La televisione ci vuole omosex

La televisione ci vuole omosex

di Marianna Ninni da www.libertaepersona.org

La recente vittoria al Festival di Cannes di La vie d’Adèle, film che racconta dell’amore tra due donne poco più che adolescenti, non è un caso. Si inserisce in un filone televisivo-cinematografico di esaltazione dell’omosessualità, sempre più invadente, che si pone quale anticipazione di cambiamenti sociali. Ormai non si contano i prodotti, soprattutto televisivi, dove si descrive la condizione dell’omosessuale come umanamente buona. Una scelta che è il frutto di un sottile gioco di costruzione mediatica a totale appannaggio di un elite orientata a favorire l’emergere di ideologie e la completa accettazione di valori a senso unico. E’ anche ciò che emerge da una serie di studi sulla comunicazione cinematografica e televisiva in cui si indaga il ruolo dello stereotipo dell’omosessuale.

Ne è un esempio il rapporto stilato dall’associazione del GLAAD (Gay and Lesbian Alliance Against Defamation) che evidenzia un trend in continua crescita di personaggi omosessuali e di precise linee narrative all’interno degli show di produzione dei più importanti network televisivi americani. Secondo il report “Where we are on Tv” relativo alla stagione 2012-2013, infatti, la percentuale di personaggi LGBT (lesbo-gay-bisex-trans) è salita al 4.4%, contro il 2,9% della stagione precedente. Si sta perciò assistendo a un vero e proprio record di personaggi omosessuali in Tv che “riflettono un cambiamento culturale nel modo in cui gay e lesbiche sono visti nella società”, afferma Herndon Graddick, presidente del GLAAD.

Molti di questi prodotti sono arrivati da tempo anche sul mercato italiano, e non si fa fatica a riconoscere un modo di presentare la condizione dell’omosessualità come normale e idilliaca. A farla da padrone sono soprattutto le sitcom, dove si fa uso di un umorismo spesso dissacrante per superare le barriere difensive dello spettatore.

Esempio di grande successo è rappresentato da Will & Grace, sitcom trasmessa in chiaro su Italia 1 dal 2003 al 2007, in cui si racconta dell’amicizia tra l’avvocato gay dichiarato Will Truman e l’eterosessuale ebrea Grace Adler. Per ben otto stagioni si assiste alle vicende di due giovani newyorkesi incapaci di andare incontro a relazioni umane serie e durature. Il rapporto morboso tra i due si gioca intorno ad una doppia condizione di emarginazione, descritta dallo studioso americano Vincent Brook, come una sorta di “alleanza ebraica con l’altro emarginato” e dove la condizione di ebrea di Grace sembra più semplice rispetto a quella di omosessuale dell’amico. Mentre l’ebraismo appare infatti come normale, l’omosessualità viene trattata come elemento a-normale all’interno di una società in cui il pregiudizio è forte e risulta difficile trovare un proprio spazio.
Non è un caso, quindi, che la maggior parte della battute ruotino proprio intorno all’omosessualità di Will. Giocando su un tipo di umorismo tipicamente yiddish, su personaggi chiaramente simpatici ed empatici, su un linguaggio e una scrittura brillante, Will & Grace favorisce l’emergere di due diversi stereotipi omosessuali che si sono largamente diffusi nella società mediatica. Ad un “sensibile, profondo e altruista” Will, si contrappone un “egocentrico, superficiale e narcisistico” Jack. Entrambi si muovono all’interno della serie ostentando in maniera eccessiva il linguaggio del corpo e celebrando solo l’importanza dell’aspetto fisico ed esteriore. Il successo della serie ha contribuito alla diffusione di ulteriori prodotti mediatici che, correndo dietro al cosiddetto “Will&Grace Effect”, favorivano una visione benigna e una normalizzazione dell’omosessualità.

