione e di essere un bigotto e un baciapile. Ho avuto occasione di sperimentare personalmente questo disprezzo a Parigi, nell’agosto del 1997, in occasione della Giornata mondiale della gioventù, che aveva riunito giovani giunti da ogni parte del globo. Prima della manifestazione la grande stampa internazionale aveva pressoché ignorato l’evento. Se n’erano occupati soltanto alcuni editorialisti, i quali avevano previsto che quel tentala tivo di «irreggimentare» e «manipolare» la gioventù si sarebbe risolto in un insuccesso. Durante la manifestazione un certo numero di giornalisti si è limitato a sottolineare i gravi disagi al traffico cittadino causati del raduno. Nessuno si interrogava sulle motivazioni che animavano i partecipanti, né sul significato profondo di quel ritorno al religioso. Di fronte a un giornalista che mi intervistava rivolgendomi domande sarcastiche sull’avvenimento, ho abbozzato una provocazione, domandandogli a mia volta quale fosse la sua reazione di fronte al pellegrinaggio islamico canonico alla Mecca (Hajj). Il mio interlocutore mi ha guardato stupito, come se le mie parole facessero di me un emulo degli antichi inquisitori. Ho quindi capito quanto sia difficile perorare la causa dei cristiani che soffrono nel mondo e quanto essere cristiano, agli occhi di molti, rappresenti un’intollerabile  mancanza di buon gusto, per non dire un handicap che sarebbe meglio tentare di nascondere. Come si può chiedere all’opinione pubblica di mobilitarsi in favore dei cristiani d’Oriente, d’Africa, del Maghreb, se il cristianesimo è la sola religione sottoposta a una sistematica denigrazione che si prefigge di snaturane lo spirito e il messaggio? La Francia è forse l’unico paese occidentale in cui è buona norma stigmatizzare coloro che si dichiarano credenti, e di conseguenza anche le Chiese ufficiali alle quali li lega la fede.

Questo atteggiamento è evidente ogniqualvolta è tirata in ballo la laïcité, principio legislativo che gode di un consenso quasi unanime e di cui nessuna associazione religiosa ufficialmente costituita chiede l’abolizione. Anche i cristiani d’Oriente si richiamano alla laicità. Inchieste e sondaggi hanno dimostrato che i cattolici francesi, praticanti compresi, erano favorevoli alla legge del 1905, la quale è ormai sul punto di diventare quasi un testo sacro, almeno a giudicare dagli strepiti che provengono da certi ambienti dell’integralismo laicista quando si affronta l’argomento. La legge del 1905 è probabilmente il solo documento mai votato a Palazzo Borbone che sia considerato scolpito nella pietra. Chiunque osi suggerire l’idea di una sua revisione si attira l’accusa di minacciare le fondamenta stesse della République. Nella loro miopia, i campioni della ragione, del libero esame e della critica rifiutano ostinatamente di applicare queste virtù alla propria causa. Chi commette il sacrilegio di non pensarla come loro è regolarmente denunciato come un novello inquisitore! I conflitti politici sono resi ancor più aspri dal fatto che per lungo tempo hanno riguardato la religione: il castello contro il municipio, il curato contro il maestro pubblico ecc. L’adesione alla Repubblica della quasi totalità dei cristiani ha semplicemente cambiato i termini del confronto, spostandolo sul terreno della scuola: di qui le grandi crisi provocate, nel corso del XX secolo, dai progetti di riforma delle leggi che regolano i rapporti tra lo Stato e l’insegnamento confessionale. Mentre le manifestazioni del 1° maggio mostravano segni di logoramento, quelle a favore della scuola laica o confessionale del 1984 hanno richiamato in piazza centinaia di migliaia di persone. Sembra quasi che la Repubblica sia costantemente minacciata dalle oscure trame dei bigotti. Provate a parlare di «laicità positiva» e scatenerete immediatamente una bufera difficilmente comprensibile per gli osservatori stranieri, che si stupiscono nel vedere quanto facilmente noi francesi ci crogioliamo in vecchie questioni «fratricide». Gli anticlericali di un tempo hanno lasciato il posto ai nuovi professionisti dell’anticristianesimo, intolleranti e irrispettosi delle credenze di coloro che hanno la sfortuna di non pensarla come loro. La società francese continua a essere impregnata del tanfo di un anticlericalismo primario che si ripresenta ogniqualvolta si discute a proposito di laicità. Se vi azzardate a far notare la cosa sarete etichettati come «baciapile», e vi sarà quasi certamente sbattuto in faccia l’affare delle vignette danesi sul profeta Maometto. Peraltro, le prime vittime di quelle caricature non sono stati gli anticlericali e i laicisti d’Europa ma i cristiani del Pakistan e della Nigeria, che hanno pagato con la vita l’«errore» dell’Occidente, il quale tanto per cambiare non ha mosso un dito.

