di Marco Respinti da www.lanuovabq.it

Neonato

In tempi come i nostri, di pressione fiscale alle stelle e di recessione economica record, l’unica ricetta sicura per rilanciare il Paese è il taglio delle spese pubbliche inutili. Come ad esempio l’aborto. 

Così scriveva già all’inizio del dicembre scorso, Mario Palmaro, presidente del Comitato Verità e Vita, nel momento in cui il governo italiano, allora guidato da Mario Monti, lanciava l’idea-slogan della “spending review”, più o meno la “lista della spesa” per capire dove e cosa tagliare; e quella sua intelligente provocazione torna buona adesso, alla vigilia della Marcia per la Vita, in calendario domani, 13 maggio, a Roma, e mentre è in corso la campagna “Uno di noi” con cui il Movimento per la Vita chiede all’Unione Europea di rispettare il diritto alla vita dell’essere umano fin dal concepimento.

Ogni operazione di aborto chirurgico costa oggi una cifra compresatra i 1.479 e i 1.814 euro (quello praticato mediante aspirazione o raschiamento è più costoso). Nel 2010 in Italia sono stati effettuati, censimento ufficiale, circa 115mila aborti. Il totale è dunque 170 milioni di euro a tariffa minima e 209 milioni con la massima, soldi che vengono letteralmente gettati dalla finestra e a cui ne vanno aggiunti altri “meno visibili”: quelli richiesti dalla fecondazione artificiale omologa e quelli necessari per i giorni di ricovero ospedaliero, in media 3 o 4, imposti dall’uso dell’RU486.

Come ricorda a La Nuova Bussola Quotidiana Antonio Brandi, fondatore del mensile Notizie Pro Vita, «nel 2010 sono ricorse al “bimbo in provetta” circa 70mila coppie d’italiani, assistite principalmente in strutture pubbliche pagate con i soldi dei contribuenti, e l’uso dell’RU486, stando alla Nordic Pharma, la casa farmaceutica che la vende in Italia, è passato da 7397 pillole nel 2011 a 9703 nel 2012. Si stima dunque che, nell’insieme, ciò comporti altri 70 milioni di euro circa da aggiungersi a quelli sborsati per l’aborto chirurgico». Cioè, il solo aborto chirurgico (quello che peraltro provoca l’illusione della “diminuzione” degli aborti “grazia alla Legge 194” solo perché cede spazi sempre maggiori proprio all’aborto chimico e fai-da-te, in genere più difficile da registrare statisticamente) costa una media di 500-600mila euro al giorno, week-end e feste comandate comprese.

Calcolando in circa 5 milioni il numero degli aborti chirurgici praticati in Italia dal 1978 a oggi, e tenendo buoni i prezzi unitari attuali, si totalizza, in tre decenni e mezzo, una forbice tra i 7,5 e i 9 miliardi di euro. Esattamente l’ammontare della prima tranche dell’IMU pagata dagli italiani nel giugno 2012.

Ora, l’aborto è una spesa, inutile, tagliabile, di Stato, poiché la Legge 194 che nel 1978 lo ha legalizzato ne ha pure addossato i costi totalmente allo Stato. Ovvero, come osserva sempre Palmaro, le tasse esagerate che gl’italiani versano fra lacrime e sangue (in nome di un rigore astratto che non tocca mai la concretezza dell’etica) «servono a uccidere esseri umani innocenti». In più, la preminenza-prepotenza del colosso statale vizia pesatamente il mercato della domanda e dell’offerta anche in tema di aborto poiché, mediante il potere assoluto che gli conferisce il disporre totalmente del denaro dei contribuenti, lo Stato che garantisce “gratuitamente” ai cittadini l’aborto alla stregua di un “servizio sociale” qualsiasi favorisce oggettivamente la “cultura di morte”, violando la neutralità arbitrale che gli competerebbe e non consentendo una scelta personale dettata da autentiche “regole di mercato” (oltre che morali).

La cultura “libertaria” del filoabortismo vive da sempre di un’ipocrisia che è l’ora di smascherare. Sbandiera la “libertà di scelta”, l’“autodeterminazione della donna” e l’“individualismo assoluto”, ma ciò per cui si batte è l’aborto di Stato, sancito da una legge dello Stato, difeso da una legge dello Stato, finanziato con i soldi dello Stato (che di suo è senza portafogli e che quindi preleva dalle tasche dei cittadini).

È tempo dunque che i liberisti veri, i quali si battano anzitutto per le libertà economiche, scendano in campo contro l’aborto, una piaga sociale statalista che è funzionale all’ipertassazione cronica degl’italiani.
Da qualche anno, contro la tassazione esagerata e lo sperpero del denaro pubblico i cittadini degli Stati Uniti si sono felicemente inventati i famosi “Tea Party”, imitati un po’ ovunque in Occidente e alla grande anche nel nostro Paese. Quel che l’Italia ha bisogno oggi è un “Tea Party dell’antibortismo” che veda pro-lifer e liberisti marciare assieme contro il costo economico assurdo della cultura statalista della morte.