da Baltazzar | Mag 29, 2013 | Cultura e Società, Post-it, Segni dei tempi

«L’uso di sostanze stupefacenti e il gioco d’azzardo patologico sono strettamente correlati: chi sviluppa dipendenza dalle droghe, può svilupparla anche dal gioco perché la base neuro-fisiologica è la stessa…».
Le parole del direttore del Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, Giovanni Serpelloni, descrivono l’inquietante “relazione pericolosa” fra due devastanti dipendenze, tratteggiata ieri dai nuovi dati della Relazione 2013 stilata dai suoi esperti, in procinto di essere presentata al Parlamento. Alcuni estratti sono stati anticipati ieri a Roma, insieme all’annuale Relazione europea sulle droghe, stilata dall’Osservatorio delle droghe e delle tossicodipendenze di Lisbona (Emcdda), che descrivono un complessivo calo dei consumi delle diverse sostanze, ma la cannabis viene ancora utilizzata da 77 milioni di persone.
Droga, azzardo e alcol. Per la prima volta, spiega Serpelloni mostrando sul grande schermo alcune tabelle, sono stati incrociati i dati sull’uso di stupefacenti in Italia (relativi al 2012-2013), con quelli relativi alla frequenza di gioco: «Per chi non ha mai giocato, è stato rilevato un uso di sostanze solo nel 3% dei casi», avverte, mentre «per chi gioca tutti i giorni, dunque un giocatore problematico, c’è un uso di sostanze nel 12% dei casi». Inoltre, prosegue, «nei giovani abbiamo visto che il rapporto è ancora più evidente. Tra chi non gioca l’uso di sostanze è al 17,5%; per chi pratica i cosiddetti giochi sociali (non pericolosi) si passa al 24,4%; nel gioco problematico la percentuale arriva al 34,1%; mentre per il gioco patologico si sale, addirittura, al 41,7%». Una situazione di fragilità che potrebbe comportare anche un rapporto più frequente con gli alcolici: «Il giocatore problematico o patologico – ragiona il capo del Dpa – ne fa un uso maggiore».
Cannabis regina. Un quarto degli adulti europei (circa 85 milioni di persone) ha dichiarato di aver fatto uso di stupefacente. La “regina” dei consumi risulta essere la cannabis: 77 milioni dicono di averne fatto uso (20 milioni nel 2011, 3 milioni in media ogni giorno). Il consumo è in leggero calo, ma il mercato resta ampio e in quasi tutti i Paesi si segnalano coltivazioni domestiche e nel 2011 il numero di sequestri di marijuana in Europa ha rappresentato il 41% del totale. Inoltre crescono di un terzo coloro che hanno iniziato un trattamento per dipendenza: da 45mila casi nel 2006 a 60mila nel 2011.
Coca: Firenze e Roma prima di Milano. Nella classifica delle droghe usate nella Ue, segue la cocaina: 14,5 milioni di adulti europei l’hanno usata almeno una volta, 3,5 milioni nell’ultimo anno. Ma ci sono segnali di riduzione dell’uso tra i giovani (15-34 anni) nei 5 Paesi a maggiore prevalenza: Danimarca, Irlanda, Spagna, Italia e Regno Unito. In drastico calo i sequestri di “neve”: nel 2011, 86mila contro i 100mila del 2008, con dimezzamento della quantità. Secondo le analisi delle acque reflue, commissionate dal Dipartimento antidroga nell’ottobre 2012, Firenze è la capitale italiana della coca («9,5 dosi al giorno su 1.000 abitanti»), seguono Napoli («9,1»), Roma («8,7») e infine Milano («6,5»), che perderebbe così la poco onorevole palma di «Coca city» attribuitale da libri e quotidiani.
Ero e anfetamine. C’è anche una riduzione dell’abuso di eroina, specie per iniezione (con conseguente calo delle infezioni da hiv, salvo alcuni recenti focolai di hiv in Grecia e Romania): le 6,1 tonnellate sequestrate nella Ue nel 2011 sono la quantità più bassa del decennio. Anfetamine ed Ecstasy sono stati utilizzati rispettivamente da 2 milioni di europei, ma nel 2012 il Sistema di allerta rapido Ue ha notificato 73 nuove sostanze, di cui 30 cannabinoidi sintetici, che imitano l’effetto della cannabis.