A cominciare dal più recente Modern Family, altra sitcom americana creata da Christopher Lloyd e Steven Levitan e trasmessa sui canali Fox e in chiaro su Mtv. La famiglia moderna firmata Lloyd-Levitan si sviluppa su di un nucleo allargato e del tutto nuovo composto da tre diverse famiglie: quella di nonno Jay, uomo affascinante, giovanile e risposato con la sensuale colombiana Gloria, molto più giovane di lui e già mamma del simpatico Manny, della figlia Claire, sposata con lo stralunato Phil e madre di tre figli, e del gay dichiarato Mitchell sposato con Cam. Questi ultimi sono anche i genitori adottivi di una bambina di origine vietnamita di soli 3 anni ed è spesso intorno alla loro condizione di gay che si creano la maggior parte delle situazioni comiche e grottesche.

Senza dimenticare la recente The New Normal, sitcom attualmente trasmessa sui canali Fox, in cui una mamma surrogata porta avanti una gravidanza per poter permettere ad una coppia di omosessuali di crescere un bambino come una nuova famiglia normale. Curioso il titolo dello show dove l’aggettivo “normale” viene accostato a “nuovo”.

Ma la normalizzazione mass mediatica delle relazioni omosessuali non si relega alla sola sitcom e si estende a numerosi altri generi televisivi molto amati dagli adolescenti. In Dawson’s Creek, serie creata dal gay dichiarato Kevin Williamson, andata in onda su Italia 1 dal gennaio del 2000 al dicembre del 2003 e ancora oggi replicata su diversi canali del digitale terrestre, una delle linee narrative di sviluppo è dedicata alla figura dell’omosessuale Jack, un giovane che scopre di essere gay e che deve andare incontro sia al processo di accettazione di una diversa sessualità sia allo scontro molto duro con un padre e con una società che non ne accetta la condizione. Nel corso delle sei stagioni, il ragazzo si troverà ad affrontare qualsiasi tipo di pregiudizio ma ne verrà fuori come uomo maturo e sicuro di sé. Nel finale Jack riesce a coronare il suo sogno d’amore nella relazione stabile con il poliziotto Doug, che riflette, al contrario di Jack, la figura del gay insicuro e timoroso di dover affrontare i pregiudizi e le critiche tipiche della mentalità di una piccola cittadina di provincia. Calzante, a riguardo, una delle scene finali dell’ultima puntata in cui i due decidono di crescere insieme la bimba dell’amica scomparsa Jen e si baciano senza riserve davanti ad una coppia di anziani del paese per dimostrare che non c’è nulla di anormale nel loro amore.

Dalla cittadina di provincia di Capeside alla famiglia felice di Brothers &Sisters di Jon Robin Baitz. Tra i figli di Norah Walker c’è anche l’avvocato gay Kevin, interpretato da Matthew Rhys. La serie ABC, trasmessa in Italia in prima serata su Raidue dal 2008 al 2012, dedica ampio spazio alla figura di questo personaggio mostrando le sue relazioni con uomini diversi e le continue battaglie contro un sistema ipocrita. Nella serie, Kevin riuscirà a costruire una famiglia insieme al cuoco gay Scotty. I due, proprie come tante coppie etero, si troveranno a dover affrontare il lungo e problematico iter legato al processo di adozioni ma la determinazione e il supporto di una famiglia sempre presente li aiuterà a superare qualsiasi difficoltà. Nel caso specifico, inoltre, la condizione dell’omosessuale viene rincarata anche dalla figura di Saul, fratello di Norah, che scopre di essere affetto di AIDS. A trasmettergli il virus dell’HIV una sua vecchia fiamma (Jonathan – Richard Chamberlain). Nonostante la rabbia e l’iniziale riluttanza provocata dalla triste condizione causata dalla malattia, il personaggio di Saul riesce a trovare il coraggio per costruire una storia d’amore proprio con Jonathan.

Nel celebre e amato medical drama Grey’s Anatomy, l’omosessualità è incarnata dal personaggio di Callie. Moglie di George, Callie scopre di essere attratta dalle donne alla fine della quarta stagione e inizia una relazione duratura con la collega Arizona che, poi, sposerà. Ma una crisi è sufficiente per farla correre tra le braccia e le lenzuola del suo migliore amico e rimanere – stranamente – incinta. Una scelta che permette ai produttori di sviluppare una nuova linea narrativa in cui alla famiglia tradizionale si sostituisce un nuovo nucleo formato da due madri e un padre.