2 febbraio 2010. Storia a fumetti e misericordia nella storia

Avvistato un giornaletto di fumetti spacciato per ricerca storica. E, per  una volta, plaudiamo ad un vaticanista. Andrea Tornielli, che ci ha indicato il fumetto in questione. Alcuni storici, prontamente grancassati dalla grande stampa, intendono il loro mestiere di ricercatori come quello degli autori dei fumetti di Paperino e Topolino. Sapete come fanno, no? Riprendono la realtà di avvenimenti di cronaca, spesso sportiva, e vi cotruiscono storie dove cambiano nomi e luoghi adattandoli ai personaggi dei loro fumetti.

Così hanno fatto Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino: hanno preso un documento su Pio XII pubblicato nel 1964 negli Stati Uniti ed esistente già da tempo in traduzione italiana spacciandolo come inedito e pubblicato sul loro fumetto di successo. La pubblicità dell’Ansa, del Corriere e della Stampa ha poi dato alla storiella inedita la giusta ribalta. Peccato che non si tratti di fumetti, e che nel popolo di Internet e in quello che sfoglia rapido le pagine dei quotidiani, resti scolpito un titolo ad effetto piuttosto che la sostanza e la verità dei fatti. Sbirciando nel blog di uno di questi Disney della storia abbiamo scoperto la solita, identica tesi preconfezionata volta a demolire la figura di Pio XII. Con livore e sarcasmo hanno replicato a Tornielli senza però poter contestargli minimamente il nocciolo della questione. Solo ironie contro Pio XII per attaccare il vaticanista reo di non scrivere fumetti come loro. Il che certifica il rossore dei bimbi colti con le mani nella marmellata. Ancora una volta: diffidare sempre di chi scrive di storia, specie se di storia della Chiesa. “La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. È unicamente ‘con gli occhi della fede’ che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina” (Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 770.) L’angoscia di un ineludibile dilemma interiore si tramuta spesso in livore pseudo-scientifico, usato come una pezza d’appoggio a tesi che suffraghino la propria chiusura ad una Notizia capace di dare senso e pienezza alla vita. Quanti storici, filosofi, politici, artisti, han scritto, pensato e agito per uno scandalo interiore rimosso e non sanato. In due parole? Per tenere fuori il Figlio si calunnia la Madre. Davvero peccato, perchè a mostrare le debolezze della Chiesa ci avevano pensato, senza fumetti e falsi scoop, già duemila anni fa, apostoli ed evangelisti. Senza sconti, neanche per Pietro, per mostrare che la Chiesa è il luogo del perdono, per ogni uomo. Non per cancellarla dal mondo o per crearne una secondo i propri desideri. La Chiesa è fondata sul perdono, quello accordato a Pietro dopo il tradimento. Senza questa misericordia non esisterebbe. Per questo nel Nuovo Testamento non sono taciuti peccati e debolezze degli apostoli. Solo lasciandosi attirare in questo fiume di Grazia si può guardare la propria storia, quella di ogni uomo, quella della Chiesa con occhi diversi. Scriveva l’allora Card. Ratzinger, commentando il documento giubilare di Giovanni Paolo II su memoria e riconciliazione: “ciò che bisogna evitare è tanto un’apologetica che voglia tutto giustificare, quanto un’indebita colpevolizzazione, fondata sull’attribuzione di responsabilità storicamente insostenibili…. Ma neppure può appoggiarsi sulle immagini del passato veicolate dalla pubblica opinione, giacché esse sono spesso sovraccariche di una emotività passionale che impedisce la diagnosi serena ed obiettiva […]. Ecco perché il primo passo consiste nell’interrogare gli storici, ai quali non viene chiesto un giudizio di natura etica, che sconfinerebbe dall’ambito delle loro competenze, ma di offrire un aiuto alla ricostruzione il più possibile precisa degli avvenimenti, degli usi, della mentalità di allora, alla luce del contesto storico dell’epoca”. Ecco, ricerca storica come aiuto alla Chiesa. Ma occorre per questo essere liberi dentro, se non innamorati della Chiesa, quanto meno osservatori senza pregiudizi. Altrimenti non si pubblicheranno inedite ricerche, ma solo fumetti.

