di Carlo Panella
Tratto da Libero del 29 settembre 2010
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La vita di Sakineh non finirà dunque straziata dalle pietre della lapidazione, ma strangolata dal cappio della forca: questa è la sordida beffa che il regime iraniano sta mettendo in scena in risposta alla mobilitazione mondiale per salvare la vita alla povera donna.

Ieri, infatti il procuratore generale iraniano Hossein Mohseni Ejei ha annunciato la condanna a morte di Sakineh per l’omicidio del marito, pena che secondo il codice iraniano ha la precedenza su quella per lapidazione per adulterio (una mossa cinica, ma prevista da alcuni analisti, come da chi scrive). Così, nel nome di un codice che permette la sommatoria delle pene solo se alla morte si sommano le frustate (recentemente un uomo è stato frustato per ben 173 volte, un supplizio infame, prima di essere portato a peso, incosciente per il dolore, sulla forca e appeso), Sakineh morirà comunque e il mondo si prenderà una lezione che pienamente, si merita. Se la merita perché tutti hanno fatto assolutamente bene, anzi benissimo, a mobilitarsi per salvare Sakineh dal supplizio della lapidazione, ma l’hanno fatto tardi e male. Tardi, perché è dal 1979 che in Iran si lapidano le donne (molto meno, gli uomini) e perché è da sempre che in Arabia Saudita si lapidano le donne. Ma tutti hanno taciuto, nessuno, tranne poche organizzazioni umanitarie e gli oppositori politici iraniani e sauditi hanno mai portato scandalo per quei supplizi. Tardi, perché in Iran la pena di morte –al di là della lapidazione- viene comminata in misura abnorme (nel 2009 gli impiccati sono stati 402, nel 2008 sono stati almeno 346, quest’anno saranno ben più di 400), ma nessuno ha mai protestato, anche pochi giorni fa, quando è stato condannato a morte Hossein Derakhshan la cui colpa è solo quella di avere tenuto il più famoso Blog in lingua farsi, o quando nei mesi scorsi sono stati impiccati una decina ragazzi rei solo di essere “mohareb”, “nemici di Dio”, per avere manifestato contro il regime. Un silenzio ipocrita, complice, anche vergognoso, perché motivato se non dal disinteresse, dal fatto che l’Iran (come l’Arabia Saudita) ci forniscono di petrolio. Però, per Sakineh, per uno strano fenomeno mediatico, questa cappa di complicità occidentale si è incrinata e tutto il mondo ha chiesto pietà, ottenendo almeno di evitarle il supplizio della lapidazione (la legge coranica prevede che le pietre non devono essere appuntite, e neanche troppo pesanti, in modo da far durare a lungo l’agonia). Forse –ripetiamo: forse- se ora questa mobilitazione riprende sarà possibile ancora salvare Sakineh anche dalla forca: secondo i figli abbiamo due settimane o poco più di tempo, e vale la pena di impegnarsi tutti al massimo per un obbiettivo che va ben al di là della pur preziosissima vita di una donna, e che fa giungere al regime iraniano il peso di una impopolarità e di una riprovazione planetaria sicuramente meritata. E’ certo però, che le mobilitazioni di opinione non hanno presa se poi il regime iraniano verifica che i paesi che si mobilitano per Sarkineh, contemporaneamente incrementano gli affari con l’Iran. Pochi lo sanno, ma esattamente questo è quello che ha fatto l’Italia nell’ultimo anno in cui ha quasi raddoppiato l’interscambio, nonostante le sanzioni Onu. Una scelta vergognosa su cui il governo deve prendere posizione anche se –va detto- molto spesso è opera delle politiche commerciali dei privati. E’ ora però che anche gli industriali italiani grandi e piccoli prendano hanno che avere una coscienza –anche nel mondo degli affari- non è un optional.