C’è un ultimo esempio che merita una certa attenzione soprattutto per il successo che riscuote nel pubblico adolescenziale. Si tratta dello school musical Glee, serie lanciata nel 2009 e ancora oggi in corso, in cui alle consuete coppie di gay e lesbiche si aggiunge anche il personaggio del transessuale Unique. La lista potrebbe continuare all’infinito e per coloro che sono interessati ad approfondire l’argomento rimandiamo al rapporto del GLAAD dove sono elencati tutti i personaggi omosessuali all’interno dei programmi televisivi. (http://www.glaad.org/publications/whereweareontv11).

Come spiega lo studioso conservatore Ben Shapiro, “la televisione riflette quelli che la creano e trasforma tutti gli altri”. Il risultato, però, porta alla creazione e commercializzazione di prodotti televisivi che, sebbene ben scritti e magistralmente costruiti, rispecchiano gli ideali di una sola voce: quella dei progressisti liberal, favorevoli ad una “sessualizzazione della televisione, ad una erosione del valore di famiglia tradizionale e ad una proposizione di stili di vita irresponsabili”.

Costretti a scegliere tra verità e legge

Costretti a scegliere tra verità e legge

da Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

Si sta avviando a conclusione l’iter parlamentare della legge cosiddetta “sull’omofobia”. Il 22 luglio essa arriverà in aula a Montecitorio. Tra le emergenze economiche e le polemiche politiche si rischia che venga approvata nel silenzio generale. Silenzio che purtroppo ha contrassegnato anche il mondo cattolico. Per fortuna in questi giorni c’è stato un risveglio da parte di alcuni gruppi ed organi di stampa che hanno cominciato a raccogliere firme contro la legge. Il nostro Osservatorio aderisce a queste iniziative.

Le notizie che arrivano dall’Europa, ove simili leggi sono già in vigore, sono allarmanti. Dire che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna può essere rubricato come omofobia e perseguito. La lettura in pubblico del libro della Genesi sulla creazione dell’uomo e della donna, oppure i passi di San Paolo sulla immoralità dell’atto omosessuale potrà essere considerato reato. Insegnare a scuola che la famiglia è una sola potrà essere considerato discriminante per odio omofobico. La legge, interpretando ideologicamente i diritti, obbliga al riconoscimento pubblico di quanto non merita riconoscimento pubblico e, così facendo, limita la libertà. Quella stessa libertà di opinione e religiosa che pure fa parte dei diritti a cui la legge stessa si appella.

Ci troviamo di fronte ad una prospettiva di pressione quando non di persecuzione. Si viene obbligati a negare le evidenze e le differenze e le coscienze sono chiamate a dover scegliere, pagando presumibilmente un costo sempre più pesante, tra la verità e la legge dello Stato. Non era mai successo che dei regimi democratici si facessero espressione di una ideologia oppressiva e violenta come in questo caso.

La questione riguarda tutti, perché è un fatto di libertà, di coscienza e di ragione. Troppo lampante la strumentalità di poggiare sulla lotta alla discriminazione attuando una più grande discriminazione. Troppo evidenti le enormi risorse messe in campo, la convergenza dei poteri forti su questa politica di negazione della libertà, la convergenza sinergica e programmata di grandi mezzi di comunicazione e lobbies politico sociali e culturali.

Lo scenario, con tutti i suoi pericoli, è davanti a tutti. I cattolici, però, lo prendono in considerazione in modo particolare, perché sostenuti e guidati in questo, oltre che dalla loro ragione, dalla Parola di Dio, da ripetuti insegnamenti della Chiesa e dalle affermazioni del Catechismo. Niente di tutto ciò è cambiato da quando, nel 2007, i Vescovi italiani, e prima di loro i dicasteri pontifici, avevano chiarito dottrinalmente ed eticamente la questione.

Gli italiani sono omofobi? Allora come spiegate questa cartina?

Gli italiani sono omofobi? Allora come spiegate questa cartina?

Non c’è nessuna “emergenza omofobia” così come è presentata dai media per spingere verso una legge che sarebbe discriminatoria al contrario.

