Roncalli e Wojtyla santi il 27 aprile

Roncalli e Wojtyla santi il 27 aprile

da Avvenire.it

Giovani Paolo II e Giovanni XXIII saranno proclamati Santi il prossimo 27 aprile, domenica della Divina Misericordia. Lo ha annunciato papa Francesco nel corso del Concistoro per la canonizzazione dei due beati. All’incontro erano presenti i cardinali residenti e a quelli presenti nella Capitale.
Prima che papa Bergoglio proclamasse la formula e annunciasse la data della canonizzazione, il prefetto per la Congregazione delle cause dei santi, Angelo Amato, ha tracciato un breve profilo biografico dei due futuri santi. Il cardinale Amato ha in particolare ricordato “il loro servizio alla pace” assimilandolo a quell'”impegno a cui Vostra Santità ci sollecita”. Il porporato ha anche citato la “mite fermezza” con la quale i due Papi defunti hanno entrambi vissuto in “tempi di radicali trasformazioni”, promuovendo “con autenticità” la dignità dell’uomo.

La scelta di papa Francesco è caduta dunque sulla domenica in albis, la domenica dopo Pasqua che è la Festa della Misericordia, solennità istituita da Wojtyla, che nel 2005 morì alle 21.37 del 2 aprile, cioè dopo i primi vespri della domenica in cui cadeva proprio la Festa della Misericordia.

Come è noto, in giugno il Pontefice ha approvato il miracolo, attribuito all’intercessione del Beato Giovanni Paolo II, e ha dispensato Giovanni XXIII dal processo relativo a un secondo miracolo dopo quello che ha portato alla beatificazione nel 2000: la grazia concessa a suor Caterina Capitani guarita inspiegabilmente il 25 maggio 1966 dalle conseguenze di una grave emorragia dopo che, oltre un anno prima, era stata sottoposta a una resezione gastrica quasi totale. Francesco ha deciso questa dispensa in forza della radicata e diffusa fama della santità di Roncalli: a Sotto il Monte, ad esempio, nella casa natale, una stanza intera è colma di fiocchi rosa e azzurri inviati da coppie ritenute sterili che hanno avuto la gioia di un figlio dopo aver invocato il Papa Buono. Secondo il postulatore della causa, il francescano fra Giovangiuseppe Califano, la decisione “è il segno che il ricordo di Giovanni XXIII – il Papa che 50 anni fa ha convocato il Concilio Vaticano II – è sempre vivo in tutto il mondo. Anche se non viaggiò mai Oltreoceano, sappiamo che spesso inviò radiomessaggi ai Paesi dell’America Latina, si interessò dei problemi di quelle genti grazie anche ai missionari e alle nunziature. E poi sicuramente ci furono contatti con la presidenza degli Stati Uniti, testimoniata anche dal fatto che Giovanni ricevette fra gli altri la moglie di Kennedy, Jacqueline, e il presidente Lyndon Johnson”.

Per quanto riguarda la canonizzazione di Papa Wojtyla, essa avviene a meno di dieci anni dalla sua morte, quasi un record, perché solo Sant’Antonio da Padova, morto il 13 giugno 1231, ha fatto più in fretta: la solenne cerimonia si tenne nella cattedrale di Spoleto il giorno di Pentecoste del 1232 alla presenza di Papa Gregorio IX. In questo caso, l’istruttoria sul miracolo è stata accuratissima. Si tratta della guarigione di una signora del Costa Rica, Floribhet Mora, inspiegabilmente risanata da una paralisi cerebrale il primo maggio 2011, giorno della beatificazione di Wojtyla, una circostanza all’origine di numerose conversioni tra i testimoni del fatto. Anche su questo importante evento, infatti, la linea di Francesco è la stessa di Benedetto XVI che aveva concesso la dispensa papale, evitando un’attesa di cinque anni per l’inizio della causa, aperta dal cardinal Camillo Ruini allora vicario di Roma, già nel giugno del 2005. Sei anni dopo è arrivata la beatificazione. ​​

Lo Ior pubblica il suo primo bilancio

Lo Ior pubblica il suo primo bilancio

E’ la prima volta nella storia. Una novità che si inquadra in una più ampia riforma voluta dal Papa, resa urgente dagli scandali finanziari

di GIACOMO GALEAZZI da Vatican Insider 

Operazione-trasparenza di Bergoglio allo Ior. Per la prima volta nella sua storia, domani la banca vaticana renderà pubblico il bilancio e, per volontà di Francesco, cesserà l’anomalia dell’Istituto i cui conti non venivano inseriti nel resoconto annuale della Prefettura per gli affari economici. Il bilancio (al 31 luglio) è positivo – l’attivo è di 87 milioni – e la “glasnost “del Pontefice faciliterà l’ingresso nella “with list”.