<+nero>Meno vittime e cure in aumento.<+tondo> Secondo l’Osservatorio di Lisbona, nel 2011 un milione e 200mila europei si sono sottoposti a trattamenti. I più numerosi per problemi di eroina (730mila in terapia con farmaci sostitutivi), seguiti da consumatori di cannabis e di coca. L’altra “buona” notizia è il calo dei decessi per overdose, scesi a 6.500 rispetto ai 7mila del 2010 e ai 7.700 dell’anno prima. Secondo i dati italiani, conclude Serpelloni, «le regioni più colpite dai decessi per intossicazione acuta di droghe sono l’Umbria e le Marche. La prima detiene addirittura il tasso di decessi per abitanti più alto d’Europa».
Vincenzo R. Spagnolo da www.avvenire.it
da Baltazzar | Mag 27, 2013 | Cultura e Società, Post-it, Segni dei tempi
di Leone Grotti da www.tempi.it
Quindici paesi in Europa vietano l’obiezione di coscienza su aborto, pillola del giorno dopo e matrimoni gay ai cristiani
Gli attentati alla libertà religiosa non riguardano solo i cristiani di Asia, Medio Oriente e Africa. Le limitazioni alla libertà religiosa, di coscienza e di espressione dei cristiani crescono anche in Europa, come dimostra il Rapporto 2012 dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa presentato a Tirana durante la conferenza dell’Ocse. Come dichiarato alla presentazione da Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della Libertà Religiosa istituito dal Ministero degli Esteri, «Abbiamo contato in Europa 41 leggi suscettibili di influire negativamente sulla libertà religiosa dei cristiani in 15 Paesi, tra cui non c’è fortunatamente l’Italia».
OBIEZIONE DI COSCIENZA. Scendendo più nel dettaglio, in 11 paesi europei sono state approvate leggi che minano il diritto all’obiezione di coscienza, che l’articolo 10.2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea riconosce esplicitamente a tutti gli individui. L’obiezione di coscienza – che tocca da vicino i medici sull’aborto così come i farmacisti sulle pillole abortive o i dirigenti del Comune sulle unioni civili o matrimoni gay – non è pienamente riconosciuta in Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Irlanda, Lituania, Olanda, Polonia, Spagna, Svezia e Regno Unito.
OBIETTORI NON ASSUNTI. Non tutte le legislazioni dei paesi citati violano questo diritto allo stesso modo: in Svezia e in Lituania, ad esempio, l’obiezione di coscienza semplicemente non esiste e quei medici che si rifiutino di praticare un aborto possono essere puniti o multati. In Olanda l’obiezione è invece prevista dall’articolo 20 della Legge sull’interruzione di gravidanza, ma per diventare ostetrici o ginecologi è necessario prendere parte a operazioni abortive. Per ragioni organizzative, un ospedale può rifiutarsi di assumere un medico solo perché obiettore. La stessa cosa vale per la Francia, che in sede europea ha chiesto l’abolizione dell’obiezione di coscienza per i medici. Nel Regno Unito, la quarta sezione del Abortion Act del 1967 prevede l’obiezione di coscienza ma le linee guida diffuse nel 2012 prevedono che i dottori debbano «essere pronti a mettere da parte le proprie convinzioni personali» quando si tratta, ad esempio, di prescrivere la pillola abortiva.
PILLOLA ABORTIVA. L’obiezione di coscienza, secondo il rapporto, spesso non è riconosciuta neanche ai farmacisti. In Austria, se un medico può rifiutarsi di far abortire una donna, un infermiere pena il licenziamento non può rifiutarsi di fornire ai clienti la pillola abortiva del giorno dopo. Lo stesso è previsto dalla legge in Francia, Polonia, Irlanda, Spagna e Svezia.
