Il liturgista Viviani e Paolo Padrini, l’ideatore di e-Breviary, intervistati da Settimana: “Occorre un uso intelligente”

MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA
da www.vaticaninsider.it

 

Aveva suscitato qualche curiosità la notizia la primavera scorsa della dichiarazione dei vescovi della Nuova Zelanda, riguardo all’uso liturgico dell’I-Pad.

Tra i commenti autorevoli giunge ora quello di un liturgista e dell’ideatore di I-Breviary intervistati dalla rivista Settimana (n.31): “Non è un caso che il 28 giugno 2011 Benedetto XVI abbia inaugurato, usando un iPad, il portale news.va, a dieci anni di distanza dalla prima e-mail inviata da un papa, il suo predecessore alla Chiesa d’Oceania,  ma esiste anche il versante liturgico, forse ancora da esplorare”.

 

“Mi sento in linea con i vescovi neozelandesi: la liturgia deve essere protetta da abusi”, dice don Paolo Padrini, piemontese classe 1973, il primo ad aver “sdoganato” la tecnologia in ambito liturgico con l’e-Breviary. “Come per tutte le cose l’uso deve essere “intelligente”. Se un vescovo va in visita pastorale, si suppone che usi libri liturgici ufficiali, ma se va in vacanza, potrebbe usare l’iPad. Un diacono in processione porta l’evangeliario – anche bello e prezioso, perché ha il suo significato – non un iPad. Il problema sorge quando il messale non c’è: ma è più “giusto” usare un “messalino”  o un iPad? San Paolo raccomanda di non dare scandalo: se esiste il rischio che l’assemblea pensi che il parroco sull’altare stia giocando, o leggendo la posta o che l’uso sia anche solo motivo di distrazione, meglio evitare”.

 

Don Padrini vede anche altri vantaggi: utilizzando qualche forma di controllo, con una decina di iPad nei banchi, anche l’anziano che ha difficoltà di lettura potrebbe seguire la celebrazione aumentando le dimensioni del carattere … Ma aggiunge un interrogativo: “Quello che mi chiedo quando sento parlare di libri liturgici con l’aggettivo “sacro”: è la stessa sacralità che gli Ebrei riconoscono alla Torah? Se la risposta è no, cos’ha di diverso un iPad che contiene il medesimo testo?”.

 

La domanda è stata girata a mons. Giulio Viviani (trentino classe ’56) docente di liturgia allo Studio teologico di Trento, per  17 anni cerimoniere pontificio: “Una cosa sono i libri che contengono la Parola di Dio, altra il Messale e i Rituali che non portiamo in processione, come invece si fa con l’Evangeliario. E’ vero che è uso comune parlare di vesti, libri, suppellettili “sacre”, ma la sacralità non è data dalle cose in sé. Per secoli gli oggetti non venivano benedetti, le chiese non erano consacrate, perché la sacralità è data dall’uso che se ne fa”. E l’iPad non fa eccezioni.  Un cambiamento epocale – sottolinea mons. Viviani – è la prima volta nella storia del cristianesimo che non esiste più solo la carta  (e prima la pergamena ) per veicolare i testi liturgici, che all’inizio venivano chiamati “libelli” (libri).

 

“L’unico rischio che vedrei anche in questo contesto è quello del funzionalismo.  Capita spesso di vedere gli altari già predisposti con tutto, compreso il vino nel calice, il microfono al centro – quasi una scenografia: non è che stiamo perdendo la bellezza e la simbolicità dei gesti che sono da rispettare? Bisogna però ricordare che non si celebra il Messale, ma la Messa”.

 

Il liturgista considera “preziosa” la tecnologia: “L’iPad è una ricchezza per il celebrante come per i fedeli”: ad esempio prima della celebrazione per trovarvi le letture o pensando ad Apocalisse 1,12 (“Mi voltai per vedere la voce che parlava”) la Parola si può anche “vedere”. Perché non una proiezione con alcune frasi da commentare durante l’omelia, un Power Point con qualche immagine, il testo dei canti dell’assemblea, il salmo responsoriale?

 

In un monastero ovviamente si prega con il testo sacro, ma niente vieta che ci sia uno schermo – come gli antichi  antifonari e salteri – dove si proietta ingrandito, magari per i monaci più anziani o per seguire meglio una lettura o la modulazione di un canto gregoriano …”.