di Alfredo De Matteo
Tratto dal sito dell’agenzia Corrispondenza Romana
La battaglia per la vita contro le leggi abortiste, lungi dall’essere morta e sepolta sta attraversando una fase nuova, delicata e ricca di prospettive.
La naturale repulsione verso quelle norme che legittimano l’omicidio selettivo dell’innocente non potrà mai venire meno, sebbene decenni di aborto di Stato e di propaganda ingannevole sembrano aver spento definitivamente ogni giusta aspirazione al bene.
Tuttavia, la lotta sacrosanta per la vita e per la verità non può essere intrapresa con speranza di successo senza un progetto a lungo termine che dispieghi con criterio e raziocinio le forze in campo. Ora, si registrano nel variegato mondo dei pro-life italiani delle linee di pensiero e di azione che rischiano, a nostro avviso, di limitare l’efficacia della buona battaglia.
Da una parte, ci sono coloro i quali teorizzano che per combattere l’aborto e la mentalità abortista sia necessario agire esclusivamente a livello culturale tralasciando completamente l’aspetto principale, ossia la legislazione vigente. Il presupposto teorico di tale tendenza è essenzialmente la convinzione che la legge iniqua scaturisca da un clima sociale sfavorevole che impedisce la piena presa di coscienza delle universali ragioni della vita: di conseguenza, l’azione massiccia a livello culturale tenderebbe a ristabilire quel clima necessario per agire efficacemente anche a livello legislativo.
In altre parole, una volta modificato l’atteggiamento generale nei confronti dell’aborto volontario la legge verrebbe automaticamente abrogata oppure i suoi deleteri effetti annullati. A scanso di equivoci, la suddetta tesi non necessariamente viene propugnata da chi, di fatto, collude con l’ideologia dominante ma anche da chi è ben radicato nella verità ed è cosciente della intrinseca illiceità delle legislazioni abortiste.
Si tratta però di una strategia destinata a fallire: il ruolo della legge è determinante e non si limita a produrre disastri a livello prettamente numerico (il computo dei morti direttamente causati dalla legge 194/1978 è impressionante sebbene sia incompleto, tenuto conto dell’impossibilità di conteggiare esattamente il numero delle vittime degli abortivi chimici e della cosiddetta contraccezione d’urgenza) ma soprattutto a livello culturale, intellettuale e morale. Come abbiamo avuto modo di mettere in luce in altre occasioni, l’uomo è fondamentalmente un essere sociale che tende ad uniformarsi all’ambiente in cui vive per cui la pressione della norma giuridica lo induce a conformarsi al mutato ordine costituito.
Non dimentichiamoci infatti che i fautori del male hanno puntato e tuttora puntano sull’introduzione nell’ordinamento giuridico del grimaldello normativo, unico strumento in grado di dare l’impulso decisivo al processo destabilizzatore in atto e scoraggiare i contrari e gli indecisi. Così è successo in Italia con la legge sull’aborto, malgrado la maggior parte della popolazione fosse ancora piuttosto contraria, nonostante la violenta e ben orchestrata pressione culturale filo abortista, circa la necessita o l’opportunità di legalizzare l’omicidio dei non nati.
Dall’altra parte c’è chi sembra commettere l’errore opposto e cioè trascurare completamente il dato culturale e la necessità di creare un consenso favorevole prima di imbarcarsi in iniziative sicuramente lodevoli, ma decisamente proibitive. E’ il caso dell’ormai noto progetto di indire un referendum abrogativo della legge 194, senza però aver tracciato prima una strada, una linea di azione chiara e definita che punti ad acquisire quel minimo di consenso e di appoggio, anche economico, necessario affinché essa possa avere una ragionevole possibilità di riuscita.
I cattolici sanno bene che laddove le speranze di ristabilire l’ordine morale siano dal punto di vista naturale pressoché uguali a zero, c’è sempre la Provvidenza che è in grado di “sparigliare le carte” ed aprire opportunità inaspettate. I cattolici sanno anche che l’aiuto Divino va ricercato e stimolato con la preghiera, l’azione, il sacrificio e l’azione, e non passivamente atteso.
Tuttavia, la Provvidenza non va tentata con iniziative che, oggettivamente, non hanno alcuna probabilità di riuscita; anzi, c’è il rischio che l’inevitabile fallimento del progetto referendario rafforzi ulteriormente l’attuale situazione di stallo in cui versa la battaglia in difesa della vita umana innocente; a quel punto, infatti, il consenso sarà ancora più difficile da ottenere e la gran massa degli indecisi e degli indifferenti riceverà ulteriori conferme negative circa l’opportunità di battersi per una causa persa ancora una volta.
Con tutto il rispetto per i promotori dell’idea di indire il referendum abrogativo riteniamo preferibile seguire la strada della costruzione di un grande movimento culturale (e non semplicemente di “fare cultura”) in grado di smuovere le acque torbide e stagnanti del conformismo pro morte. L’obiettivo finale è ovviamente giungere alla completa abrogazione della legge 194 ma non necessariamente attraverso la via referendaria che presenta notevoli difficoltà.
C’è bisogno innanzitutto di rendersi visibili con messaggi chiari e diretti e soprattutto con un grande movimento di popolo al fine di ottenere attenzione e consensi, soprattutto dal mondo cattolico, e l’amplificazione del corretto messaggio pro-life a livello massmediatico.
La Marcia Nazionale per la Vita (giunta ormai alla seconda importante edizione) è nelle intenzioni dei promotori una proposta in grado di raggruppare e cementare nell’unico obiettivo di difendere con efficacia le ragioni dei senza voce, tutte quelle forze disperse che da sole non sarebbero in grado di raggiungere risultati significativi. Contiamo naturalmente sull’indispensabile aiuto della Provvidenza, consapevoli della bontà del progetto avviato e della sua fattibilità.