La sentinella

UNO SPOT AUSTRALIANO “I BAMBINI CI GUARDANO“. Splendida campagna "non profit" interpella tutti, genitori e adulti

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Children see, children do. I bambini osservano, i bambini fanno.
Che altro non sarebbe, citando il bellissimo film di De Sica (padre, non figlio) che i bambini ci guardano e, soprattutto, ripetono quello che ci vedono fare.

E’ questo il senso di uno splendido spot televisivo australiano, frutto di una campagna della Napcan, associazione non profit che si batte per “promuovere un cambiamento positivo in atteggiamenti, comportamenti, politiche, pratiche per prevenire abusi e abbandono e garantire la sicurezza e il benessere di tutti i bambini australiani”.
In questi giorni il video sta girando un po’ ovunque in rete, pur con un certo ritardo rispetto alla sua programmazione televisiva originaria, a dimostrazione che le buone idee, quando ci sono, continuano a diffondersi viralmente grazie al passaparola dei navigatori.
Nel video i bambini seguono gli adulti, ne osservano i comportamenti negativi e li copiano pedissequamente, senza elaborazione critica, solo per emulazione. Si passa dalla lattina gettata a terra, alla scortesia con i passanti, fino a immagini forti come una bambina con la sigaretta o la violenza, verbale e fisica, contro animali, immigrati, donne.
Alcune considerazioni nascono immediatamente. Si dovrebbe partire dal presupposto che i bambini ci guardano, e non possiamo più dire “tanto non capiscono”, perché i bambini sono attenti osservatori e comprendono subito le situazioni. E le copiano in fretta. I bambini ci osservano, ci studiano e percepiscono troppo velocemente cose che per loro sono ancora premature, per non dire di alcune che sarebbero addirittura proibite.
Se in un Paese che passa per civile si è sentito il bisogno di fare una campagna non per moralizzare i comportamenti, ma per invitare a moderarli in presenza dell’elemento più giovane e più plasmabile della società, i cittadini del futuro, perché non è possibile una simile “pubblicità progresso” anche sui nostri schermi?
Televisivamente parlando, siamo inondati da amene rappresentazioni di famiglie felici (e, se vogliamo dirla tutta, anche piuttosto ariane), di mulini bianchi e di madri che sembrano uscite da un film con Doris Day: non un capello fuori posto, giovanissime, bellissime e con la torta in forno. Ma non occorre aver seguito le avventure delle “Desperate housewife” per sapere che la realtà familiare è ben diversa.
La questione educativa, posta con urgenza dalla Chiesa e non solo, si declina anche attraverso queste cose. I bambini ci guardano, ci osservano, anche quando non lo danno a vedere. Imparano a leggere la realtà attraverso i nostri occhi e le nostre parole e imparano a vivere in mezzo agli altri attraverso i nostri comportamenti.
Certo, i bambini hanno tanti maestri: gli insegnanti, gli amichetti, anche la “cattiva  maestra” televisione. Ma, soprattutto, si confrontano con gli adulti più vicini, i genitori appunto, dai quali imparano comportamenti, valori, idee e pregiudizi. La responsabilità in capo agli educatori è enorme.
I bambini, così determinati e così fragili, hanno bisogno di modelli umani, di guide vere e non di plastica, esempi da imitare, persone in grado di difenderli, proteggerli.
I bambini sono lo specchio nel quale noi adulti vediamo riflessa la nostra immagine: chiediamoci che cosa vogliamo vedere.

Per approfondire, ecco il link all’associazione e ai video: http://napcan.org.au/napcan-videos