Attentati alla libertà di coscienza cristiana. Ora se ne accorge anche l’Europa

Attentati alla libertà di coscienza cristiana. Ora se ne accorge anche l’Europa

Risoluzione del Consiglio d’Europa. Potrà essere citata di fronte ai tentativi di chi vuole imporre una nuova morale ufficiale (aborto, eutanasia, LGBT, gender). 

femen-Andre-Joseph Leonardtratto da Zenit, di Elisabetta Pittino – Il 24 aprile 2013, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato a larga maggioranza una Risoluzione sulla protezione delle comunità religiose di fronte alla violenza: Safeguarding human rights in relation to religion and belief and protecting religious communities from violence, Doc. 13157, Risoluzione 1928 (2013).

Congiuntamente si è svolto un seminario, organizzato da ECLJ e da Christian Concern, sui nuovi attentati alla libertà di coscienza causati in Europa dalle leggi relative al matrimonio e all’adozione omosessuale e alla non discriminazione.

Vi è un crescente clima di ostilità e intolleranza verso il cristianesimo in Europa e verso le persone che si riconoscono nella famiglia e nella morale naturale. “Questa ostilità si traduce in una violenza sempre più palese e tollerata – spiega Grégor Puppinck, Direttore dell’European Centre for Law and Justice (ECLJ) – ed è appoggiata dai grandi media e partiti politici”.

“Le molteplici aggressioni perpetrate da gruppi come le Femen e l’impunità della quale beneficiano – prosegue Puppinck – sono stati vivamente denunciati, mentre in Francia numerosi manifestanti in favore della famiglia, pacifici, sono stati oggetto di violenze sproporzionate da parte della polizia, fino ad essere arrestati”.

Il Seminario, presieduto dall’on. Luca Volonté, presidente del Gruppo PPE e relatore della Risoluzione, si è svolto alla presenza di deputati europei, ambasciatori e funzionari del Consiglio d’Europa. Grazie anche ad un audiovisivo su queste violenze e aggressioni, numerosi  deputati hanno deciso di approfondire il tema e di informare meglio il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

Si è parlato a lungo dei crescenti attentati verso la libertà di coscienza legati alle questioni della famiglia e della morale naturale. In particolare, sono state prese in esame le cause McFarlane e Ladele contro il Regno Unito sulla violazione del diritto fondamentale all’obiezione di coscienza. Più nello specifico, le suddette cause riguardavano il licenziamento di un’impiegata all’ufficio Stato Civile del Municipio, e di un consulente matrimoniale, poiché avevano espresso, in coscienza, la loro incapacità di consigliare sessualmente una coppia gay e di celebrare la loro unione civile.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui era giunta la causa, non ha giudicato spropositata la decisione. Ciò dimostra che la facoltà di un impiegato di non sentirsi costretto a compiere certe funzioni contrarie alle sue convinzioni morali oggi è in grave pericolo.

Per questo la Risoluzione sulla libertà di coscienza e di religione ricorda che gli Stati hanno l’obbligo di rispettare la libertà di espressione, il diritto all’obiezione di coscienza delle persone e delle comunità di persone, così come i diritti educativi dei genitori «in relazione alle questioni sensibili dal punto di vista etico».

Le risoluzioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa non sono direttamente vincolanti, ma sono una fonte del diritto e hanno un’autorità politica. La Corte europea ne tiene conto e il Comitato dei Ministri deve dare seguito alle richieste contenute. Le istituzioni internazionali, come il Consiglio d’Europa, hanno anche un ruolo di sorveglianza e di denuncia degli attentati ai diritti fondamentali perpetrati da o all’interno degli Stati membri. Queste istituzioni sono spesso il solo ricorso legale che permette di denunciare tali attentati, di obbligare i governi a risponderne e di fare pressione sui governi stessi perché vi pongano fine.

Inizialmente la Risoluzione si concentrava sulla violenza perpetrata contro le minoranze religiose fuori dell’Europa. Dopo l’aumento delle violenze e delle ostilità antireligiose in Europa, i deputati hanno integrato la Risoluzione anche in funzione dei paesi europei, richiamando i principi fondamentali della libertà di coscienza e libertà religiosa che sono attualmente minacciati.

