di Marco Deriu
Tratto da La Bussola Quotidiana il 24 maggio 2011

Chissà quanti hanno riso o sorriso quando Gene Gnocchi, particolarmente ispirato e su di giri, domenica sera durante la sua rubrica all’interno di “In onda” su La7, ha deciso di dare un voto anche alla Chiesa con queste parole:

«Voto 7 alla Chiesa. La Santa Sede ha deciso finalmente di collaborare con la magistratura, segnalerà alle forze dell’ordine i preti pedofili. Le forze dell’ordine hanno risposto che, per motivi di tempo, sarebbe meglio se segnalassero quelli non pedofili…».

È una battuta greve, ingiusta e non giustificabile nemmeno attraverso il paravento dell’eccesso di ironia o di sarcasmo. Il riferimento è al recente caso del sacerdote genovese arrestato con gravissime accuse di pedofilia e, di riflesso, agli scandali emersi anche nel recente passato per casi di preti pedofili. Il tema è di delicata attualità e non è questo il modo migliore per affrontarlo. Tanto più che la Chiesa ha scelto da tempo la strada della trasparenza e della collaborazione con chi combatte contro questo odioso crimine.

Gnocchi è un bravo comico, è capace di leggere la realtà nel segno dell’ironia, sa proporre toni divertenti ma rispettosi delle persone e delle istituzioni; stavolta ha decisamente esagerato. La sua battuta getta fango sulla Chiesa, sui moltissimi sacerdoti che svolgono il loro ministero e sul Papa, che mai come negli ultimi temi ha preso posizione netta e categorica contro gli eventuali comportamenti devianti del clero. Non si può cercare di far ridere prendendo a pretesto il dramma atroce di chi ha subito simili violazioni.

La Santa Sede, nella persona del Santo Padre, è la prima a essere profondamente addolorata per i casi di pedofilia e di abusi sessuali emersi a carico di alcuni sacerdoti in Italia e nel mondo. Per questo, dovrebbe essere rappresentata – semmai – come parte offesa e non come istituzione da mettere alla berlina rispetto a un tema tanto delicato. E la stragrande maggioranza del clero, come ciascuno di noi può testimoniare anche in base alla propria esperienza, è formata da sacerdoti dediti al proprio ministero con fede, convinzione e massimo rispetto per chiunque. Molti di loro lottano quotidianamente con impegno e con fatica contro ogni forma di violenza, sopraffazione, discriminazione e offesa verso i più deboli, cercando in tutti i modi di portare la croce insieme a chi da solo non ce la fa. Nei loro confronti, quindi, è ancora più ingiusto accanirsi soltanto per colpa di qualche mela marcia, fortunatamente in assoluta minoranza.

Non vale invocare il diritto di satira per arrogarsi la libertà assoluta di offendere. Il genere satirico, letterariamente nobile, ha regole precise: non deve oltrepassare il limite della continenza, non può tradursi in un’aggressione ingiustificata all’onorabilità e al decoro altrui, non deve venir meno al rispetto dei valori fondamentali esponendo al pubblico ludibrio una persona o una categoria sociale.

Sono princìpi fondamentali dell’etica della comunicazione, ribaditi anche a livello giuridico da vari pronunciamenti della Corte di Cassazione, che nessuno può mettere in discussione. Né si può tralasciare l’intento di carattere moralistico, oltre che comico, che dovrebbe essere proprio del genere satirico. La sua funzione è quella di “castigare ridendo mores”, cioè di indicare all’opinione pubblica aspetti o comportamenti criticabili al fine di ottenere un esito finale di carattere etico, quindi correttivo verso il bene.

La battuta di Gnocchi si colloca lontano da queste direttrici e anche da quegli obblighi dell’autoregolamentazione televisiva che dovrebbero prevedere il divieto di offendere qualcuno senza ragione e pubblicamente attraverso un mezzo tanto potente come la tv.