Le prossime decisioni di Bergoglio, che oggi riunirà a Roma il consiglio degli otto cardinali-consiglieri, riguarderanno appunto lo Ior, i dicasteri economici del Vaticano, i patrimoni dell’Apsa e di Propaganda fide. Si studia l’accorpamento tra la gestione delle proprietà immobiliari dell’Apsa e quella, altrettanto ingente, di Propaganda Fide. All’Apsa sono out i delegati delle due sezioni, Massimo Boarotto di quella «ordinaria» (che gestisce appunto i beni immobili) e Paolo Mennini della «straordinaria» (investimenti finanziari e in titoli). L’ «operazione trasparenza» allo Ior procede anche con l’attività della Promontory Financial Group, in collaborazione con l’Aif, per il controllo ad uno ad uno delle migliaia di conti, delle relazioni con i clienti delle procedure in vigore contro il riciclaggio di denaro sporco. È partito lo studio delle possibili ristrutturazioni e della forma che dovrebbe prendere il «forziere» vaticano in una possibile revisione del suo status. L’ipotesi più accreditata è la fusione tra Ior e Apsa, l’amministrazione del patrimonio che ha anch’essa funzioni bancarie, anzi è considerata la «banca centrale».

Alla Gmg Francesco lo ha detto a chiare lettere ai giornalisti: gli scandali giudiziari stanno accelerando la riforma delle finanze vaticane. «Pensavo di occuparmi prima di altre questioni, ma non si può rimandare». Così ora in cima alla sua agenda ci sono accorpamenti tra enti (Ior e Apsa), meno burocrazia, più trasparenza. Le emergenze vanno risolte al più presto. Non per punire questo o quel porporato, per aiutare questa o quella cordata, bensì per eliminare una visione «mondana» della Chiesa e superare una concezione «statale» della fede implicita nell’intreccio tra Santa Sede e Stato della Città del Vaticano, tra burocrazia ereditata dall’Ottocento e soffio dello spirito. La commissione di indagine sullo Ior, spiega il portavoce papale padre Federico Lombardi, sta vagliando i conti correnti e le operazioni compiute durante la gestione del direttore generale Cipriani, travolto con il suo vice Tulli (entrambi si sono dimessi immediatamente) dall’arresto di Scarano. La commissione referente è presieduta dal cardinale Raffaele Farina e il mandato di Francesco è molto ampio: verificare la posizione giuridica e le attività dello Ior per consentirne «una migliore armonizzazione con la missione della Chiesa e nel contesto più generale delle riforme». I commissari hanno scelto come assistenti esperti di grandi banche e gruppi finanziari che passano le carte al «pettine stretto».A Bergoglio sarà trasferita la documentazione completa sull’andamento e le procedure della «banca» d’Oltretevere, anche con la valutazione sulla sua discussa gestione.

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

dal Vangelo secondo Mt. 18, 1-4

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
 

Il commento di don Antonello Iapicca

L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Tutto appare sfuggevole e precario, incapace di saziarci. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta “libertà”, dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. Il più grande in un affetto, al lavoro, nello studio, tra fratelli e amici, nel matrimonio, nella Chiesa. Il più grande per non scomparire e avere spazio nel cuore degli altri. Grandi, per essere cercati, accolti, compresi, apprezzati, ricordati, amati… Anche chi si nasconde nella timidezza cerca la stessa grandezza; spesso ci si sottomette all’evidenza della realtà covando risentimento, e l’apparente umiltà è solo un soprabito indossato per vestire le frustrazioni.

Ma la felicità, la beatitudine, la pace sono regali preparati per i bambini; non importa se capricciosi o irritanti, perché un bambino è amato proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. Santa Teresa di Lisieux lo aveva compreso: Dio cerca, predilige e ama la piccolezza, la nostra realtà senza ipocrisie. Per questo una porta “porta stretta” schiude il passo al Regno dei Cieli. Per entrarvi non sono necessari sforzi e fantasie, le dimensioni di quell’uscio coincidono esattamente con le nostre, quelle “originali” con le quali Dio ci ha creati. Convertirci è, semplicemente, ritornare a quelle misure, al pensiero di Dio su ciascuno di noi; quello che avanza non ci appartiene, è falso, fonte di sofferenza e frustrazione. Diventare come bambini, significa dunque aprire senza paura gli occhi su noi stessi e amare la nostra piccolezza, accogliere la storia che con la Croce pota il superfluo. Anche oggi infatti, Gesù ci “chiama a sé”, piccoli “in mezzo” ai tanti grandi secondo la carne, ma i “più grandi” nel suo cuore, il Regno dei cieli così vicino a noi.
Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l’ateismo è fantascienza»

