La vita umana pesa quanto le emissioni di carbonio

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Il Vertice di Copenhagen sui cambiamenti climatici ha innescato un’ondata di opinioni sulle questioni ambientali. Tra queste si scorge un inquietante ritorno verso posizioni malthusiane che vedono il controllo demografico come la soluzione ai problemi del pianeta.

Una legge mondiale che imponga a tutte le Nazioni la politica del figlio unico, come quella cinese, è ciò che ci vuole, secondo un articolo d’opinione di Diane Francis pubblicato l’8 dicembre sul quotidiano canadese National Post.

Secondo la Francis, questa misura ridurrebbe l’attuale popolazione mondiale di 6,5 miliardi a 3,43 miliardi entro il 2075. Sebbene siano più estremistiche della media, le posizioni della Francis a favore di un controllo demografico non sono affatto isolate.

Poco prima dell’inizio del Vertice, l’Optimum Population Trust britannico ha proposto uno schema di compensazione energetica, secondo quanto riferito dal quotidiano Guardian del 3 dicembre.

Come ha spiegato John Vidal, redattore della sezione ambientale del giornale, questo prevede che i ricchi consumatori possano compensare il loro stile di vita mondano finanziando i programmi di contraccezione nei Paesi più poveri.

Secondo Vidal, i calcoli del Trust mostrano che le 10 tonnellate metriche di anidride carbonica emesse da un volo da Londra a Sydney potrebbero essere compensate da un bambino in meno nato in Paesi come il Kenya.

Sembra che il neocolonialismo continui a sopravvivere negli atteggiamenti di alcuni ambientalisti, che non vedono alcun problema nell’esortare le Nazioni in via di sviluppo a ridurre la loro popolazione per consentire ai Paesi ricchi di continuare a emettere gas serra.

Questo schema è stato lanciato in seguito alla pubblicazione, ad agosto, di un rapporto del Trust dal titolo: “Fewer Emitters, Lower Emissions, Less Cost: Reducing Future Carbon Emissions by Investing in Family Planning“.

Le conclusioni di questo studio affermano che “l’analisi costi/benefici dimostra che la pianificazione familiare è notevolmente più economica di molte tecnologie a bassa emissione”.

“Sulla base di questo studio, si propone che i metodi di pianificazione familiare siano considerati uno strumento primario nella migliore strategia di riduzione delle emissioni di carbonio”, afferma il rapporto.

Previsioni catastrofistiche

Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) si è unito al coro malthusiano con la pubblicazione del suo Rapporto 2009 sullo stato della popolazione nel mondo.

Il Rapporto auspica ripetutamente un più diffuso accesso a misure di “salute riproduttiva”. Questa definizione delle Nazioni Unite comprende l’accesso ai preservativi, ai contraccettivi e all’aborto.

“Abbiamo raggiunto un punto in cui l’umanità si sta avvicinando all’orlo del disastro”, ha affermato Thoraya Ahmed Obaid, direttrice esecutiva dell’UNFPA, durante la presentazione del Rapporto a Londra il 18 novembre scorso.

Il documento è stato accolto dalla stampa con titoli quali “L’ONU combatte i cambiamenti climatici con i preservativi” (Associated Press, 18 novembre).

“Controllo della natalità: il modo più efficace per ridurre le emissioni di gas a effetto serra”, strombazzava il quotidiano Times di Londra del 19 novembre nei suoi titoli relativi al Rapporto.

In modo confuso, accanto agli appelli per la salute riproduttiva nelle Nazioni in via di sviluppo, si leggevano altre affermazioni che contraddicevano le tesi secondo cui una riduzione della popolazione dei Paesi poveri sarebbe in grado di arrestare il cammino del mondo verso il baratro del disastro ambientale.

“La principale responsabilità per l’attuale accumulo di gas a effetto serra risiede nei Paesi sviluppati”, ammette il Rapporto.

Inoltre, “i legami tra popolazione e cambiamenti climatici sono nella maggior parte dei casi complessi e indiretti”, aggiunge.

Una migliore guida ai temi demografici e ambientali è contenuta in un servizio speciale pubblicato dalla rivista The Economist nell’edizione del 31 ottobre.

In un editoriale che accompagna il rapporto, la rivista sottolinea che la tendenza verso il basso dei livelli di fertilità nei Paesi in via di sviluppo è già avanzata. “L’attuale riduzione della fertilità è molto ampia e repentina”, afferma.