La Risoluzione potrà essere citata da chi difende i diritti genitoriali – in particolare in ambito di educazione – dai difensori dell’obiezione di coscienza e dalle istituzioni religiose, al fine di preservare la loro autonomia istituzionale e morale di fronte ai tentativi di imporre una nuova morale ufficiale (aborto, eutanasia, LGBT, ideologia di gender, ecc).

Conclude Puppinck: “La libertà delle coscienze, delle famiglie, delle scuole, delle comunità religiose, cosi come la libertà di espressione, dovranno essere difese: questa risoluzione è un aiuto”.

da Tempi.it

Libertà religiosa, Francia criticata dal rapporto Usa: «Laicità troppo aggressiva» verso i cristianik

Libertà religiosa, Francia criticata dal rapporto Usa: «Laicità troppo aggressiva» verso i cristianik

di Leone Grotti da www.tempi.it

Dopo Cina, Arabia Saudita, Iran e Pakistan gli Stati Uniti criticano esplicitamente Hollande sul divieto per i cristiani di indossare simboli religiosi al lavoro 

Hollande in corsa per le elezioni francesiNon era mai successo che nel consueto rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo redatto dal Dipartimento di Stato americano venisse inserita l’Europa. Nel rapporto 2013, invece, insieme a Cina, Arabia Saudita, Iran, Pakistan e altri paesi noti per il mancato rispetto della libertà religiosa è spuntata la voce “Europa occidentale”, con sei pagine dedicate.

FRANCIA SOTTO ACCUSA. Il rapporto sottolinea soprattutto «la laicità troppo aggressiva» della Francia, «che non permette alle persone religiose di esprimere a pieno la propria fede». Il riferimento non è solo alla legge che vieta alle donne musulmane di portare in pubblico il velo integrale, ma anche alla situazione dei cristiani. Tra le «restrizioni» citate, infatti, c’è quella di esporre croci e altri simboli religiosi.

HOLLANDE E I CRISTIANI. Si legge nel rapporto: «Con la sua ferrea interpretazione della laicità, il governo francese non permette a nessun dipendente pubblico di indossare simboli religiosi o abiti religiosi al lavoro. Il presidente Francois Hollande e altri membri importanti del governo hanno pubblicamente espresso la volontà di estendere il divieto anche ad alcuni luoghi di lavoro privati» dove ci sia la presenza di bambini. Se la legge venisse estesa in questo senso, ad esempio, un asilo privato non potrebbe appendere alla parete il crocifisso.

CASI INGLESI. Il rapporto fa anche riferimento ai casi di Nadia Eweida – dipendente della British Airways, licenziata perché non voleva togliere la catenina con il crocifisso, non prevista dal “dress code” dell’azienda – e Shirley Chaplin, infermiera geriatrica del Royal Devon and Exeter Foundation NHS Trust, trasferita dietro una scrivania dopo 30 anni di lavoro tra i pazienti per lo stesso motivo. Le due donne, insieme ad altre due persone, avevano fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che aveva dato ragione alla prima e torto alla seconda.

Chi osa parlare della differenza tra unioni etero e gay, sarà “cancellato”. Come avvenuto all’avvocato Cerrelli

Chi osa parlare della differenza tra unioni etero e gay, sarà “cancellato”. Come avvenuto all’avvocato Cerrelli

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Il vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, racconta di come è stato interrotto e cancellato dalle foto di un convegno. Aveva solo detto che esiste un valore nella differenza sessuale 

cerelli«Venga a parlare alla conferenza che faremo sull’emigrazione». Giancarlo Cerrelli, vicepresidente dell’Unione giuristi cattolici italiani, aveva declinato l’invito di Francesca Gallello, presidente internazionale dell’associazione “Radici”, spiegandole di non essere competente sul tema dell’emigrazione. Vista l’insistenza, Cerrelli ha ribattuto che avrebbe potuto trattare il tema dell’emigrazione, ma con riferimento al mutamento del profilo giuridico della famiglia da ieri a oggi. Gallello ha accettato entusiasta, eppure sulle foto del convegno l’avvocato non appare e le sue frasi sono state riportate dalle cronache locali come eversive. Come mai?

