Il XX Municipio difende la condotta dell’operatore denunciata nei giorni scorsi su “Avvenire”: nei fatti l’aiuto richiesto c’è stato. Ma ammette: i discorsi? Sono un’altra cosa…
di Alessia Guerrieri
Tratto da Avvenire del 4 settembre 2010

Negano, giustificano, minimizzano e aggi­rano il nodo della questione: «Impossibile da ve­rificare, visto anche che dagli accertamenti svolti non ci ri­sulta; è chiaro che a voce pos­siamo dire di tutto e di più, a meno che non ci sia una regi­strazione… ». Ma non escludo­no che ci sia stata una man­canza di «sensibilità». Al XX municipio di Roma, dopo la storia raccontata ad Avvenire da Teresa (rivoltasi ai loro ser­vizi sociali al terzo mese di gra­vidanza, si è sentita prospet­tare come soluzione l’aborto), sembra ci sia un po’ di fibrilla­zione. Ed è subito partita un’indagine interna. Peccato che quello che ai responsabili municipali è parso un attacco all’operato di quel singolo ser­vizio territoriale, in realtà è e continua ad essere solo una battaglia per il difesa della vi­ta. La nostra Teresa infatti è na­ta e vive a Roma, ma poteva trovarsi anche in qualsiasi par­te d’Italia. Dal XX municipio, comunque, mettono le mani avanti. «Ho dovuto verificare la storia – spiega il presidente Giorgio Giacomini – per capi­re cosa fosse successo e se c’e­rano gli estremi per deferire questa persona al comitato di­sciplinare. Il resoconto dei ser­vizi sociali tuttavia mostra una situazione diversa».

La «situazione diversa» di Te­resa, ogni suo incontro con i servizi sociali e la soluzione di una casa-famiglia provvisoria, è nel rapporto del direttore Luigi Ciminelli. Lui, però, ha potuto verificare solo che «le azioni che il servizio ha fatto fossero volte alle ricerca di u­na situazione alloggiativa in grado di accogliere sia la ra­gazza che il nascituro». Il ver­detto è scontato. «E­scludo categorica­mente dagli accerta­menti compiuti per­sonalmente – sotto­linea – che ci possa­no essere stati atti – non parole, perché nel parlare concita­tamente capisco che si possono dire tan­te cose – portati avanti dagli assistenti sociali volti ad in­durre la ragazza ad abortire. Non vi è traccia». Del resto, non si va a chiedere aiuto ai servizi sociali con un registra­tore in tasca.

Il ragionamento del responsa­bile comunale, in sostanza, va per esclusione. Dato che è im­possibile conoscere i conte­nuti del colloquio tra la ragaz­za e l’assistente sociale, si ra­giona a contrariis. La contro­prova dell’azione impeccabile dell’assistente sociale, cioè, sa­rebbe confermata dal fatto che «al di là delle parole dette, se l’assistente sociale cerca una struttura per ragazze madri, ciò sconfessa che le abbia con­sigliato di abortire». Non sem­bra così evidente, ma Ciminelli va oltre. A suo dire, infatti, l’at­teggiamento dell’assistente sociale (che ha proposto a Te­resa una casa-famiglia per due mesi, mentre quella definitiva le è stata trovata dal Cav) vole­va anzi spronare la ragazza a portare a termine la gravidan­za, «tanto più che ti do una mano a trovare una sistema­zione anche per il nascituro». Continuando il discorso, dal municipio glissano anche sull’ ‘ignoranza’ dell’assistente so­ciale dell’esistenza dei Cav. «Su questo non possiamo che al­zare le mani», dicono. C’è po­co da obiettare, in effetti, alle parole che la diretta interessa­ta ha confermato e ribadito ad Avvenire di persona.

E pensa­re che proprio il XX municipio a Roma, invece, è uno dei po­chi nella Capitale ad avere u­no sportello per la vita e una collaborazione di lunga data con il Cav. «Se c’è un’assisten­te sociale più o meno sensibi­le, beh questo… Ma certo è che – assicurano – sulla questione continueremo ad approfondi­re».