Benedetto XVI scrive a Odifreddi: «La teologia è scienza, l’ateismo è fantascienza»

di Massimo Introvigne da www.lanuovabq.it

Papa scrive

A ciascuno la sua lettera. Se Eugenio Scalfari ha ricevuto posta da Papa Francesco, il matematico e propagandista dell’ateismo Piergiorgio Odifreddi, dopo avere pubblicato un libro intitolato «Caro Papa ti scrivo», si è visto arrivare una risposta dal Papa Emerito Benedetto XVI. Le undici pagine saranno pubblicate in integro da Mondadori in una nuova edizione del libro di Odifreddi: le leggeremo con interesse, non senza rilevare che il matematico diventerà il primo ateo che farà un po’ di soldi vendendo la lettera di un Papa. Ma intanto Odifreddi ha pubblicato un corposo estratto – non un riassunto, tutte le frasi sono di Papa Ratzinger –  sulla casa madre di tutti gli atei che si rispettino, Repubblica, che di questi tempi ogni tanto assomiglia all’Osservatore Romano.

Al di là del dato curioso, la lettera è una piccola lezione di apologetica. Benedetto XVI ringrazia Odifreddi per avere letto «fin nel dettaglio» i suoi libri su Gesù di Nazaret – non è poco, considerando quanti criticano senza leggere -, comunica al matematico che anche lui, Ratzinger, ha letto il suo testo, e gli confessa che  «il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione». Di questa sorta di recensione critica di Benedetto XVI al libro di Odifreddi, «Repubblica» pubblica quattro parti.

La prima attiene alla teologia, che per Odifreddi non sarebbe scienza ma fantascienza. Dopo un bonario commento ironico su perché mai, se si tratta di mera fantascienza, Odifreddi passa tanto tempo a occuparsene, il Papa emerito sviluppa la sua replica su due piani. Anzitutto, osserva che se pure
«è corretto affermare che “scienza” nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria»,  in senso ampio parliamo di scienza per qualunque disciplina che «applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità». La teologia corrisponde a questi criteri, e dunque è scienza. Inoltre, ha contribuito in modo notevole alla cultura occidentale, e ha mantenuto vivo il dialogo fra fede e ragione. Questo dialogo è essenziale anche per i non credenti: «esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia».

In secondo luogo, Papa Ratzinger osserva che «la fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze». Esiste «nel senso buono»: Benedetto XVI cita scienziati come Werner Heisenberg (1901-1976) e  Erwin Schrödinger (1887-1961) che hanno proposto «visioni ed anticipazioni», «immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà», una fantascienza che però è stata utile alla scienza. Ma gli scienziati, afferma il Papa emerito, producono talora «fantascienza in grande stile» in senso meno buono, per esempio «all’interno della teoria dell’evoluzione» usata per cercare di fornire un’impossibile prova scientifica dell’ateismo.

Con un po’ di malizia Papa Ratzinger cita le teorie del biologo e divulgatore scientifico Richard Dawkins, infaticabile propagandista dell’ateismo e amico di Odifreddi, come «un esempio classico di fantascienza» spacciata per scienza. Uno dei padri dell’evoluzionismo, Jacques Monod (1910-1976), nota ancora non senza umorismo Benedetto XVI, nel suo fin troppo famoso «Il caso e la necessità», «ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza». Papa Ratzinger ne cita una: «La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari…». Non potendo dimostrare questa storiella, Monod, come tanti evoluzionisti, ha prodotto tecnicamente fantascienza, e neppure della migliore qualità.

Secondo capitolo della risposta di Benedetto XVI. Odifreddi insiste sui preti pedofili. È una tragedia che da Pontefice Ratzinger, dice, ha affrontato «con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano». Per quanto questo non consoli né le vittime né il Papa emerito, questo fa però osservare a Odifreddi che «secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili».

Dunque «non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo». E, se «non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli» e continua a lasciare oggi. Basti pensare alle «grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento» che, insegnando a Torino, Odifreddi dovrebbe conoscere.

Terzo estratto: Papa Ratzinger bacchetta Odifreddi per «quanto dice sulla figura di Gesù [che] non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico». Benedetto XVI fornisce al matematico un po’ di bibliografia accademica, neppure cattolica, da cui Odifreddi potrà facilmente ricavare che «ciò che dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere».