IL CONVEGNO. Sabato 13 aprile, Cerrelli entra nell’aula del Centro polivalente dell’ex palazzo Porti di Cirò Marina (Crotone) per partecipare all’incontro dal titolo “Emigrazione… dal 1861 ad oggi”. Anziché un pubblico di adulti, si trova davanti a circa quaranta bambini delle scuole medie ed elementari e una ventina di adulti della zona: «Avevo preparato una relazione sulla storia del diritto di famiglia dal Codice civile del 1865 fino alle ultime proposte di legge, ma con quel pubblico ho dovuto cambiare programma» racconta Cerrelli a tempi.it.
L’avvocato comincia a spiegare che se un tempo ci si sentiva stranieri all’estero, oggi si prova lo stesso anche a casa propria: «Ho parlato di stranieri morali: il fatto che non ci sia più un terreno antropologico ugualmente riconosciuto ci impedisce di dialogare e questo pone un muro fra gli uomini. Come trovare punti in comune se non si vogliono riconoscere quelli oggettivamente veri per tutti?».

NIENTE DIRITTI SENZA DOVERI. Cerrelli ipotizza che anche per questo la famiglia moderna si disgrega facilmente. L’avvocato, credendo che un paesino del Sud Italia «fosse ancora immune dal relativismo dilagato con la globalizzazione», accenna «alle nuove tendenze giurisprudenziali e legislative sul matrimonio tra persone omosessuali e a quelle sull’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Ho affermato che va condannata la discriminazione delle persone omosessuali ma, d’altra parte, va ribadita la differenza naturale e ontologica tra un’unione formata da persone dello stesso sesso e una tra eterosessuali. È necessario, in un momento storico in cui “l’ideologia del gender mira a indifferenziare i generi sessuali, ribadire il valore della differenza, per cui è giusto trattate condizioni differenti in modi diversi».
Poi l’avvocato spiega che «nel diritto di famiglia fino ad oggi non erano mai esistite concessioni di diritti senza l’assunzione di doveri: il matrimonio tra un uomo e una donna ha una funzione sociale unica, quella di dare ordine alle generazioni».
Cerrelli infine ricorda che qualcuno parla di diritto all’affetto, ma che «questo non ha alcuna rilevanza nel nostro ordinamento giuridico per il fatto che non è misurabile da un giudice in un’eventuale giudizio e perché è mutevole e alla società va garantita stabilità. Non a caso, il nostro codice civile circa il matrimonio fa riferimento solo ad obblighi: l’articolo 143 del Codice civile parla infatti di doveri dei coniugi, mentre nel 147 sono elencati non i diritti sui figli, ma i doveri nei loro confronti».

DISCRIMINAZIONE. Durante l’esposizione dal pubblico si alza la voce di una donna che accusa l’avvocato di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Il giurista risponde ribadendo che sarebbe ingiusto per tutti trattare allo stesso modo ciò che è diverso: basti pensare a un disabile a cui si richiedesse, in nome di un’uguaglianza astratta, le stesse performance pretese da un uomo sano. «Questo intervento – prosegue l’avvocato – non ha fatto che dimostrare ai presenti la mia tesi sull’essere stranieri in patria: se neppure le verità evidenti a tutti sono riconosciute come tali non c’è possibilità di incontro né di dialogo, ma solo di scontro».

I BAMBINI APPLAUDONO. Cerrelli viene interrotto, gli organizzatori fanno intervenire il console italiano in collegamento dalla Germania, che è affiancato da un emigrato il quale ribatte: «Ognuno deve sposarsi con chi vuole e quindi un uomo può sposare un altro uomo». L’emigrato non fa in tempo a concludere che i ragazzini scoppiano in un boato, applaudendo l’intervento. Cerrelli, costretto a interrompere la relazione e sorpreso dalla reazione dei bambini, fa per tornare al posto.
Ma sul palco dei relatori non c’è più posto per lui: «Non me la sono presa troppo per me – continua – ero stupito dall’intolleranza e dall’ideologia inculcata in quei piccoli e mi sono messo fra il pubblico». Sul palco ci sono il sindaco di Umbriatico, di Melissa, di Cirò, di Amendolara, l’assessore Francesco Ferrara di Cirò Marina. Sono presenti anche don Gianni Filippelli, segretario particolare del vescovo di Crotone. Nessuno, però, dice una parola in merito a quanto menzionato dall’avvocato: «Tutto è proseguito come se nulla fosse, così sono semplicemente apparso come l’incidente della mattinata. La cosa assurda è che mi sono sentito escluso proprio da coloro che predicano la tolleranza. Non so cosa sarebbe accaduto se fossi stato in un altro paese dove esistono leggi sull’omofobia, probabilmente mi avrebbero arrestato. Dicono che tutti devono essere liberi di pensare quello che vogliono: e io?».

