di Domenico Bonvegna

Nel precedente intervento scrivevo che il cattolico per costruire una buona politica rivolta la bene comune, deve ripartire dalla “nuova evangelizzazione“.

Però come potrà infatti svilupparsi una politica per il bene comune se per legge è garantita la soppressione del più debole e indifeso (ricordo che ad oggi l’aborto legalizzato in Italia ha consentito l’uccisione di oltre 5 milioni di esseri umani), se si facilita la disgregazione della famiglia – che ha conseguenze negative enormi anche in economia – se viene scippato alla famiglia il diritto-dovere di educare i propri figli, impedendo perciò il maturarsi pieno della propria personalità e libertà?

Ecco perché questi principi costituiscono il fondamento di ogni politica che sia davvero per il bene comune: questo si basa sul valore assoluto di ogni persona, sull’irriducibilità della dignità di ciascuna persona. Molto spesso invece si usa la definizione di “bene comune”in modo vago o riducendola a una generica buona amministrazione o addirittura a un agire onesto “. Il Catechismo della Chiesa a questo proposito è molto preciso nella definizione: «Per bene comune s’intende l’insieme di quelle condizioni di vita sociale che permettono ai gruppi e ai singoli di realizzare la propria perfezione» (no. 407 del Compendio). Si tratta perciò di condizioni spirituali e materiali perché riguardano l’uomo nella sua integrità, in tutte le sue dimensioni. È una questione fondamentale perché l’uomo è per sua natura sociale, non può vivere e realizzarsi da solo.

Per riconoscere queste verità non c’è bisogno di essere cristiani, perché – come disse Benedetto XVI nel 2006 – questi principi “sono inscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l’umanità”. Non si tratta quindi di verità di fede che si vuole imporre anche a chi non crede. Ma per i cattolici impegnati in politica questi princìpi di dottrina sociale sono vincolanti, non possono essere disattesi. Altrimenti la tentazione – come possiamo vedere in questo periodo – è quella di far diventare valore fondamentale la propria analisi o scelta di schieramento. O usare i princìpi della Dottrina sociale in modo strumentale, piegandoli alle proprie scelte, come peraltro sta già avvenendo in vista del “referendum sull’acqua”che ci sarà fra dieci giorni.

Quindi bisogna, con una rinnovata modalità di annuncio nella complessità odierna, evangelizzare, il compito rimane identico come duemila anni fa.

Il 30 maggio scorso, Benedetto XVI, ricevendo i partecipanti del nuovo Consiglio per la promozione della “nuova evangelizzazione, ha affermato: “La missione non è mutata, così come non devono mutare l’entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2, 1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo”. Quindi il Papa descrive la società del nostro tempo, “L’uomo contemporaneo [è] spesso distratto e insensibile. La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica. Nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all’ombra della fede che aveva plasmato la cultura. Oggi, purtroppo, si assiste al dramma della frammentarietà che non consente più di avere un riferimento unificante ; inoltre, si verifica spesso il fenomeno di persone che desiderano appartenere alla Chiesa, ma sono fortemente plasmate da una visione della vita in contrasto con la fede». «Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità» spesso il cristianesimo si riduce a «una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni», non a una testimonianza continua e pubblica. È un dramma, perché senza l’annuncio pieno della salvezza «l’esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell’essenziale».

A questo dramma odierno può rispondere solo la nuova evangelizzazione, “un progetto dove l’urgenza per un rinnovato annuncio si faccia carico della formazione, in particolare per le nuove generazioni, e sia coniugato con la proposta di segni concreti in grado di rendere evidente la risposta che la Chiesa intende offrire in questo peculiare momento”. Mi sembra evidente che nel nostro Paese da tempo, siamo privi di una classe dirigente, e non solo cattolica; dunque da una parte, formazione per un annuncio esplicito; dall’altra, testimonianza di una vita credibile. Così continua il Papa, “se, da una parte, l’intera comunità è chiamata a rinvigorire lo spirito missionario per dare l’annuncio nuovo che gli uomini del nostro tempo attendono, non si potrà dimenticare che lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono”. E citando le parole del servo di Dio Paolo VI (1897-1978), quando, a proposito dell’evangelizzazione, affermava: “È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità”(Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41)». È impossibile? È difficile? Certo oggi non mancherebbero le occasioni di scoraggiamento. Ma nulla è impossibile a chi confida nel Signore e si affida a «Maria, Stella dell’evangelizzazione».