Forse lo studioso ateo si è fatto fuorviare, insinua il Papa emerito, dalle «molte cose di scarsa serietà» pubblicate da esegeti progressisti, i quali – il Pontefice emerito cita un commento di Albert Schweitzer (1875-1965), che non fu solo un missionario protestante della carità ma anche un celebre teologo – confermano solo che spesso «il cosiddetto “Gesù storico” è per lo più lo specchio delle idee degli autori». Ma «tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l’annuncio e la figura di Gesù». E Odifreddi ha capito male Benedetto XVI se pensa che egli proponga un rifiuto del metodo storico-critico: al contrario, per il Papa emerito «l’esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico».

Il quarto estratto va al cuore della visone del mondo atea. Per Odifreddi, come per Dawkins, non c’è bisogno di Dio perché tutto si spiega con la Natura. La risposta di Benedetto XVI è antica, ma sempre persuasiva: «Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla». Ma soprattutto nella religione atea di Odifreddi «tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male». Dell’amore e del male Odifreddi non parla, e la libertà è liquidata come un’illusione che sarebbe smascherata come tale dalla neurobiologia. Ma «qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione». E un religione che rifiuta la libertà e non dà risposte sull’amore e sul male «resta vuota».

Interessa anche a pochi: le statistiche sociologiche confermano che Odifreddi potrà anche vendere tanti libri, ma queste vendite e tutto il foklore dei vari autobus atei non fanno aumentare il numero degli atei. A Odifreddi interessano solo i fatti misurabili. È un fatto misurabile che Papa Francesco, e anche Papa Benedetto, persuadono molte più persone degli atei militanti.

1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

Mercoledì della XXV settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca 9,1-6
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro». 
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
 