ELIMINATO DAL CONVEGNO. I giorni successivi sulle foto del convegno Cerrelli non compare, mentre sulle cronache dei giornali locali il suo nome appare come quello di un provocatore messo a tacere: «In quel momento – conclude l’avvocato – ho sperimentato quanto avevo letto qualche giorno prima. Si tratta della biografia scritta da Andrea Tornielli dell’allora cardinal Bergoglio che dice così: “Che cos’ha a che vedere il ‘gaucho’ con noi (il ‘gaucho’ è un barbaro nativo, ndr)? (…) Oggi quella che si manifesta è una seconda forma di incultura, caratterizzata dall’entusiasmo per leggi anti-umane credendole progressiste e dal suicidio sociale della denatalità (…) la storia ci appare come un disastro, un disastro morale, un caos”. Bergoglio poi vede l’epitome di un “regresso antropologico” simile a quello dei barbari del 400 d.C., nell’ideologia di genere e nei tentativi di assimilare le unioni omosessuali al matrimonio, questa incultura “determina le catastrofi e, in definitiva, porta l’umanità, in un certo senso, a dover ricominciare da capo”. Per l’allora cardinale occorre partire dall’educazione su “tre o quattro certezze”: dal “chiedere permesso”; “dalle grandi certezze esistenziali. Per esempio, fare il bene ed evitare il male”; dalla misericordia; e dal credere “nell’esistenza del Demonio. Forse il suo maggior successo in questi tempi è stato farci credere che non esiste”».

Mostra a un collega un depliant sui danni dell’aborto. Licenziata. I legali: «Una misura totalitaria»

Mostra a un collega un depliant sui danni dell’aborto. Licenziata. I legali: «Una misura totalitaria»

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Medico londinese licenziata per insubordinazione ha accusato il Servizio sanitario nazionale di aver leso il diritto umano di libertà di espressione. Secondo l’accusa il suo libretto aveva «toni religiosi» 

Margaret ForresterreLa sua unica colpa è stata quella di mostrare a un collega un libretto sui danni psico-fisici dell’aborto, testimoniati direttamente da donne che li hanno subiti. E se un tempo gli sponsor della legge “sull’interruzione di gravidanza” la chiamavano l’extrema ratio, ora pare la considerino un diritto inalienabile, anteponendola, come in questo caso, alla libertà di coscienza e religiosa.

LA VICENDA. Margaret Forrester, 40 anni, medico e consulente psicologico londinese, ha accusato il Servizio sanitario nazionale (National Health Service) di lesione dei diritti umani, di libertà religiosa e di espressione. La vicenda non riguarda solo il suo licenziamento, ma un precedente trattamento protratto nel tempo contro di lei. Forrester, infatti, era già stata richiamata per aver solo parlato con un suo collega a riguardo dell’aborto, esponendogli le sue preoccupazioni per il fatto che alle pazienti veniva offerto come unica soluzione, senza prima vagliarne altre. Il medico poi aveva dato il libretto al collega e una settimana dopo i suoi superiori l’avevano invitata a dare spiegazioni, interrogandola sulle sue convinzioni non solo scientifiche ma anche religiose. Proprio quelle ritenute dallo stesso Servizio sanitario non plausibili di menzione. La donna ha comunque risposto di essere cattolica, benché non sia un requisito proprio di chiunque si interroghi di fronte alle testimonianze di persone che hanno abortito. Per questo Forrester non si è scusata della sua condotta. Anzi, durante il colloquio con i superiori, ha ribadito di non essersi pentita per aver mostrato il dépliant al collega.