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Ve l’avevamo già segnalata, ma torniamo a riproporvi questa cartina perché si avvicina il giorno in cui sarà approvata la legge sull’omofobia (qui è spiegato tutto). Ovviamente, non si tratta di difendere chi insulta, aggredisce o discrimina un omosessuale. Un fatto del genere – così come qualsiasi altro tipo di insulto, aggressione o discriminazione – va punito. Le leggi per farlo esistono. Basta applicarle. Ciò che con questo grafico si vuole smentire è “l’emergenza omofobia” così come è presentata dai media per spingere verso una legge che sarebbe discriminatoria al contrario.

LO STUDIO. Lo scorso 4 giugno il Pew Research Center ha pubblicato un rapporto che indica l’Italia l’ottavo paese più tollerante al mondo nei confronti dell’omosessualità, a pari merito con l’Argentina. Non solo, secondo la ricerca dell’autorevole think tank americano, l’Italia si piazza al quarto posto mondiale – dietro Corea del Sud, Stati Uniti e Canada – tra i paesi che hanno fatto i più grandi passi avanti nell’accettazione dell’omosessualità negli ultimi sei anni.

da www.tempi.it

L’America si oppone all’aborto ripartendo Stato per Stato

L’America si oppone all’aborto ripartendo Stato per Stato

di Benedetta Frigerio da www.tempi.it

Texas, ma non solo. Le battaglie del movimento pro life danno i loro frutti portando a limitazioni in materia di interruzione di gravidanza 

texas aborto.jpjDa quando il presidente Barack Obama, dopo la seconda rielezione, ha cominciato a sostenere con più convinzione le sue posizioni radicali in materia di aborto, vita e famiglia, diversi Stati hanno invece ristretto la normativa sull’aborto, divenuto legale negli Stati Uniti nel 1973, con la sentenza “Roe vs Wade”.

LE NORME. In sette mesi sono già sei gli Stati che hanno modificato una pratica che in 40 anni si era fatta sempre più liberale. L’ultimo Stato a vietare l’aborto oltre la ventesima settimana, imponendo regole severissime ai medici e alle cliniche abortive, è stato il Texas. Così, venerdì scorso, dopo una lunga battaglia, la norma è passata al Senato con 19 voti favorevoli contro 11. Ma già a febbraio in Virginia era passata una norma che richiede alle donne di fare l’ecografia prima di abortire. Mentre a inizio marzo, l’Arkansas aveva bandito l’aborto dopo la dodicesima settimana, seguito immediatamente dal North Dakota, che lo ha reso illegale dopo la sesta. In Mississipi, ad aprile, si è poi legiferato obbligando anche i medici che operano nelle strutture abortive ad avere l’abilitazione per esercitare negli ospedali pubblici. Di fatto dimezzando il personale e costringendo parecchie cliniche a chiudere. Ma la vera rivoluzione e avvenuta quando, nello stesso mese, il parlamento del Kansas ha emanato una norma in cui si legge che «la vita comincia dal momento della fecondazione», contrastando di fatto l’impianto abortivo contenuto nella sentenza del 1973, per cui l’aborto sarebbe ammissibile finché il feto non sia in grado di sopravvivere fuori dal grembo materno.

LA STRATEGIA. Queste misure sono il risultato di una campagna condotta in difesa della vita che ha scelto di cambiare la legge Stato per Stato. Anche per evitare un’altra sentenza della Corte Suprema che, vista la sua nuova tendenza a seguire il radicalismo del presidente, potrebbe opporsi alla volontà dei cittadini di questi Stati. Come potrebbe accadere se la legge che vieta l’aborto oltre la ventesima settimana, già passata alla Camera, venisse approvata anche dal Senato federale.

L’omosessualità e le risposte del buon senso

L’omosessualità e le risposte del buon senso

Possiamo lasciare che i bambini vivano in un mondo al contrario?

da www.zenit.org di Carlo Climati

Capita sempre più spesso di incontrare giovani che manifestano interesse su un tema che è diventato di grande attualità: i presunti “diritti” delle persone omosessuali.

I mezzi di comunicazione sono letteralmente invasi da notizie su questo tema, che sembra essere diventato prioritario. Stiamo assistendo ad una specie di lavaggio del cervello collettivo per convincere l’opinione pubblica ad accettare i cosiddetti “matrimoni” tra persone dello stesso sesso, insieme alla possibilità di adottare bambini o di avere figli attraverso la maternità surrogata.