MATRIMONI GAY. Le stesse difficoltà dei medici e dei farmacisti sono riscontrate da quei dipendenti che vogliano fare obiezione quando si stratta di registrare unioni o matrimoni omosessuali. In Belgio non è possibile rifiutarsi di registrare un matrimonio gay così come i proprietari di saloni adatti ad ospitare feste di matrimonio non possono negare l’affitto a una coppia gay. Anche in Spagna un dipendente pubblico non può rifiutarsi di celebrare una unione tra persone dello stesso: perché non voleva registrare un’unione gay, nella città di Pinto, Juez de Paz è stato costretto a licenziarsi. Legislazione simile nel Regno Unito, dove Lillian Ladele, nel 2006, è stata licenziata perché non voleva registrare un’unione omosessuale.
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE. In molti paesi è poi minata la libertà di espressione dei cristiani, che spesso non possono esprimere opinioni contrarie all’omosessualità, neanche rifacendosi alla Bibbia, senza che queste vengano tacciate e sanzionate come “discorso d’odio”. In Francia una legge dell’8 dicembre 2004 vieta di parlare in pubblico male dell’omosessualità. Un cristiano, ad esempio, non può citare la Bibbia quando dice che “l’omosessualità è un peccato”. In Svezia, per lo stesso motivo, si può essere condannati fino a due anni e a pene pecuniarie fino a 2 mila euro. Nel Regno Unito è vietato esprimersi su questo tema dal 1986. Per questo nel 2008 Anthony Rollins è stato arrestato dopo aver detto che la condotta gay è moralmente sbagliata. Nel 2010 Dale McAlpine è stato fermato dalla polizia per sette ore. Per lo stesso motivo, pochi mesi fa, Robert Haye è stato licenziato e sospeso dal suo ruolo di insegnante.
LIBERTÀ EDUCATIVA. Alcune legislazioni negano perfino il diritto dei genitori di educare i figli. In Belgio, ad esempio, gli asili pubblici e privati sono obbligati a introdurre il tema dell’omosessualità e a parlarne bene, mentre bisogna stigmatizzare quelle religioni che la criticano. In Francia nelle scuole, anche private, non si possono tenere dibattiti su aborto e omosessualità, come richiesto dal ministero dell’Educazione, per evitare “casi di omofobia”. In Germania l’homeschooling è vietato, in Slovacchia molto limitato. La Spagna prevede in modo obbligatorio per tutti i bambini tra i 10 e i 16 anni, nelle scuole pubbliche e private, l’educazione alla Cittadinanza, ritenuta dai genitori e dall’attuale governo un “indottrinamento”. In Svezia nel 2011 l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole, per ragazzi di 11 e 12 anni, ha previsto un corso molto spinto ed esplicito sul sesso e la contraccezione. Non si parlava di fedeltà e astinenza.
da Baltazzar | Mag 27, 2013 | Cultura e Società, Post-it, Segni dei tempi
Benedetta Frigerio da www.tempi.it
L’apertura è arrivata dopo le pressioni di attivisti omosessuali. L’allarme del Sistema sanitario nazionale: «Il 75 per cento dei maschi a cui è stato diagnosticato l’Hiv ha rapporti con altri maschi»
Il Canadian blood service (Cbs), l’ente canadese per la donazioni del sangue, martedì scorso ha messo fine alla politica che seguiva dal 1977 dopo numerose pressioni da parte degli attivisti omosessuali . Ha permesso anche alle persone che hanno relazioni sessuali con partner dello stesso sesso di donare il sangue. L’unica condizione è che non abbiano avuto rapporti sessuali nei cinque anni precedenti.
COMPROMESSO RISCHIOSO. Per 35 anni il Cbs ha posto un divieto assoluto ma negli ultimi mesi le proteste degli attivisti sono aumentate fino a spingere l’ente verso un compromesso che a tanti appare ancora rischioso. Mercoledì scorso, infatti, dopo che parte della galassia gay ha affermato che la clausola “dei cinque anni” è ancora discriminatoria, è intervenuto per controbattere uno dei rappresentanti della sanità pubblica del Paese.
AIDS IN CANADA. Robert Cushman, direttore generale del direttivo delle terapie biologiche e genetiche del Sistema sanitario nazionale, ha dichiarato: «Approssimativamente la metà dei nuovi casi di Hiv in Canada riguarda persone che hanno rapporti con partner dello stesso sesso. Addirittura il 75 per cento dei maschi a cui è stato diagnosticato il virus ha rapporti con altri maschi». I numeri canadesi corrispondono all’incirca a quelli rilasciati dal documento sull’Hiv pubblicato a inizio anno dal Centers for disease control, l’organismo di controllo della sanità pubblica americana. Qui si parla del 79 per cento delle diagnosi di Hiv fra i maschi omosessuali.