ACCUSATA PER I “TONI RELIGIOSI”. Ma, nonostante la rivendicazione del suo diritto umano di espressione, il medico è stato accusato di insubordinazione e di aver fatto circolare un libretto dai «toni religiosi». C’è poi una terza accusa pendente su di lei: alla donna, prima di essere licenziata, erano state affidate mansioni definite addirittura «umilianti» dai suoi avvocati, ragione per cui è stata licenziata per aver rifiutato un nuovo ruolo.

CLIMA DI TERRORE. Il principale argomento dell’accusa, oltre alla lesione dei diritti umani della querelante, è il danno arrecato a tutti gli impiegati del Servizio sanitario che potrebbero temere di esprimere qualsiasi opinione anche solo fra colleghi, creando così un clima di terrore. Ma a rimetterci, hanno fatto notare i legali, sono soprattutto le pazienti in cerca di un’alternativa all’aborto. Il portavoce della difesa non ha però voluto controbattere giustificandosi così: «Non è appropriato commentare dettagliatamente un procedimento non ancora concluso».
E mentre Forrester ha citato in giudizio i suoi datori di lavoro anche per ingiusto licenziamento presso un altro tribunale, i suoi legali non hanno mancato di sottolineare che «se gli impiegati del Servizio sanitario nazionale non possono neppure discutere di aborto fra di loro, significa che è diventato un ente di stampo totalitario con nessun rispetto per la libertà e la diversità di pensiero».

Scarone: «Così  l’azzardo devasta il cervello»

Scarone: «Così l’azzardo devasta il cervello»

 Nei soggetti dediti in maniera patologica al gioco «vi sono evidenze di una modifica significativa nel funzionamento di alcuni circuiti cerebrali», implicati «nei processi decisionali e di gratificazione». Dunque: questi soggetti sono affetti da una vera e propria «malattia organica». Che va curata perché in caso contrario può portare a conseguenze drammatiche: dalla «disperazione fino al suicidio». Stavolta sarà complesso attribuire alla stampa toni allarmistici, visto che le parole sono di Silvio Scarone, titolare della cattedra di Psichiatria all’Università Statale di Milano e direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Ospedale universitario San Paolo del capoluogo lombardo.

Professore, ammetterà che quando ci si riferisce al gioco d’azzardo patologico (gap), è più frequente che si parli di «malattia sociale» e meno di «malattia organica»: dobbiamo imparare a utilizzare questa accezione?
È corretto parlare di malattia organica. Stiamo prendendo in discussione soggetti le cui condotte sono fuori dal controllo della loro volontà critica.

Con implicazioni anche sociali.
Certo. Le conseguenze di queste condotte portano a disastri economici con esiti spesso letali per l’individuo, per la sua famiglia e per la società; si pensi solo al fiorire, attorno a queste vicende, dell’usura.

Ricercatori di neuroscienze si stanno occupando frequentemente dei giocatori problematici e patologici: cosa si vuole comprendere? E quali risultati stanno dando le ricerche?
In questi soggetti sono in gioco fenomeni psicopatologici specifici, quali la impulsività, la perdita del controllo sulle proprie condotte, la compulsività, che significa essere in qualche modo “costretti” da forze interne sconosciute, a comportarsi in un modo che, razionalmente, si sa essere dannoso: le tecniche di visualizzazione cerebrale (risonanza magnetica funzionale, elettroencefalografia computerizzata) permettono di studiare questi fenomeni. In secondo luogo nel giocatore patologico sono esasperati i meccanismi che sottendono le scelte economiche, la rapidità delle decisioni rispetto ad esempio al calcolo della probabilità; tutto ciò, attraverso le stesse tecniche che prima citavo, può essere indagato allo scopo di comprendere meglio i meccanismi neurali che sono fondamentali nelle nostre attività di tutti i giorni.

A proposito di indagini: sembra che questo settore stia diventando così “appetibile” che oggi si sente parlare anche di neuroetica e di neuroeconomia. Ci aiuti a capire.
La neuroetica è quella branca delle neuroscienze che si occupa di studiare, proprio attraverso tecniche di visualizzazione cerebrale, i processi che sono alla base delle scelte morali, dei giudizi di bene e di male. Questa linea di ricerca, molto interessante ed altamente speculativa da un punto di vista neurobiologico, pone tuttavia, a sua volta, problemi etici non indifferenti; se arrivassimo alla conclusione che il soggetto non è responsabile delle proprie azioni, poiché è in realtà il suo cervello che, attraverso meccanismi inconsci, lo guida, allora il libero arbitrio, ad esempio , diverrebbe un aspetto della nostra vita morale da porre in discussione.

