I pellegrini in una San Pietro gremita per difendere Benedetto XVI dagli attacchi
di Piero Laporta
Tratto da Italia Oggi il 18 maggio 2010

Otto e trenta: il primo autobus su via della Conciliazione, a Roma. Dino, barista a Porta Castello, non sa che Sua Santità attende quei ragazzi mattinieri dagli occhi limpidi. «Fagli lo sconto, pregheranno anche per te» lo stuzzico. Egli li rifocilla prima che s’affrettino al colonnato del Bernini. Transumano dal Tevere, da Porta Angelica e dall’Aurelia, per scacciare i nuovi Lanzichenecchi e ricordare col Papa: «Non praevalebunt», non prevarranno.

Tutti i movimenti cattolici sfilano coi loro striscioni. Inutile tentare d’enumerarli. Alle dieci, nella fiumana s’instradano i Gruppi di Preghiera di Padre Pio, processionano da San Salvatore in Lauro, due passi da piazza Navona, la parrocchia di don Pietro Bongiovanni, che guida i Gruppi del Lazio dalla chiesa che incrocia i ricordi del sacro Romano Impero col magistero di Pio XI e con la venerazione lauretana. Gli striscioni della Casa Sollievo della Sofferenza, vegliati dai labari col Padre Pio benedicente, guidati da Giulio Siena, muovono alla volta di San Pietro. Lungo la strada, Gianni Alemanno, sindaco di Roma e assiduo al santuario garganico, si concede una foto e un sorriso coi pellegrini festosi, prima d’incamminarsi a sua volta, nuovamente corrucciato, fra tanti gioiosi. Uno dei pellegrini prega Padre Pio per Luciano Faraon, limpido avvocato, assente perché soccorrevole verso un Cristo carcerato. Padre Pio ascolterà.

Su quella folla in cammino aleggia la profezia. Su quel selciato tuonò «Seguimi», l’omelia del cardinale Joseph Ratzinger alla Messa funebre di Giovanni Paolo II: «Seguimi» dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. «Seguimi» – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine[_]». Di lì a poco Joseph, seguendo la Parola, divenne Benedetto.

Parte un applauso prematuro dei pellegrini inesperti, suggestionati dalla discesa dell’arazzo con l’insegna papale. Quattrocentomila occhi catturano la finestra dov’Egli finalmente s’affaccia a mezzodì: «Fratelli e sorelle, grazie_». Principi e mendicanti, dirigenti e operai, soldati e generali, persino un agente segreto dissimulato da prete, testimoniano. Il Papa è raggiante. Non s’affanna coi Lanzichenecchi; riparte dall’Ascensione di Gesù al Cielo, secondo il triplice insegnamento di San Bernardo da Chiaravalle: la gioia della resurrezione, il potere di giudicare e il trionfo alla destra di Dio Padre. L’omelia di sei minuti e trenta secondi vola alta più dei palloncini liberati nel cielo. Il Pontefice asperge sillabe limpide: «Cari amici, voi oggi mostrate il grande affetto e la profonda vicinanza della Chiesa e del popolo italiano al Papa e ai vostri sacerdoti, che quotidianamente si prendono cura di voi, perché, nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale possiamo sempre meglio servire la Chiesa, il Popolo di Dio e quanti si rivolgono a noi con fiducia. Il vero nemico da temere e da combattere è il peccato, il male spirituale, che a volte, purtroppo, contagia anche i membri della Chiesa». Applauso scrosciante. Gaetano Fraiese, luminare dell’endocrinologia, e la sua sposa, medico del pari insigne, sollevano il loro cartello: «Non praevalebunt», pochi passi in là dallo sguardo di Padre Pio. Il Papa gioisce: «Vi ringrazio di cuore, cari fratelli e sorelle, per la vostra calorosa e nutrita presenza! Grazie». È l’ora degli angeli, disse Padre Pio; «È davvero l’ora degli angeli» rimarcò Giovanni Paolo II in analoga occasione. Non praevalebunt, ripete Benedetto XVI.