RAPPORTI GAY RISCHIOSI. Cushman ha poi sottolineato che standard differenti sono necessari e si basano su valutazioni di tipo scientifico: «Sarebbe ingiusto rendere disponibile il sangue di cui conosciamo bene i pericoli. I rapporti omosessuali sono rischiosi. Ci sono ragioni anatomiche, ci sono spiegazioni scientifiche. Penso che sarebbe un comportamento negligente non guardare a due fattori di rischio che rappresentano le cause principali delle malattie del sangue». La paura è che accada quanto già avvenuto alla Croce Rossa canadese nel 1983, che fu giudicata colpevole di negligenza quando centinaia di persone si ammalarono di Aids e di epatite C a causa di sangue contaminato.
da Baltazzar | Mag 27, 2013 | Islam, Post-it, Segni dei tempi
di Stefano Magni da www.lanuovabq.it
Boston, Stoccolma, Londra, sono le tappe di una nuova guerra di religione nel cuore dell’Occidente. Due bombe a Boston hanno risvegliato l’opinione pubblica sul fatto che il terrorismo jihadista esiste. Gli autori erano due fratelli ceceni, musulmani, uno dei quali era diventato un radicale islamico, “attenzionato” dai servizi segreti russi che lo avevano segnalato, invano, ai colleghi statunitensi.
Questa settimana i quartieri a maggioranza musulmana di Stoccolma, a partire da Husby, sono stati messi a ferro e fuoco. Gli assalitori che attaccano la polizia, bruciano auto e locali, lanciano molotov, gridano “Allah Akhbar”, come si può udire molto bene in più di un filmato mandato (da loro stessi) su YouTube. La scintilla è stata provocata dall’uccisione, da parte della polizia, di un violento armato di machete, che minacciava la vita di una donna e aveva aggredito gli stessi agenti.
Altri due uomini armati di machete, radicali islamici, a Londra hanno ucciso, sgozzandolo, un soldato britannico, Lee Rigby. Uno dei due, Michael Abedolajo, ha dichiarato nella sua estemporanea rivendicazione filmata con un cellulare: “Nessuno di voi potrà dirsi al sicuro (…) Noi abbiamo fede in Allah e non finiremo mai di combattervi”.
E solo ora ri-scopriamo, dopo anni di sonno, che esiste un nemico interno. Nemmeno un appassionato di teorie cospirative arriverebbe a ipotizzare uno scenario come quello che stiamo vivendo in quest’ultimo mese. Tre grandi attacchi, in tre città occidentali, sempre condotti da radicali islamici. Sembrerebbe un’offensiva coordinata. Invece non la è. E quindi è molto peggio.
A unire i puntini di questo mosaico di eventi non è un unico piano. Ma un’unica cultura. Che è quella dell’islam fondamentalista. Non c’è un disegno coordinato, ma ci sono tanti manifesti. Abedolajo, per esempio, si è convertito dal cristianesimo all’islam, convinto dall’imam radicale Anjem Choudary. Il quale, in un discorso tenuto in un anniversario dell’11 settembre, aveva proclamato: “L’islam è superiore e non sarà mai sorpassato. La bandiera dell’islam sarà issata a Downing Street”. Come? Molto semplice: con la procreazione e il proselitismo. Procreazione: l’islam radicale, secondo l’imam, può vincere anche solo figliando. A Londra abita circa 1 milione di musulmani su una popolazione di 8. In alcuni quartieri, i musulmani sono già maggioranza. Proselitismo: dopo l’11 settembre i convertiti all’islam sono raddoppiati rispetto agli anni precedenti. In questi dodici anni di guerra al terrorismo si sono moltiplicati i fondamentalisti fra quelli che, fino a poco prima, erano musulmani non militanti. Vale lo stesso discorso per la Svezia, dove l’immigrazione, più che sul lavoro, è fondata sull’asilo politico. Non esistono statistiche sulla filiazione ideologica di quanti hanno ottenuto rifugio nel Paese scandinavo, non sappiamo, in percentuale, quanti di questi sono fuggiti dagli Stati che li opprimevano perché troppo jihadisti. Ma vediamo gli effetti: Stoccolma ne è un esempio.