E la neuroeconomia?
La neuroeconomia studia nello stesso modo i meccanismi che sono alla base delle scelte e delle decisioni, in un campo, come quello dell’economia, dove l’utile e il guadagno sono punti di arrivo vincolanti, anche, talora, a scapito delle scelte morali.

Le discipline si allargano, dunque. Ma il diffuso “clima culturale” più che mai favorevole all’azzardo, può in parte aver impedito alla scienza, per un certo periodo, di occuparsi dei rischi per i giocatori?
No, non credo. La percentuale di giocatori patologici, rispetto a chi tiene sotto controllo un divertimento, è bassa; si può dire, invece, che la facilità con la quale ora si ha accesso ai giochi, anche online, permette di esporre un maggior numero di persone allo stimolo “gioco” e quindi è maggiore il rischio di rendere manifesta la suscettibilità (temperamentale, personologica, in definitiva, genetica) ad assumere comportamenti patologici.

Perdoni l’insistenza. Ma tornerei alla questione della volontà nel giocatore patologico: in certe occasioni può dunque addirittura essere annullata?
La volontà ha poco ruolo nelle situazioni di cui stiamo parlando; spesso il soggetto è consapevole del danno cui va incontro, ma non è in grado di comportarsi diversamente.

Vito Salinaro da Avvenire.it
Attentati alla libertà di coscienza cristiana. Ora se ne accorge anche l’Europa

Hadjadj: Non chiamateci fascisti, integralisti, omofobi. Noi siamo, semplicemente, dei “meravigliati”

di Fabrice Hadjadj da www.tempi.it

Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione. 

Fabrice_HadjadjPer gentile concessione dell’autore traduciamo un inedito del filosofo Fabrice Hadjadj, apparso sul sito printempsfrancais.fr e intitolato ”Meravigliatevi! Per un manifesto dei meravigliati”.

Non siamo degli indignati. Ciò che ci anima è un sentimento più primitivo, più positivo, più accogliente: si tratta di quella passione che Cartesio considera la prima e la più fondamentale di tutte: l’ammirazione. Essa è prima perché la si sperimenta di fronte alle cose che ci precedono, che ci sorprendono, che non abbiamo pianificato noi: i gigli dei campi, gli uccelli del cielo, i volti, tutte le primavere…  Prima di soddisfarci dell’opera delle nostre mani e della vittoria dei nostri princìpi, ammiriamo questo dato naturale. Questa è la colorazione affettiva che tentiamo di fare entrare nelle nostre azioni. Esse non sono motivate da uno stato d’animo triste o di rivendicazione. Non sono imbevute di amarezza. Non vorrebbero essere altro che rendimenti di grazie. Perché, a partire da questa ammirazione primigenia, esse devono fiorire in gratitudine verso la vita ricevuta, verso la nostra origine terrestre e carnale: il fatto che non ci siamo fatti da soli, ma che siamo nati, da un uomo e da una donna, secondo un ordine che sfuggiva a essi stessi.
Lungi dall’essere degli spiritualisti o dei moralizzatori, riconosciamo quella che Nietzsche chiamava «la grande ragione del corpo» e anche «lo spirito che opera dalla vita in giù». Sì, noi siamo meravigliati dall’ordinazione reciproca dei sessi, dal genio della genitalità. Certo, questa organizzazione stupefacente è come il naso in mezzo al nostro volto: tendiamo a non vederlo. Ci inorgogliamo di avere costruito una torcia, e dimentichiamo lo splendore del sole; idolatriamo la magia delle nostre macchine, e disprezziamo la meraviglia della nostra carne. Questa meraviglia la nascondiamo sotto le parole «biologico», «determinismo», «animalità», e assumiamo un’aria di superiorità, vantando le libere prodezze della nostra fabbrica. E tuttavia, che cosa c’è di più stupefacente di questa unione degli esseri più differenti, l’uomo e la donna? E cosa c’è di più sorprendente del loro abbraccio, chiuso sul suo proprio godimento, e che tuttavia si strappa, secondo natura, per permettere l’avvento di un altro, di un’altra differenza ancora: la futura piccola peste, il già disturbante, colui che chiamiamo «il bambino»? Jules Supervielle esprime con una precisione più che scientifica che la riduzione biologistica ci nasconde: «Ed era necessario che un lusso d’innocenza/ concludesse il furore dei nostri sensi?».

