di Don Antonello Iapicca

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21.

Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.
Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.




IL COMMENTO



In mezzo a tante chiacchere sulla moralità, sulla giustizia, il Vangelo di oggi ci inchioda tutti alla verità: le nostre opere in chi sono fatte? Scrive San Giacomo che la fede senza le opere è morta. Per dire che una fede che non si esplicita in un agire concreto è una fede senza vita, ferma ad uno stadio intellettuale o pseudo-mistico, ma priva del soffio dello Spirito. Nel Vangelo di Giovanni fede e opere quasi coincidono; in esso infatti l’opera per eccellenza è credere. E’ l’opera fatta in Dio, quella che spalanca le porte della vita alla luce. Credere è appoggiarsi, credere è rimanere nel Signore. Tutto nel Vangelo di Giovanni conduce ad una relazione di intimità con Gesù. Vedere è credere, e credere è essere uniti profondamente e indissolubilmente a Cristo. Credere in Lui, come dire di essere in Lui. In Giovanni non v’è nulla di gnostico, intellettuale o ideale. Giovanni è concretissimo, nelle note storiche di cui si serve per il suo vangelo, come nel mostrsre la relazione di Gesù con i suoi discepoli. Il discepolo amato infatti, appare come colui che riposa sul petto di Gesù, e ne percepisce i sentimenti più profondi sino ad identificarvisi. Vedere Gesù anche dove non lo si vede più nella carne, nei momenti bui dell’esistenza, dove neanche un briciolo di sentimento può consolare. Nella solitudine della notte, dove ragione e sentire non rispondono all’appello, camminare illuminati dalla sola fede, dall’intimità che supera ogni barriera, come una madre che ha il figlio in guerra e non sa se sia vivo oppure no, che non riceve lettere e notizie, ma che non per questo smette di amarlo, anzi, nella totale incertezza, nella precarietà che fagocita tutto, l’amore si moltiplica a dismisura rompendo gli argini del tempo e dello spazio. Questo amore è, per Giovanni, la fede. Questo amore che sgorga dallo stesso cuore di Dio rivelato dal dono del Suo unigenito Figlio. L’amore di Dio che cerca ogni uomo per attirarlo a sé attraverso la Croce innalzata di Gesù. Guardare Cristo crocifisso, fissare quell’amore trafitto dai miei peccati, restarne coinvolto perché Lui si è legato a me al punto di farsi peccato, di lasciarsi stritolare dalle conseguenze dei miei delitti, guardare Cristo crocifisso e vedere l’amore di Dio per me: questa è la fede. Credere che l’amore che ho sempre sperato è possibile, è ora qui davanti ai miei occhi. Credere è lasciarmi amare e perdonare. Credere è smettere di discutere, giustificarmi, scappare alla ricerca di rifugi ipocriti e alienanti. Credere è abbandonare ogni pretesa di autosufficenza e autogiustificazione e lasciarmi giudicare dal non giudizio di Dio, dalla sua misericordia, dal suo amore. Credere è consegnarmi oggi alla giustizia divina, al fuoco d’amore acceso sulla Croce. Credere è immergersi nell’amore per vedere la mia vita trasformata in amore. Nessuna condanna per chi è amato. In chi crede tutto viene alla luce perché tutto risplende dall’interno come nelle icone orientali, di una luce nuova e celeste, quella della vita divina che ha preso possesso di lui. La fede trasfigura l’esistenza, e la fa risplendere di santità. E’ vero che tutti portiamo l’esperienza dell’incredulità, della chiusura alla Grazia. Tante volte abbiamo preferito le tenebre dei nostri sotterfugi, dei nostri desideri, dei nostri progetti da portare a termine a tutti i costi. E’ vero che le nostre opere erano malvage, figlie del principe delle tenebre e della menzogna. E’ vero che abbiamo tanto giudicato perchè il nostro cuore non aveva conosciuto la misericordia, ma solo il duro giogo del moralismo e dell’ipocrisia. E’ vero che siamo dei poveri peccatori. Ma proprio per noi sono le parole del Vangelo di oggi, per noi è l’amore infinito di Dio. Ora. Lasciamoci allora abbracciare da Gesù, così come siamo, fissiamo il Suo sguardo che non ci giudica, che desidera solo di farci una cosa con Lui. Desidera la nostra felicità, essere in Lui e Lui in noi, rimanere da ora e per l’eternità nel Suo amore.

Liturgia latina
Inno di Sant’Ambrogio per le laudi, Splendor paternae gloriae

« La luce è venuta nel mondo »

O Splendore del Padre
o Luce nata da Luce,
Luce che origini luce,
Giorno che illumini i giorni,

il mondo oscuro inonda,
Sole che non tramonti!
Apri i cuori al riverbero
fulgente dello Spirito.

E al Dio di eterna gloria
ora salga la supplica:
potente la sua grazia
distolga i nostri passi da ogni insidia;

ridoni il coraggio del bene,
reprima l’invidia di Satana,
volga le asperità a nostro favore,
conceda di vivere giusti;

regni sovrana sull’animo
casto e fedele preservi il corpo,
pura e fervente la fede,
ignara d’ogni errore.

Cristo sia nostro cibo,
la fede ci disseti;
beviamo con gioia la sobria
ebbrezza dello Spirito.

Lieto trascorra il giorno:
il pudore sia un’alba serena,
la fede un meriggio assolato,
ombra notturna sul cuore non scenda.

O Cristo, Aurora, svèlati,
ora che avanza l’aurora:
tutto nel Padre vivi,
tutto in te vive il Padre.