La trappola che si nasconde dietro questi meccanismi è semplice. È stato creato, a tavolino, il “complesso dell’omofobia”. Chiunque osi difendere la famiglia naturale viene immediatamente accusato di essere “omofobo”, cioè nemico delle persone omosessuali.

La cosa grave è che questo complesso sembra aver colpito anche chi dovrebbe rappresentare una guida sicura per i giovani. Non è raro incontrare sacerdoti, suore e catechisti complessati, insicuri, spaventati, che trasmettono lo stesso tipo di complesso alle nuove generazioni.

Eppure il Catechismo della Chiesa Cattolica parla chiaro e ci ricorda che gli atti omosessuali sono “contrari alla legge naturale”. Spiega anche che gli omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. E poi: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.

Nonostante la chiarezza del Catechismo, anche in certi ambienti cattolici si è diffuso il complesso dell’omofobia. Si tace colpevolmente e ci si rifiuta di contrastare il bombardamento pro-gay dei mezzi di comunicazione.

È lo stile codardo di una Chiesa “fai da te”, in cui il Catechismo è stato trasformato in un menù. Si prendono i piatti che sono graditi e si mettono da parte quelli più scomodi, che potrebbero urtare il pensiero conformista dominante.

Questa mentalità rischia di causare danni molto gravi. Le nuove generazioni hanno bisogno di pastori seri, preparati, che insegnino ad amare ed accogliere ogni essere umano, senza però tollerare il peccato.

Una bella lezione sta arrivando dalla Francia, dove migliaia di giovani sono scesi in piazza per manifestare pacificamente contro le cosiddette “nozze gay”. Per questa ragione stanno subendo gravi persecuzioni e violazioni dei diritti umani.

Ma sono coraggiosi e non si arrendono. Continuano a mostrare il volto pulito di una nazione che non vuole essere schiacciata da una legge ritenuta ingiusta.

È il buon senso a dare una risposta a tutte le domande. Nella vita quotidiana due persone dello stesso sesso possono generare figli? Ovviamente no. E allora, perché dovrebbero adottarli oppure ottenerli tramite la maternità surrogata? Perché si dovrebbe creare e approvare per legge una situazione che, di fatto, non è naturale?

Non esiste un “diritto ad avere figli”. Esiste, semmai, il diritto del bambino a vivere in una famiglia con la mamma e il papà.

Bisogna avere il coraggio di dire questo, senza sentirsi ricattati dal complesso dell’omofobia. Non possiamo assistere silenziosamente al tentativo di rovesciare il mondo. Il buon senso non è un optional. Non passa di moda. Recuperiamolo e facciamolo nostro, con serenità e senza paura.

Costretti a scegliere tra verità e legge

Decreto filiazione: è incostituzionale

di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Torniamo a parlare a distanza di un solo giorno di filiazione naturale e legittima su sollecitazione di alcuni lettori. Il comma 3 dell’art. 30 della Costituzione così recita: “La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”. L’articolo va letto nel senso che ai figli nati fuori dal matrimonio deve essere garantita una tutela giuridica il più possibile estesa a patto che non si riconosca a questi figli quei diritti propri della prole nata dal matrimonio. Insomma i diritti dei figli naturali devono essere compatibili, cioè conformi, al loro status giuridico. Al figlio illegittimo deve essere garantito ad esempio il diritto all’istruzione, al mantenimento e all’educazione. Così il comma 1 dell’art. 30: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Ma altri diritti – successione, donazioni testamentarie etc. – sono specifici dei figli legittimi.

Questa lettura dell’art. 30 è corretta? E inoltre: la distinzione tra figli naturali e legittimi che il decreto Letta ha mandato in soffitta definitivamente era una distinzione incostituzionale? Per rispondere proviamo a leggere la relazione dei lavori preparatori di questo articolo che si sono tenuti il 15 aprile 1947 (e un grazie al lettore Alberto Moncada che ce l’ha segnalato).  Riportiamo qui qualche stralcio di tale relazione – che riporta fedelmente gli interventi orali degli onorevoli – con un breve commento per ogni passaggio.