Perciò le nostre manifestazioni non sono quelle di una corporazione, ma quelle dei nostri corpi. Non partono da uno scopo politico o partitico, ma da un riconoscimento antropologico. Non cercano di prendere il potere, ma di rendere una testimonianza culturale a un dato di natura, in uno slancio di gratitudine. In greco «natura» si dice «fisis», parola che viene dal verbo «fuein», che significa «apparire» o. più precisamente, «manifestarsi». La natura non è anzitutto una riserva di energie, né una miniera di materiali manipolabili secondo la nostra volontà, ma una manifestazione di forme organizzate, spesso splendide al nostro sguardo.
Certo, la natura è anche ferita, disordinata: c’è la sofferenza, c’è la morte, c’è l’ingiustizia. Ma queste rovine ci fanno orrore proprio perché abbiamo anzitutto intravisto la sua generosità zampillante: se non avessimo percepito la bontà delle sue forme, non saremmo scandalizzati da ciò che la sfigura… Le nostre manifestazioni non hanno dunque altro motivo che di attestare lo splendore di questa manifestazione primigenia. Non riguardano il rapporto di forze. Si fondano su un’esigenza di ospitalità verso questa presenza reale, fisica, iniziale (non segare il ramo su cui siamo seduti, non pretendere di far sbocciare il fiore forzando il bocciolo). Ed è a causa di questo che le nostre manifestazioni dureranno fintanto che ci saranno peni e vulve, e la loro ordinazione reciproca anzitutto involontaria, e la loro fecondità che mette in discussione la nostra avarizia.

Ma è esattamente questa esigenza di ospitalità, questa relazione di meraviglia e di gratitudine verso la nostra origine, diciamo pure questo rapporto di debolezza, che risultano insopportabili a coloro che concepiscono tutto in termini di rapporti di forza. Vorrebbero che noi non fossimo altro che una fazione. Preferirebbero che mettessimo le bombe. Questa violenza gli risulterebbe meno violenta della nostra manifestazione elementare, quella della semplice presenza fisica di un uomo e di una donna, e di un bambino di cui essi sono anche il padre e la madre… Se non si trattasse che della nostra opinione, se non fosse altro che la nostra arroganza, potrebbero farci tacere. Ma come far tacere la presenza silenziosa del corpo sessuato?

Che ci sia permesso – dopo il richiamo di ciò che siamo per essenza: dei meravigliati – di insistere su cinque conseguenze importanti per noi come per gli altri. Perché non siamo al riparo dall’ingratitudine, e a forza di non essere riconosciuti nel nostro meravigliarci, l’indignazione può finire per offuscare questo fondamentale meravigliarsi, e rischiamo di cadere sia nello scoraggiamento, sia in una violenza illegittima.

1. Alcuni ci accusano di essere dei «fascisti», procedimento linguistico molto riduttivo, che permette di designare un nemico senza ascoltarlo, e che si richiama precisamente ai procedimenti del fascismo storico. Altri ci tacciano semplicemente di essere dei «reazionari», come se il fatto di reagire fosse in sé un male, e non un segno di vitalità, e come se la retorica del «progresso», che è stata tanto utile al Terrore e al totalitarismo, non fosse ormai esaurita. Altri diranno che facciamo quello che facciamo perché siamo dei «cattolici», o degli «ebrei integralisti», o dei «fondamentalisti musulmani»…
Ma no, siamo soltanto dei francesi, e più semplicemente ncora sia degli uomini e delle donne, molto lontani da qualsiasi puritanesimo e da qualsiasi fondamentalismo, ci incantano le natiche e non ci repelle l’ammirazione della congiunzione improbabile del «pisello» e della «passerina» e del pancione che ne deriva. Con maggiore precisione ci si potrebbe collocare fra i fautori di un’ecologia integrale. Ma questo genere di classificazione viene rifuggita per timore di dover riconoscere le contraddizioni dei numerosi movimenti ecologisti odierni, ma anche perché non c’è niente, in fondo, che ci si può rimproverare, ovvero il rimprovero può colpirci soltanto colpendo anche il dato rappresentato dalla carne. Se siamo fascisti, bisognerebbe concludere che la natura stessa è fascista, e che è necessario eliminarla, cosa che presenta un certo numero di inconvenienti.