“Nessuno di voi potrà dirsi al sicuro”, dichiarava Abedolajo con le mani grondanti del sangue del soldato appena ucciso. Questa frase non è solo sua. E’ dello stratega di Al Qaeda Abu Bakar Naji, autore di un altro dei manifesti fondamentali del moderno jihadismo: “Governare alla macchia” (Ederat al Wahsh). Naji ritiene che la guerra santa debba essere condotta in tutto il mondo, ovunque vi sia una presenza musulmana. Predica la costituzione di “aree islamiche” all’interno delle società occidentali. Non vuole che venga creato alcun governo, che potrebbe avere problemi con lo Stato occidentale che lo ospita, ma “società parallele”, con le proprie leggi e istituzioni, con le proprie forze dell’ordine ed eserciti, all’interno delle città che le ospitano. Sotto il naso delle autorità.
Questa strategia è pericolosa non solo per i cristiani, che si troverebbero perseguitati dai vicini islamici come avviene in Nigeria o in altre società “miste” dell’Africa. E’ pericolosa anche per gli stessi musulmani che vivono all’estero e non vogliono avere nulla a che vedere con il fondamentalismo. Naji si rivolge soprattutto a loro. La sua strategia è stata concepita apposta per riportarli all’ordine, per evitare che si facciano attrarre troppo dalle tentazioni di una società “infedele”.
Queste ideologie si nutrono del multiculturalismo che gli viene offerto dalle società europee e nordamericane. I leader radicali islamici, convinti di colonizzarci, sanno che possono chiedere e ottenere, uno dopo l’altro, tutto quello che vogliono. Possono avere loro tribunali che giudicano in base alla Sharia e corpi di polizia ausiliari controllati da musulmani (come nel caso della Gran Bretagna). Possono ottenere quartieri tutti loro, dove imporre il costume islamico (come avviene in molti quartieri di città inglesi e svedesi). Sanno che un governo occidentale, se deve decidere di dialogare con un’organizzazione musulmana liberale o con una fondamentalista, sceglie di parlare con (e magari anche finanziare) quest’ultima, come avviene regolarmente negli Usa.
Perché il musulmano liberale è dato per scontato, è “inutile”, mentre il dialogo viene orientato solo con chi predica l’odio, nel vano tentativo di convincerlo a diventare un interlocutore. L’islam fondamentalista sa di vivere in società che rifiutano la propria identità e stanno cercando di imporre la loro.
da Baltazzar | Mag 22, 2013 | Cultura e Società, Segni dei tempi
In Germania è ora possibile dare legalmente un nome, e dunque un’identità giuridica e una sepoltura ufficiale, ai bambini nati morti anche se di peso inferiore ai 500 grammi.
Finora in Germania li chiamavano Sternenkinder, bambini delle stelle, il loro nome infatti era scritto solo in cielo, nessuna traccia sulla terra. Oggi questi piccoli nati morti potranno essere iscritti dai genitori che lo vorranno nel registro civile ed avere una degna sepoltura. Lo ha stabilito il Bundestag e la legge è entrata in vigore mercoledì scorso.
I bambini non nati, anche se morti durante la gravidanza, vengono quindi ufficialmente inseriti nel “mondo” degli esseri umani.
L’essere umano è sempre un essere umano: dal momento iniziale, in cui incomincia ad apparire nel mondo dell’esistenza, quando lo chiamiamo embrione o feto, è già uno di noi. La legge tedesca indica una strada ma è una strada ancora da percorrere a lungo, per arrivare all’affermazione che l’uomo è sempre portatore di una eguaglianza e di una dignità che è il valore supremo e che è da rispettare sempre.