Badini Confalonieri: “Ora, l’equiparazione dei figli illegittimi ai legittimi in quella maniera crea in seno alla famiglia la stessa discrasia che, per altro verso, vi apporterebbe il divorzio”. Badini voleva dire che equiparare tra loro i figli naturali con quelli legittimi non andrebbe a favore del principio di uguaglianza ma creerebbe un ingiusto squilibrio sociale e giuridico perché si privilegerebbe in modo immotivato i figli nati da una relazione libera a discapito dei figli nati da un vincolo matrimoniale. Per spiegarsi usa un paradosso che qui sintetizziamo: provate a mettere sotto lo stesso tetto – nella stessa famiglia – figli legittimi e figli illegittimi, e provate a trattarli tutti nello stesso modo. I figli legittimi si ribellerebbero. “Pensate al caos di quella famiglia!” esclama in aula l’on. Badini. Il caos di quella famiglia sarebbe il medesimo che potremmo trovare nelle famiglie di coppie divorziate (allusione assai significativa dato che nel ’45 il divorzio era ancora di là da venire).

Merlin Umberto. “La famiglia legittima è soltanto quella costituita dal padre, dalla madre e dai figli che sono nati da loro. Se elevassimo i figli illegittimi alla parità, noi abbasseremmo i legittimi, e questo non si può fare se non a patto di danneggiare la difesa della famiglia legittima, l’unica che deve essere riconosciuta”. Come appuntavamo nell’articolo di ieri, mettere sullo stesso piano i figli naturali e legittimi danneggia la famiglia fondata sul matrimonio perché alcune prerogative del vincolo matrimoniale vengono indebitamente assegnate anche ai figli di coloro che di fronte alla società non si sono assunti nessun obbligo specifico. Insomma uno sprone alla convivenza e una deterrenza a sposarsi.

Crispo: “Se non è consentita una condizione di inferiorità, come è stabilito nell’articolo 25 [che nella versione definitiva diventerà il 30 n.d.a.], tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio, nel senso che deve essere esclusa ogni inferiorità, innegabilmente la eguaglianza giuridica dei figli legittimi e dei figli illegittimi comprende il dovere dei genitori, nel senso che allo stato giuridico dei figli deve corrispondere l’obbligo correlativo dei genitori”. Il costituente Crispo sottolinea che se alcuni diritti non verranno riconosciuti ai figli naturali ciò non significa che questi siano figli di serie B. Infatti i diritti fondamentali – mantenimento, educazione, istruzione: tre termini in cui è racchiuso il minimo necessario da dare ad un figlio – vengono riconosciuti. L’inciso di Crispo è poi significativo perché fa comprendere che questi diritti non vengono assegnati dallo Stato ai figli – quasi fossero una sua invenzione – bensì discendono dal rapporto di filiazione naturale. Cioè sono diritti naturali che vengono ad esistenza nel momento in cui viene al mondo un bambino. Detto in altra prospettiva: l’essere genitore comporta – al di là del fatto di essere sposati o meno – degli obblighi verso i figli. L’art. 30 della Costituzione e la sottolineatura dell’on. Crispo vanno quindi a confermare un dato di realtà evidente: se sei un padre o una madre hai delle responsabilità verso i tuoi figli. E questo riguarda sia i figli di coppie sposate sia i figli di coppie non sposate. Sta qui la vera e fondamentale uguaglianza. Gli altri diritti non riconosciuti ai figli illegittimi sono sì importanti, ma accessori, quindi di per sé non intaccano la dignità del minore.

I lavori preparatori fanno dunque capire che la legge 219 del 2012 e il decreto dell’altro ieri del governo sono incostituzionali, proprio perché i padri costituenti consideravano di vitale importanza mantenere una distinzione sostanziale e formale tra figli nati nel o fuori dal matrimonio, stante il riconoscimento a tutti i figli dei loro diritti fondamentali. Ed infatti venne cassata questa prima bozza di art. 25 (art. 30 attuale) proposta da Togliatti: “I genitori hanno verso i figli nati fuori del matrimonio gli stessi doveri che verso quelli nati nel matrimonio. La legge garantisce ai figli nati fuori del matrimonio uno stato giuridico che escluda inferiorità civili e sociali”.

Ora cosa si fa? Dovremo metter mano alla Costituzione?