Il commento di don Antonello Iapicca
Il Regno dei Cieli è vicino, gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. Un giapponese in Italia, ovunque vada, faccia quel che faccia, manifesta chiaramente la propria origine. È disegnata nei suoi occhi, l’annunciano le sue parole, la si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Così è per gli Apostoli del Regno, ovunque giungano appare il Cielo. È impresso nelle loro vite, così diverse, così scandalose. Per questo non hanno bisogno di nulla che li accrediti, nessuna sicurezza. Sono d’impiccio bastone, sacca, pane, e denaro.
Il bagaglio degli apostoli è quello di Davide dinanzi a Golia, solo cinque pietre, i cinque libri della Torah, la Parola che li ha costituiti e inviati, forza e potere su ogni demonio, medicina per ogni malattia. Le cinque piaghe di Cristo, la parola della Croce, che, come la spada di Davide, taglia la testa al gigante e distrugge gli inganni di satana. Nella numerologia biblica cinque è il numero della Grazia: il quattro è il numero del mondo, e rappresenta la debolezza dell’uomo alla quale però si aggiunge la potenza di Dio, che fa proprio dell’impotenza umana lo strumento per manifestarsi pienamente. Annunciando il Vangelo, gli apostoli, piccoli e impotenti come Davide, lanciano la pietra che ha il potere di sottrarre il popolo al giogo di Satana, perché solo la Parola di Dio può conficcarsi nella sua fronte: solo essa può smascherare la parola del menzognero, e distruggere alla radice le sue trame.
E, accanto alla predicazione, con le cinque piaghe della Croce, gli apostoli aprono il cammino al Regno. Anche noi, deboli e inadatti come loro, siamo chiamati e inviati a uscire in battaglia contro il principe di questo mondo. Il Signore ci da forza e potere per schiacciare la sua testa superba. Unica condizione, abbandonarci a Lui, senza “portar nulla per il viaggio”. Perché di un “viaggio” si tratta: ogni nuova giornata di lavoro, ogni mattina e serata in famiglia, ovunque siamo in cammino, senza radici e installazioni. Se proviamo a sederci e ad assicurarci la vita, tutto comincia a sfaldarsi e a scivolarci dalle mani. Non abbiamo schemi per parlare ai figli. Come non abbiamo manuali per vivere le relazioni con i capi e i colleghi di lavoro. Abbiamo “solo” la Parola da annunciare, garanzia della libertà assoluta. Niente vincoli, nessuna catena, perché ogni giorno è nuovo e ogni relazione va costruita istante dopo istante, disposti a camminare e a viaggiare sino a dove si trova l’altro, nella libertà di rinunciare a tutto pur di salvarlo.
Niente “denaro” perché nulla dobbiamo comprare sulla strada della gratuità. Abbiamo pensato di legare il figlio regalandogli chissà cosa? Siamo così schiavi da non poter rifiutare quello che, per altro, sarebbe naturale non concedere? Una vacanza, la macchina, lo scooter o lo smartphone, gli oggetti per i quali i figli non hanno fatto nulla per guadagnarseli, non sono cambiali da versare per non essere in debito con loro, o per non avere problemi. L’unico debito è la carità, l’amore gratuito e nella Verità, che sa dire di no, dove un sì sarebbe puro veleno.
Nessun “bastone” perché l’apostolo si appoggia solo laddove può distendere le sue braccia per donarsi. Unico suo bastone è la Croce, certificato di credibilità della sua missione. Un marito che non parli a sua moglie appoggiato alla Croce sarà sempre insincero, in cerca di un fondamento dove deporre se stesso. E i problemi, le sofferenze e i peccati non si conteranno. Per relazionarsi con sua figlia, una madre non può non essere crocifissa. Altrimenti come potrà annunciarle la castità, i sacrifici per custodire la santità del suo corpo, aiutandola a scegliere vestiti e atteggiamenti? Coniugi e genitori, sacerdoti e catechisti, vescovi e suore, tutti sono chiamati e inviati per lasciar risplendere in loro la luce della Grazia. Se questo non avviene saranno solo dei moralisti insopportabili, e seppelliranno l’annuncio del Vangelo sotto una valanga di leggi e codici senza Spirito.
Spesso, purtroppo, come il Popolo di Israele con le sue tragiche alleanze, preferiamo appoggiarci al potere di questo mondo. E ne restiamo schiavi. Per questo, come già con la razione quotidiana di manna nel deserto, ogni mattina ci attende l’unica tunica, resa candida nel sangue dell’Agnello; ogni giorno abbiamo noi per primi bisogno della misericordia che ci fa, per Grazia, cittadini del Regno. Così, rivestiti di Cristo, possiamo annunciare il suo Vangelo a chi ci è accanto e ci attende a “casa” sua. Non possiamo esigere che escano e ci vengano a cercare, invitare, supplicare. Al contrario, siamo noi a essere inviati sino a “casa” loro: un apostolo non teme di sporcarsi e di entrare nei tuguri dove ha rinchiuso la propria vita il figlio; o di scendere nella cantina dove, per paura, si è rinchiuso il coniuge. Un apostolo, tu ed io, andiamo a “casa” di chiunque, per un servizio a domicilio che si faccia tutto a tutti, in ogni loro luogo.
E ci sediamo a tavola con loro, per ascoltarli, e condividere i loro dolori; e, con pazienza, aspettare che sia Dio a toccare il loro cuore. Forse ci vorranno giorni, mesi, anni, chi può saperlo? Un apostolo resta, comunque, con amore e misericordia laddove abita colui al quale è stato inviato. Senza giudicare, esigere, sperare nulla, ma solo annunciando il Vangelo con parole e gesti, perché è l’unico capace di “guarire i malati”. Questo è il “potere” inerme che Dio ci ha donato. Il potere di chi può stare sulla Croce, che non scappa, e su di essa sa comprendere chi, invece, la Croce non la sopporta, e la deve fuggire.

Il potere dell’amore senza limiti, l’unico che può avere ragione dei “demoni”, di “tutti” i demoni. Ma davvero lo crediamo? Abbiamo potere anche sul demonio più subdolo… O pensiamo, invece, che bisogna percorrere altre strade, psicologi, dialoghi, terapie di gruppo, e quant’altro. E invece la missione della Chiesa, come quella di Gesù, è un grande esorcismo: per questo non possiamo che essere crocifissi, ogni giorno, per scacciare “tutti” i demoni che si nascondono per distruggere la vita. Malattie, difficoltà, sofferenze, rifiuti, tutto ci fa missionari e vincitori: sono il legno della nostra fionda, la Croce, attraverso la quale la Parola predicata si fa autentica e credibile.

Che il Signore ci conceda un cuore che sappia guardare ogni persona come un malato che ha urgente bisogno del Medico. Questo è l’amore autentico, che ha sempre questa consapevolezza di fondo, per esperienza personale. Solo in essa ci potremo avvicinare a tutti con dolcezza, pazienza e misericordia, senza dubitare che l’annuncio del Vangelo è l’unico capace di “operare guarigioni” autentiche ed eterne.
1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux

Venerdì della XXIV settimana del T.O.

Dal Vangelo secondo Luca 8,1-3.
 
