di Domenico Bonvegna

È la domanda che riecheggia nel ciclo di incontri in occasione dell’Anno della Fede organizzati dall’Associazione Alessandro Maggiolini in collaborazione con Alleanza Cattolica presso la Casa “Card. Schuster” a Milano.

Il 4° incontro è stato dedicato al “valore magisteriale del Vaticano II”, relatore don Pietro Cantoni della Fraternità Sacerdotale Opus Mariae Matris Ecclesia. Don Cantoni che è autore di un testo Riforma nella continuità edito da Sugarco ha iniziato la sua relazione con una significativa citazione del venerabile Paolo VI a colloquio con lo scrittore francese, Jean Guitton:

“C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Succede ora che io mi ridica la frase oscura di Gesù nel vangelo di san Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. Succede che vengano pubblicati libri dove la fede è sminuita su punti importanti, che l’episcopato taccia, che non ci si accorga che questi libri sono strani. Ed è questo che, ai miei occhi è strano. Mi succede di rileggere il Vangelo sulla fine dei tempi e di constatare che ci sono in questo momento alcuni segni di questa fine. Siamo vicini alla fine? Questo non lo sapremo mai. Bisogna essere sempre pronti alla fine, ma tutto può durare molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolissimo esso sia”. (Jean Guitton, Paul VI secret, Desclée de Brouwer, Paris 1979, p. 168). Sono delle parole molto gravi quelle del Papa in quegli anni di post-concilio dove già si registrava una specie di “magistero parallelo”, guidato da un folto gruppo di teologi a livello internazionale, magari qualcuno che era stato perito del Concilio, i quali arbitrariamente si sono surrogati, con vasto successo, il diritto di dire l’ultima parola sul senso del Concilio, anche a contrasto con l’interpretazione autentica proveniente dal Magistero, dal Diritto Canonico e dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Molti di questi provengono dal centro-nord Europa, in Italia in particolare si distingue la cosiddetta “scuola di Bologna”, di Giuseppe Alberigo. Questi studiosi sono stati chiamati “progressisti” che rifiutano la Chiesa del passato e guardano solo al futuro, a loro occorre affiancare i cosiddetti tradizionalisti i lefebvriani, quelli che non accettano in toto il Concilio e guardano solo al passato. La situazione oggi non è ancora cambiata nella Chiesa, visto che ci sono monsignori come Brunero Gherardini e Atanasio Schneider che hanno lanciato l’idea di una pubblicazione da parte del Santo Padre di un nuovo “Sillabo” contenente la condanna dei principali errori di interpretazione del Concilio.

In questi giorni ho letto l’ottimo pamphlet di Giovanni Cavalcoli, Progresso nella continuità, pubblicato da Fede & Cultura di Verona (2011). L’originalità del libro di Cavalcoli mi sembra di coglierla quando lui definisce modernisti, quel mondo di teologi e studiosi che tutti genericamente definiscono progressisti, lui invece li chiama proprio come quelli condannati da S. Pio X. I veri progressisti per Cavalcoli sono quelli che hanno interpretato il Concilio senza rompere con la Tradizione, mentre quelli che hanno rotto con la Tradizione (con la Chiesa di sempre) devono essere definiti soltantomodernisti. “Indubbiamente – scrive Cavalcoli – la Congregazione per la Dottrina della Fede e numerosi degli interventi dei Papi del post-concilio hanno tentato di arginare questa formidabile ribellione e questa gigantesca falsificazione delle dottrine conciliari; ma purtroppo a tutt’oggi i risultati non sono soddisfacenti, anche perché avviene che chi dovrebbe fare giustizia è infetto da quello stesso modernismo che dovrebbe eliminare”.Forse a Paolo VI, non per colpa sua, scrive Cavalcoli, è mancata quella tempestività di intervento, quella fermezza e energia, che si poté riscontrare in altri Papi, e come recentemente si può riscontrare in Benedetto XVI, che sta cercando di cacciare il lupo col bastone.

Ma vediamo di individuare quali sono le interpretazioni del Concilio Vaticano II, tenendo conto che stiamo trattando di ben 58 volumi, un’immensa mole di documenti. Infatti per evitare la falsa interpretazione del Concilio che purtroppo dura da quasi cinquant’anni bisogna leggere i documenti del Concilio e non tanto fermarsi all’evento come cercano di fare i modernisti, responsabili della grave crisi di fede che stiamo vivendo. Del resto Benedetto XVI ha invitato a leggere i documenti, lo aveva fatto prima anche papa Wojtyla, è proprio quello che hanno fatto Giovanni Cavalcoli e Pietro Cantoni. “Sarebbe sbagliato vedere le cause di tale crisi nella dottrina e nella pastorale del Concilio”.

Il saggio di Cavalcoli intende mettere in luce la preziosità degli insegnamenti conciliari nella continuità con la tradizione, perché questa sembra oggi la maggiore esigenza relativa all’esegesi dei testi conciliari. A chi spetta la interpretazione del Concilio? Il saggio risponde, alla Gerarchia della Chiesa sotto la guida del Papa. Il principio fondamentale di interpretazione a cui si sono sempre attenuti i Papi del Concilio e del post-concilio “è che tra la dottrina ecclesiale pre-conciliare, quella conciliare e post-conciliare ci sia sempre una coerenza, un’omogeneità, una permanenza di fondo, un’identità di sostanza, una continuità e quindi non una rottura o una smentita o comunque un cambiamento totale o radicale, quasi che la dottrina dogmatica precedente non fosse immutabile ed eterna, o che la Chiesa del Concilio si sia corretta in rapporto ad errori dottrinali passati”. E questo non è da intendersi, come fanno i lefebvriani, un trucco per farli stare buoni e nascondere una reale discontinuità come loro sostengono, o un contentino per i tradizionalisti come sostengono i modernisti.

Nel Sinodo Straordinario del 1985, papa Wojtyla solennemente affermò: “Il Concilio deve essere compreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa (…) La Chiesa è la medesima in tutti i Concili”. Poi durante il Giubileo del 2000 ritorna sul tema spiegando che l’insegnamento del Vaticano II deve essere inserito organicamente nell’intero Deposito della Fede, e quindi integrato con l’insegnamento di tutti i precedenti Concili ed insegnamenti pontifici.

Per concludere, ma ritornerò a trattare l’argomento, esistono tre interpretazioni del Vaticano II che ormai coesistono da più di quarant’anni all’interno della Chiesa, in perenne conflitto: quella modernista, che a volte sembra quella ufficiale della Chiesa, quella del falso tradizionalismo dei lefebvriani, ufficialmente emarginati. Al riguardo il Papa ha parlato di “falsi progressisti” e “falsi tradizionalisti”, anzi “anticonciliaristi”. Entrambi con sentimenti opposti, vedono negli insegnamenti del Concilio una rotturacon il Magistero precedente.