La Vigna di Rachele organizza ritiri in Italia

di Elizabeth Lev

ROMA, martedì, 26 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Nel 1767, i missionari europei si sono recati in California per portare un messaggio di speranza e amore attraverso il Vangelo; 250 anni dopo, quei semi sono tornati nel Vecchio Continente per portare frutto.

Monika Rodman, originaria della zona della Baia di San Francisco, si è trasferita nell’Italia meridionale nel 2007 e ha portato con sé La Vigna di Rachele, un ministero concepito per donne che hanno effettuato un aborto.

Ho avuto la fortuna di incontrare questa pioniera del Nuovo Mondo agli inizi di ottobre durante il V Congresso Mondiale di Preghiera a Roma, dove pubblicizzava il ritiro de La Vigna di Rachele dal 5 al 7 novembre a Bologna.

Negli Stati Uniti, dove sono stati effettuati più di 50 milioni di aborti da quando la decisione della Corte Suprema del 1973 Roe vs. Wade ha legalizzato questa pratica, la questione dell’aborto è molto discussa ed è una potente argomentazione politica. L’affare multimiliardario dell’aborto esercita pressioni sul Governo per il suo finanziamento, ed è onnipresente nella forma di cliniche in ogni città statunitense.

L’Italia ha legalizzato l’aborto nel 1978. Alla metà degli anni Ottanta c’era una media di 230.000 aborti all’anno. Il numero è diminuito negli anni Novanta, arrivando a circa 130.000. Tecnicamente l’aborto è legale solo nel primo trimestre della gravidanza, con eccezioni per aborti al secondo trimestre per anomalie fetali destinate ad avere gravi conseguenze psicologiche sulla madre. Gli italiani discutono raramente dell’aborto, e un partito politico non si fonderebbe o non cadrebbe mai sulla base della questione.

Nonostante le differenze nel discorso sociale che circonda l’aborto, Monika Rodman ha rilevato un aspetto comune: le donne che hanno effettuato un aborto erano isolate, sofferenti e trascurate da un lato e dall’altro dell’oceano.

La Rodman ha sottolineato che l’omertà regna non solo nelle zone in cui la mafia è particolarmente influente, ma anche nella cultura dell’aborto.

“I tuoi amici per il diritto all’aborto dicono ‘Dimenticalo’, e tu naturalmente temi la condanna di quanti si definiscono pro-vita”, ha detto la Rodman. “In un modo o nell’altro, le donne che hanno effettuato un aborto realizzano presto che la loro è una perdita indescrivibile e un dolore che devono nascondere”.

Ciò, afferma, è ancora più valido in Italia, dove “molte persone vivono con la famiglia d’origine, dove l’argomento non deve mai essere discusso”.

“L’aborto è una ferita universale, ed è difficile da guarire”, ha commentato la Rodman, che ha lavorato per 12 anni al progetto de La Vigna di Rachele a Oakland, in California, prima di trasferirsi in Puglia. Il silenzio che circonda l’aborto fa sì che la ferita si acuisca anziché guarire, distruggendo spesso famiglie, matrimoni e rapporti con Dio.

La Rodman nota anche alcuni contrasti interessanti. A differenza degli Stati Uniti, dove solo il 20% degli aborti interessa donne sposate, in Italia i due terzi sono effettuati da donne sposate. Questo trauma della morte di un figlio cresce nonostante la negazione, visto che la coppia non ne parla mai, e questo fatto si muove quindi in modo sotterraneo, danneggiando spesso il matrimonio alla base.

Un altro caso tipicamente italiano è quello delle madri che costringono le figlie nubili sui vent’anni ad abortire perché sono “troppo giovani” e non vogliono che danneggino le proprie possibilità di matrimonio o di carriera. Dopo il trauma dell’aborto, la madre e la figlia continueranno a vivere insieme, spesso per anni, con un risentimento inespresso che cresce tra loro.

In Italia gli aborti vengono effettuati soprattutto negli ospedali, e coperti dal sistema sanitario statale. Queste procedure avvengono sullo stesso piano dei reparti maternità, per cui le donne che hanno effettuato un aborto vedono tutte le neomamme felici entrare e uscire dall’edificio, aumentando il proprio dolore.

Per la Rodman, in Italia le statistiche sull’aborto non sono molto accurate, visto che molti vengono effettuati illegalmente o al di fuori dei parametri della legge (ad esempio pagandoli in contanti in un ufficio privato). Alcune donne vogliono evitare il periodo di attesa di sette giorni, altre hanno paura di andare in un ospedale pubblico temendo di essere riconosciute. Queste donne sono ancora più isolate da assistenza e guarigione.

Monika Rodman organizza ritiri per le donne italiane che si sono sottoposte a un aborto. Anche se finora si sono svolti solo nel nord Italia, vi hanno partecipato anche donne giunte dal centro e dal sud. Il team del ritiro include uno psicologo e un sacerdote, e il metodo de La Vigna di Rachele offre esercizi di Scrittura e sui sacramenti, così come un servizio commemorativo per il bambino non nato. Durante questo periodo di riflessione, preghiera e condivisione di esperienze con altre donne e uomini che vivono la stessa sofferenza, molti intraprendono la lunga strada della guarigione.

La Vigna di Rachele è stata salutata con incoraggiamento da molte Diocesi italiane e ha trovato un forte alleato nella rete italiana dei centri di ascolto cattolici, fondati come alternativa ai centri per la pianificazione familiare spuntati negli anni Settanta. Le donne contattano la Rodman attraverso il suo sito Internet e perché ne hanno sentito parlare da amici, clero, centri di ascolto e di aiuto in gravidanza cattolici. Avendo compreso la natura particolarmente privata dell’aborto in Italia, la Rodman dà grande importanza alla discrezione.

Il suo apostolato italiano non è solo alimentato dall’amore, ma è stato provocato dall’amore. Il suo matrimonio con Domenico Montanaro nel 2007 l’ha portata in Italia, e ha portato anche suo marito ne La Vigna di Rachele.

Il marito, il suo più grande sostenitore, si sorprende della sua difesa appassionata e della sua comprensione. Come direbbe Virgilio, “Omnia vincit amor”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]