In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni. 
Il commento di don Antonello Iapicca
 
La missione nasce sempre dalla gratitudine. L’annuncio del Vangelo e ogni opera e attività al servizio della missione non si possono imporre. Non hanno nulla a che vedere con un volontariato di chi cerca se stesso. Sono opere della Grazia, di quel dono unico e gratuito dell’amore di Dio che risana, libera, ridona dignità e pienezza. L’esperienza del perdono e della vita nuova ricevuta gratuitamente muove “naturalmente” il cuore alla gratitudine. E la gratitudine si fa sempre sequela, offerta della propria vita. Chi ha sperimentato l’amore che sazia il cuore, chi ha scoperto per Chi e per che cosa vale davvero la pena vivere, non ha bisogno di appelli, di comitati, di convegni, di spot pubblicitari. Chi ha conosciuto l’amore di Cristo che lo ha guarito, ne è attratto, coinvolto e assorbito completamente. Quell’amore che ha colmato ogni suo desiderio, che ha ricreato un’esistenza agonizzante sotto i colpi del peccato, diviene, con evidenza, il centro e il motore della vita. Per esso si dedicano tempo, energie, beni. Le membra una volta offerte al peccato, vivificate da quell’amore, ne divengono strumenti privilegiati.
E’ la storia delle donne che appaiono nel Vangelo, fondamento della missione della Chiesa.
Come quella di Pietro, cercato e perdonato sulle sponde del lago di Galilea. La Chiesa è fondata sul perdono perché l’annuncio del Vangelo sia una Buona Notizia autentica nella vita dei testimoni. Pietro, gli Apostoli, le donne al seguito di Gesù, una comunità di “graziati”, un Popolo scampato alla spada e alla morte. Un popolo che, per pura gratitudine, annuncia l’unica notizia capace di salvare l’uomo; e serve con i propri beni, con la propria vita, l’opera più importante che si possa compiere sulla terra. Annunciare il Vangelo è il culto che San Paolo offre a Dio, il compimento dello Shemà, amare Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutte le forze: il Signore è uno solo perché Lui solo ha liberato il Popolo dalla schiavitù. Ha compiuto un’opera che nessuno avrebbe potuto compiere, e per questo la gratitudine si fa amore indiviso, ascolto obbediente trasformato in vita e testimonianza, dove anche i beni sono offerti con gioia. Nessun “dovere” moralistico, solo un’immensa gratitudine per un amore gratuito e senza condizioni: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. C’è da chiedersi allora come mai tanti problemi economici e di bilancio affliggano Diocesi e Parrocchie… E anche le nostre famiglie. Se è dando che si riceve… Forse non abbiamo ancora compreso quanto abbiamo ricevuto, e per questo non possiamo dare, e quindi continuare a ricevere…
E’ probabile che molti tra quanti frequentano e si impegnano nella Chiesa non abbiano ancora l’esperienza decisiva del perdono, della liberazione, dell’amore infinito di Dio: “colui al quale è stato perdonato poco ama poco”, e la carne e la paura impediscono la generosità che, solo, scaturisce dalla gratitudine e dalla libertà. Chi è stato amato molto ama molto, e l’amore si manifesta attraverso la totale generosità e il distacco dai beni, nell’intima certezza che Chi lo ha perdonato può, a maggior ragione, provvedere alla sua vita. La gratitudine, il segno di un Popolo che si sente amato, e così anche di famiglie dove l’amore ed il perdono ne costituiscono il fondamento, e così di amicizie, di fidanzamenti, anche di rapporti di lavoro: laddove regna il perdono, nelle relazioni fondate sulla misericordia di Dio, non può insinuarsi il veleno dell’avarizia, anche se la lotta con la carne e  il mondo ne tessono le trame. Chi vive abbandonato alla misericordia è misericordioso, offre senza riserve se stesso, progetti, schemi, tempo, denaro.
 