Immorale

Secondo l’editoriale, l’impatto antropico sull’ambiente può essere arginato agendo su tre fronti: demografia, tecnologia e politica. Per quanto riguarda la demografia, non vi è molto altro che si possa fare, secondo la rivista. Solo una “coercizione in stile cinese” potrebbe assicurare una più rapida riduzione della fertilità.

Sorprendentemente per una pubblicazione che non si avvicina alla religione in alcun modo, l’editoriale aggiunge che “sarebbe immorale costringere le persone ad avere meno figli rispetto a quelli desiderati perché i ricchi consumano troppe risorse naturali”.

Lo stesso Rapporto afferma che il modo per arginare le emissioni di carbonio e affrontare i problemi ambientali non è quello di ridurre la fertilità, ma di incidere sulla crescita economica per renderla meno inquinante e meno “divoratrice di energia”.

Il sociologo britannico Fran Furedi ha esplorato il ritorno del malthusianesimo in un pezzo scritto per il sito Internet Spiked. Nel suo commento del 7 dicembre, ha duramente attaccato le proposte dell’Optimum Population Trust accusandolo di essere una sorta di “organizzazione malthusiana zombie, dedita alla causa della riduzione umana”.

“Nel corso di gran parte della storia, la vita umana è stata considerata come un valore in sé, che ha una speciale qualità che non ammette di essere ridotta a termini quantitativi per essere misurata da contabili misantropi”, ha osservato.

Furedi ha basato i suoi commenti su una prospettiva umanistica e non religiosa. La vita umana possiede una qualità unica, ha sostenuto, chiedendosi perché altri umanisti non hanno voluto difendere la vita umana e sostenere gli ideali sviluppati nel Rinascimento e nell’Illuminismo.

Perdere la fede

“Un mondo che è capace di mettere sullo stesso piano un bambino e il carbonio è un mondo che ha perso la sua fede nell’umanità”, ha lamentato Furedi.

Un altro commento interessante è stato pubblicato il 9 dicembre dal sito Internet australiano On Line Opinion. L’autrice Farida Akhter, del Bangladesh, dirige un’organizzazione che lavora con le comunità nel suo Paese e gestisce una casa editrice femminista.

Riflettendo sul rapporto dell’UNFPA sullo stato della popolazione mondiale, ha sostenuto che è un approccio semplicistico quello di pensare che i problemi ambientali possano essere risolti semplicemente con una riduzione della fertilità delle donne.

Puntare il dito contro le Nazioni in via di sviluppo semplicemente non ha senso, ha affermato. Citando i dati del Rapporto UNFPA, ha rilevato che il 50% delle emissioni di anidride carbonica del mondo provengono dal mezzo miliardo di persone più ricche del pianeta.

Pertanto, ha proseguito, anche se rallentiamo la crescita della popolazione nei Paesi più poveri, il loro contributo alla riduzione delle emissioni di carbonio e del consumo delle risorse non potrà essere significativo.

“Non facciamo delle donne l’obiettivo della contraccezione in nome della soluzione dei cambiamenti climatici”, ha concluso.

Questo sentimento è condiviso da Jennie Bristow, editrice della pubblicazione britannica Abortion Review.

Anche lei ha scritto un articolo per Spiked sul tema della demografia e dell’ambiente, apparso il 6 ottobre.

La Bristow ha difeso l’aborto e la contraccezione, ma ha anche sottolineato che la storia è piena di esempi di pratiche imposte alle donne da autorità che volevano decidere quanti bambini far nascere.

Rispetto

L’autrice ha espresso critiche alla posizione pro-vita, ma ha anche sostenuto che “deve essere posta seriamente la questione di quanto sia genuino l’impegno per la libera scelta tra coloro che in definitiva vorrebbero che le donne scegliessero di non avere figli o di non averne più di un certo numero”.

Effettivamente noi abbiamo una responsabilità nei confronti dell’ambiente, ha sottolineato Benedetto XVI nella sua Enciclica del 29 giugno scorso, “Caritas in Veritate“.

Ciò che è in gioco, tuttavia è qualcosa di più delle sole questioni ecologiche, ha aggiunto il Papa. Il rispetto per la natura comprende il rispetto della vita umana. “I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri”, sostiene l’Enciclica (n. 51).

“Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna”, prosegue il Pontefice.

Una contraddizione che viene proposta da non poche e isolate voci del dibattito odierno su come affrontare il problema ambientale.