2. Molti non comprendono perché manifestiamo contro una riforma del codice civile che soddisfa gli interessi di qualcuno mentre non lede i nostri (non si parla, comunque, degli interessi del bambino). Effettivamente, ecco qualcosa che lascia senza parola gli utilitaristi di ogni sponda: non manifestiamo per il trionfo dei nostri interessi particolari. Cerchiamo soltanto di testimoniare ciò che è anteriore a ogni interesse, cioè il dono della nascita.

3. È esattamente ciò che arriva a nascondere lo slogan dell’«uguaglianza» che ci viene servito in tutte le salse, senza riflettere su ciò che questo termine significa, sulle minacce di livellamento che comporta, ovvero su quelle di «riduzione» che ha sempre contenuto. C’è un’evidente e naturale diseguaglianza fra la coppia formata da un uomo e una donna e quella di due uomini o di due donne.
Per rendere uguali le condizioni, è necessario ricorrere all’artificio, e passare dalla nascita alla fabbricazione, dal “born” al “made”… Dietro la pretesa legalizzazione giuridica, c’è dunque un assoggettamento tecnocratico, e il progetto di produrre persone non come persone, dunque, ma come prodotti, in base ai nostri capricci, secondo la legge della domanda e dell’offerta, in conformità ai desideri fomentati dalla pubblicità: «Un bambino à la carte, la vostra piccola cosa, l’accessorio della vostra autorealizzazione, il terzo compensatorio delle vostre frustrazioni; infine, per una modica somma, il barboncino umano!».

4. Ecco perché non siamo «omofobi». Siamo meravigliati dai gays veramente gai, dai «folli» senza gabbia, dai saggi dell’inversione. L’amore della differenza sessuale, così fondamentale, con quello della differenza generazionale (genitori/figli), ci insegna ad accogliere tutte le differenze secondarie. Se io, uomo, amo le donne, così estranee al mio sesso, come potrei non avere simpatia, se non amicizia, per gli omosessuali, che mi sono, in definitiva, molto meno estranei?
D’altra parte ce ne sono sempre stati, che non avevano paura di affermare la loro differenza, di assumere una certa eccentricità, un lavoro ai margini. Allo stesso modo, noi crediamo che ciò che è veramente «omofobo» è lo pseudo-«matrimonio gay». Siamo di fronte a un tentativo di imborghesimento, di normalizzazione dell’omofilia, di annientamento della sua scortesia sotto il codice civile. Che bel dono questo «matrimonio» che non è altro che un arrangiamento patrimoniale o un divorzio rinviato! Purché gli omosessuali rientrino nei ranghi, e che siano sterilizzati soprattutto nella fecondità che è loro propria.
Perché, chi ignora la loro fecondità artistica, politicae, letteraria, nella compassione? Gli antichi Greci la intendevano così: liberi dai doveri familiari, potevano consacrarsi maggiormente al servizio della Polis. Sapevano che i loro amori avevano qualcosa di contro-natura, ma non per questo disprezzavano la natura (di là, molto spesso, l’amore per la loro madre – vedi Proust o Barthes), e vi trovavano risorse per l’arte.

5. Come potremmo, meravigliati come siamo, lanciarci in azioni violente, denigratorie, esclusive? Una volta di più: non cerchiamo una vittoria politica. Non siamo nemmeno sicuri che ci sia veramente qualcosa da salvare in questo matrimonio privatizzato, che non ha più nulla di repubblicano da parecchio tempo. Ed è per questo che, malgrado la sconfitta legislativa (ma quando vediamo la trappola mediatica e partitica nella quale si trovano i nostri legislatori, ci domandiamo se davvero dobbiamo occuparci di questo), noi continueremo a manifestare: senza armi, senza odio, persino senza slogan, ma con la nostra piccola epifania di creature di carne, ossa e spirito.

(traduzione di Rodolfo Casadei)