La Chiesa è il luogo della gratitudine. Con Cristo percorre ogni giorno le strade del mondo, annunciando la Buona Notizia. In ebraico la prima e l’ultima parola del primo versetto dello Shemà, Ascolta – Shemà e Uno – Echad terminano il primo con la lettera ‘ayin e il secondo con la lettera dalet: unite insieme queste due lettere formano la parola ‘edtestimone. La testimonianza, il martirio, l’annuncio fatto carne sino al dono della propria vita, scaturiscono dall’ascolto dell’Unico Dio, dell’obbedienza ad un amore sconvolgente che ha consegnato tutto se stesso per ciascun uomo. Gli apostoli, e con loro Maria che ha ascoltato e accolto e obbedito, e le donne che seguono il Signore con i propri beni, vivono lo Shemà, l’unicità piena di gratitudine dell’amore di Dio. A Cristo hanno dato tutto, perché da Cristo tutto hanno ricevuto. Per questo le donne, che tutto hanno consegnato a Cristo, dai peccati alla loro stessa vita, saranno le prime testimoni della sua risurrezione. Uno le ha amate di un amore unico, Uno è morto per loro, Uno è risorto per la loro giustificazione. Lo hanno ascoltato, hanno creduto, hanno accolto quell’unico amore, lo hanno incontrato sulla soglia del sepolcro, vivo e vittorioso. Nella sua vittoria la loro vita salvata diviene testimonianza dell’unica Verità capace di salvare e donare la felicità autentica.
Che bella allora la missione della donna nella Chiesa, e che stolta ignoranza esigere per loro quello che non sono e non saranno mai. Certo, se si segue l’ideologia per la quale ormai non vi sono più padri e madri ma solo genitore 1 e genitore 2, allora anche nella Chiesa, potremo avere ministro 1 e ministro 2, preti e suore liberamente intercambiabili, secondo il desiderio e il sentimento del momento. E invece proprio la società attuale spinge con urgenza la Chiesa perché mostri al mondo profeticamente la verità. Come Dio ha creato l’uomo a sua immagine “maschio e femmina”, così nella Chiesa esistono maschi e femmine, diversi ma l’uno aiuto dell’altro. Mai uguali ma sempre persone con identica dignità e valore. Un prete vale più di una suora perché presiede l’eucarestia? Chi pensa così non ha compreso nulla di una famiglia, della sua natura e bellezza.
L’immagine completa e autentica di Dio non è solo o più in un uomo che in una donna, anche se prete. L’immagine di Dio risplende nella diversità e nella complementarietà: “Dio crea l’umano maschio e femmina perché fosse l’amore e non l’uguaglianza ad unire le persone” (San Giovanni Crisostomo). Le donne sono il seno di misericordia, la tenerezza, l’accoglienza e la pazienza di Dio. Le donne sono il segno del perdono, perché in ciascuna, Maria ha dato compimento a quello che Eva ha interrotto. Se la “radice di tutti i mali è l’avarizia”, allora, tra le parole ingannevoli dette a Eva dal serpente, si nascondono anche quelle tese a innescare l’avarizia. Essere come Dio è anche appropriarsi dei beni che Lui ci dona. L’essere donna, madre e sposa ad esempio, è un bene immenso, se vissuto da figlia e creatura docile e abbandonata alla volontà del Padre e Creatore. L’orgoglio innescato da satana rompe anche l’essenza e il fondamento della natura e della specificità femminile. Non a caso le conseguenze del peccato annunciate dal Creatore ai progenitori toccando in modo decisivo l’essere sposa e madre della donna. Una donna avara che si chiude alla vita e all’amore, attaccandosi al denaro e al prestigio, cercando al di fuori del suo essere più intimo il compimento e la gioia, e rifiutandolo come fosse una umiliazione, è ormai presa nei lacci dell’inganno. Quanti disastri stia producendo questa menzogna lo vediamo oggi più che mai, nelle famiglie, nella Chiesa, ovunque; sta scomparendo l’equilibrio e la confusione sessuale, che vira sempre più verso perversione e libidine sfrenate, nasce dall’attacco ormai quasi vincente sferrato alla donna. E’ già profetizzato nell’Apocalisse e oggi ne stiamo vivendo il dramma profondo. Le Istituzioni “civili” (sic) hanno assunto senza fiatare l’inganno, sino a legiferare contro la donna nel nome delle donne: legittimare e promuovere che una madre possa uccidere il figlio del suo grembo è uccidere la donna, in quanto madre e sposa.

Per questo, le donne che, come quelle del Vangelo, sono state Madri, spose e vergini sono “state guarite da spiriti cattivi e da infermità”, sono il tesoro più prezioso della Chiesa, il suo cuore risanato, il suo seno rigenerato. Se la Chiesa è Madre, non può che esserlo nella continua purificazione, nel perdono che risana, guarisce, scaccia i “sette demoni” che si insinuano nelle donne cristiane. Come già fecero le Brigate Rosse, il demonio sa che puntando la donna può sferrare l’attacco decisivo “al cuore” della Chiesa. Ma c’è Maria, la docile e obbediente che accompagna ogni donna ad offrire tutto se stesse al compimento della Parola di Vita che genera nella Chiesa e per il mondo Gesù, l’unico Salvatore. Per questo le donne sono il Cielo terso che si affaccia sulla terra, la profezia della Vita eterna. Una madre non sarà mai un padre, e una moglie on sarà mai un marito, come la Vergine Maria non sarà mai Gesù suo Figlio. Lei non ha mai avuto problemi di ruolo e di prestigio, di identità e di parità. Lei era la Madre di Dio, la Sposa immacolata dell’Amore che non muore. Non desiderava altro perché quello che aveva era tutto, soprattutto perché quello che era stata chiamata a essere da prima della creazione era tutto, era l’avventura più affascinante, anche se piena di dolori: “Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità” (Papa Francesco, Intervista a Civiltà Cattolica).