È la strada seguita da UnoDiNoi. La coincidenza con la legge tedesca non può che rafforzare la campagna di raccolta delle firme e spingere le Istituzioni europee a far propria l’istanza per la dignità dell’embrione che l’iniziativa porta con sé.
da www.zenit.org
da Baltazzar | Mag 21, 2013 | Cultura e Società, Segni dei tempi

Denunce. Allarmi. Appelli. «Abbiamo chiesto a venti Procure della Repubblica, una per regione, il sequestro e la chiusura delle sale Vlt, quelle delle macchinette video poker e
slot machine», ha annunciato il presidente del Codacons Carlo Rienzi, durante un convegno organizzato dallo stesso Coordinamento a Roma sul gioco d’azzardo. «Sono sale terribili – ha spiegato – perché distruggono la salute dei giocatori. Senza aria, senza luce, con fumo e rumori e dove la psiche umana viene distrutta».
Un giocatore su tre è ludopatico. L’ennesimo allarme. Un terzo dei frequentatori abituali delle sale giochi è ludopatico: in prevalenza maschi, stranieri, disoccupati e con basso livello di istruzione. Come racconta l’indagine curata da Matteo Temporin, dell’Università Cattolica di Brescia, condotta su un campione di 300 giocatori in 20 sale sparse su tutto il territorio nazionale.
Perdono in media 40 euro al giorno. I risultati dell’indagine registrano poi che l’85% dei giocatori in una giornata perde in media 40 euro su circa 300 partite giocate, mentre il restante 15% riesce a vincerne circa 120. Un altro dato inquietante è che, all’interno del 30% che presenta profilo da giocatore d’azzardo patologico, nessuno si cura, oltre a presentare problemi di relazione.
La metà è disoccupato. Complessivamente, ancora, il 50% dei ludopatici è disoccupato, il 17% studente, il 25% casalinga, il 27% un libero professionista, il 34% un lavoratore dipendente, il 17% è un pensionato e il 47% un lavoratore saltuario. Quanto al titolo di studio, secondo l’indagine, il 35% si è fermato alle scuole elementari o medie, il 31% ha fatto le superiori e solo il 18% ha una laurea. Sempre il 34% è celibe, il 30% coniugato, il 33% divorziato, il 14% vedovo e il 21% convivente. Tra questi “malati di gioco”, infine, il 60% frequenta le sale tra le 5 e le 7 volte alla settimana.
«Meno spot, meno sale e decentrate». Scende in campo pesantemente anche il capo del dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, Giovanni Serpelloni, con il suo slogan: «Meno spot e meno sale gioco», ma anche sale in luoghi lontani dalle scuole e dai centri cittadini. Il governo – ha spiegato – «è sensibilissimo al problema del gioco d’azzardo. Come Dipartimento stiamo supportando l’osservatorio che abbiamo attivato presso i monopoli, ci siamo impegnati ad attivare un sistema informativo per capire quanti sono, dove sono e come vengono curati i ludopatici».
«Chiedo allo Stato danni per 10 milioni». Intanto è partita la prima iniziativa risarcitoria avanzata da una persona ludopatica: «Un giovane di 31 anni che si è rovinato con il gioco – ha detto Rienzi –. Un ragazzo con un buon lavoro, che però si gioca tutto quello che guadagna». E che ha chiesto dieci milioni di euro allo Stato, appunto come risarcimento.
Questione sociale gravissima. Del resto la ludopatia rappresenta «una difficile sfida» e «una questione sociale gravissima – ha scritto in un messaggio al convengo del Codacons il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – che, secondo alcune stime, può interessare il 2-4% della popolazione, costituendo dunque anche un importante problema di salute pubblica».
Combattere su ogni fronte la dipendenza.La dipendenza dal gioco d’azzardo va combattuta «su ogni fronte», a sentire la presidente della Camera Laura Boldrini – che ha scritto anche lei un messaggio al convegno –, perché «la dipendenza costituisce una piaga sociale tra le più insidiose del nostro tempo, per le conseguenze che comporta sulla salute dei giocatori e sui suoi familiari e per il rischio che finiscano nella morsa dell’usura».
Allora va promossa «una campagna di informazione e prevenzione sul tema delle ludopatie», che «educhi alla consapevolezza dei limiti che ognuno di noi deve ben conoscere ed osservare quando punta somme di denaro in uno dei tanti giochi presenti sul mercato e sul web». In questo quadro – conclude la Boldrini – le scuole dovranno svolgere «un ruolo chiave», specie per «il consistente aumento della diffusione dei giochi d’azzardo anche tra i più giovani».
Pino Ciociola da www.avvenire.it