Tratto da Il Foglio del 15 giugno 2009

Sono stati giustiziati tutti i nove stranieri rapiti nello Yemen.  Tra le vittime anche tre donne tedesche. I loro corpi sono stati orrendamente mutilati.

Ci sono anche tre bambini, i loro genitori e due infermiere, tutti tedeschi; un ingegnere britannico e sua moglie, un’insegnante sudcoreana. I nove stranieri erano stati sequestrati mentre facevano un pic-nic a Saada. Facevano parte di un’organizzazione internazionale, la Worldwide Service, che da trent’anni opera nell’ospedale statale di Saada, la provincia dove è avvenuto il sequestro al confine con l’Arabia Saudita. Questa ong è stata creata nel 1972 da una coppia di medici olandesi e ha sede a Rotterdam. Sarebbero una trentina i non musulmani impiegati nel paese. Si parla di una loro evacuazione.

Al Qaeda è la prima indiziata della strage. L’esecuzione dei nove cittadini stranieri segna un precedente impressionante persino in un paese come lo Yemen, dove si contano duecento rapimenti di stranieri in quindici anni, sequestri che però generalmente si risolvevano con il pagamento di un riscatto.

Nel dicembre del 1998 erano stati uccisi tre cittadini britannici e un australiano, rapiti da un gruppo fondamentalista islamico, mentre nel luglio del 2007 un’autobomba esplose al passaggio di una carovana di turisti, uccidendo sette spagnoli. Dieci giorni fa l’organizzazione di al Qaida per il Maghreb islamico aveva ucciso un altro ostaggio britannico nel Mali. Alcune delle vittime trucidate nello Yemen appartenevano a una missione evangelica, un aspetto che potrebbe averli trasformati in un doppio obiettivo: stranieri e cristiani. In un comunicato diffuso a marzo, dopo un attentato contro un gruppo di sudcoreani, i qaedisti avevano proclamato: “Portano la corruzione nella nostra terra e giocano un ruolo pericoloso nella diffusione del cristianesimo”.

Nel dicembre di sette anni fa tre medici americani, missionari di un’altra congregazione cristiana battista, erano stati trucidati in un attacco simile. L’attentatore disse di aver compiuto l’agguato “per purificare la propria religione e per avvicinarsi ad Allah”. Lo scorso ottobre, in Afghanistan, i talebani hanno giustiziato un’altra cooperante britannica, Gayle Williams, accusata dai guerriglieri islamici di “proselitismo cristiano”. Sempre a Kabul, gli studenti islamici avevano sequestrato una ventina di volontari cristiani sudcoreani, uccidendone due e rilasciando gli altri dopo lo smantellamento della rete missionaria nel paese. Anche allora, tedeschi e sudcoreani erano fra gli ostaggi.

Sono diversi mesi che nello Yemen si registrano attacchi alla comunità cristiana evangelica. Il 15 marzo ad al Shibam quattro turisti sudcoreani, bollati come “crociati”, erano stati uccisi da un attentatore suicida. Tre giorni dopo si registra un fallito attentato kamikaze contro il team di investigatori sudcoreani nel paese. Le principali organizzazioni cristiane nel mirino sono ora le Sorelle della carità, che si prendono cura dei disabili nella capitale Sana’a; la missione svedese che dirige una scuola per handicappati a Taiz, la missione medica olandese di Sa’ada e la congregazione americana battista che da trent’anni dirige un importante ospedale a Jibla. Lo Yemen, il paese arabo più povero, è una sorta di nuova oasi protetta di al Qaida. Gli attacchi sono sempre più gravi e frequenti – lo scorso aprile una bomba è esplosa anche vicino all’ambasciata italiana – ma gli analisti accusano il regime del presidente Ali Abdullah Saleh di complicità con gli islamisti. I sunniti di al Qaida sono una milizia paramilitare utile al regime – che controlla i loro campi d’addestramento – per combattere i ribelli sciiti nel nord del paese, accusati assieme ad al Qaida della strage di ieri. Per questo nello Yemen i membri della rete di Osama bin Laden godono di impunità. “I ribelli sciiti non sequestrano, non sono islamisti o jihadisti”, dice allo Spiegel l’esperto di terrorismo Guido Steinberg, spiegando che a uccidere i nove siano stati appartenenti alla rete qaidista.

Non sono soltanto i cristiani a essere finiti nel mirino dei tagliagole nello Yemen. Appena tre mesi fa, a protezione della comunità ebraica di origine biblica nello Yemen, risalente all’epoca della regina di Saba e di Salomone, da mesi sottoposta ad attentati e minacce, Israele ha organizzato un ponte aereo speciale. Ha mosso gli specialisti dell’agenzia ebraica, il Mossad e gli uomini migliori dell’aviazione e dell’esercito. Moshe Yaish Nahari, un esponente della comunità di Raida, da cui è partito il ponte aereo per Israele, era stato appena massacrato a sangue freddo davanti a casa. Moshe non nascondeva la propria identità. Aveva messo una grande stella di David sulla porta di casa. Un fondamentalista islamico lo ha avvicinato al mercato, gli ha chiesto di convertirsi all’islam e poi gli ha sparato. “Ebreo, ricevi il messaggio dell’islam”, ha detto prima della scarica di mitra.