Come le donne che hanno incontrato l’amore di Cristo e il suo perdono, e non possono più fare a meno di seguirlo e servirlo con tutto se stesse. Questo servizio, questa dedizione premurosa, questo amore di spose amate infinitamente è il ministero insostituibile e perfettamente complementare a quello dei presbiteri. Entrambi vivono per Cristo, entrambi servono la sua missione. Se i preti celebrano messa è per annunciare Lui; se le donne li servono perché possano celebrare messa, è, allo stesso modo, per annunciare Cristo. Le donne sono state le prime testimoni della risurrezione, le prime a sperimentare il suo perdono!!! Che privilegio, in una società nella quale alle donne non era consentito testimoniare nulla… Senza il loro annuncio Pietro non sarebbe andato al sepolcro… Quindi, senza l’annuncio delle donne niente messe, niente confessione e niente preti. 

Così è anche oggi: senza le donne che annunciano la resurrezione di Cristo, il perdono dei peccati attraverso il loro essere donne, madri, spose e vergini, nulla ha senso nella Chiesa, neanche il Papa: “Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli! E’ più importante! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Ma la donna, nella Chiesa, non solo deve finire come mamma… Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas … Ma, c’è di più! ma profondamente di più, anche misticamente di più. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità” (Papa Francesco, Brasile 2013).
Il profondamente di più è proprio questa avanguardia della storia (la guerra ad esempio, le carestie, e le nostre famiglie…) nella quale si trovano le donne, la madre di famiglia come la suora di clausura, la sposa come la vergine consacrata: la donna è al sepolcro prima di tutti, prima degli uomini, prima dei preti, dei padri e dei mariti. E’ lì perché ha seguito fedelmente il Signore, come Maria e la Maddalena, le uniche sotto la Croce. La donna ama e ha coraggio dove l’uomo teme e tradisce. La donna “apre” la Chiesa e il cammino che ad essa conduce. La donna è la Chiesa e per questo si apre e si dona, e accoglie ogni peccatore perché in essa incontri la misericordia nei sacramenti e nella Parola. Questo è fondamentale in ogni famiglia, come anche nelle comunità. Non può mancare l’amore ardente delle donne, la loro ricerca innamorata, il loro giungere all’alba e prima di tutti sulla soglia delle situazioni disperate. La mamma arriva sempre dove sente puzza di bruciato: guarda un figlio, lo “annusa” con il suo sesto senso, e ne intercetta subito il disagio, il dolore, la crisi; la madre, non si sa come, giunge sempre per prima al sepolcro dove si è infilata la vita dei suoi figli. E sempre per venerare e amare, donne innamorate e non “zitelle” come dice ancora Papa Francesco, donne feconde e fedeli, come le mirofore al sepolcro. E sempre accade lo stesso, appare Cristo risorto, e parla al loro cuore, e le apre alla speranza. Per questo, le madri corrono poi a chiamare il padre, perché vada anche lui alla tomba, e veda, e creda, e prenda decisioni… Prima la misericordia di una madre, e poi l’autorità del Padre, autorità che può essere accolta solo se scaturisce dalla misericordia materna.

E’ quanto ripete sempre Papa Francesco: “Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale. Ma l’annuncio dell’amore salvifico di Dio è previo all’obbligazione morale e religiosa” (Papa Francesco, Intervista a Civiltà Cattolica). E questo ordine che è opera dello Spirito Santo, colloca proprio “il genio femminile nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti” (Papa Francesco, Ibid.); Infatti “è necessario” l’annuncio delle donne, la loro esperienza di essere guarite dalla misericordia, la loro intercessione che si fa annuncio invincibile di speranza, laddove si deve governare. Nelle famiglie come nella Chiesa, è questo l’equilibrio che oggi, in poche parole, il Vangelo ci annuncia: “C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità”. Con Cristo, nel cammino della Chiesa per le “città e i villaggi” delle generazioni del mondo, gli apostoli sono insieme alle donne per condividere e realizzare la volontà del Padre compiuta nel Figlio. Con Lui, insieme perdonati e salvati, rigenerati e inviati, uomini e donne, sacerdoti e suore, padri e madri sono inviati nel mondo a testimoniare con gratitudine l’immagine amorevole di Dio che ogni uomo desidera ardentemente di vedere.