Tratto da Il Sussidiario.net il 7 marzo 2011

Il dottor Bernard Nathanson, famoso ginecologo di New York, può essere considerato tra i padri della legge che liberalizzò l’aborto negli Stati Uniti.

Nel 1968 partecipò alla fondazione del National Abortion Rights Action League, in sostegno del diritto alla “libertà e privacy”. Diresse il Centro di Igiene Riproduttiva e Sessuale di New York, una delle cliniche più grandi nel mondo per la pratica dell’aborto, e contribuì al perfezionamento delle tecniche di aborto e alla diffusione di questa conoscenza in campo medico.

Nel 1979, applicando le tecniche ecografiche durante un intervento, rimase profondamente sconvolto dall’orrenda realtà dell’aborto. Da allora, Nathanson non praticò più aborti e divenne un testimone della battaglia per la vita, partecipando a conferenze in tutto il mondo, e attraverso la pubblicazione di libri su questo soggetto. Il grande pubblico lo conosce per un film, crudo e sconvolgente, dal titolo The Silent Scream, la registrazione dell’aborto di un feto di 11 settimane dopo il concepimento. Il dottor Nathanson era un ebreo non praticante, ma si convertì al cattolicesimo e ricevette il battesimo nel 1996 dalle mani del Cardinale John O’Connor. La sua autobiografia, La Mano di Dio, racconta il suo viaggio dalla morte alla vita.

In questa intervista, realizzata qualche tempo prima della sua morte avvenuta il 21 febbraio scorso, ci ha spiegato perché, dopo aver effettuato più di 75mila aborti, decise di difendere la vita dal concepimento. Lo incontrammo nel suo appartamento a Manhattan, nell’Upper West Side. Aveva l’aspetto di un uomo anziano, in pace, con gli occhi pieni di meraviglia e curiosità. Mentre parlava dolcemente, quasi sussurando, noi potevamo sentire il peso delle sue parole, e apprezzare il suo sforzo di comunicare con noi.

Abbiamo letto nel suo libro (The Hand of God, Regnery Publishing, Inc., 1996) del suo radicale cambiamento e ne siamo rimasti affascinati. Ci può dire qualcosa di come è avvenuto questo cambiamento?
Non è stata un’epifania. È stato un processo molto lento. È successo nel giro di diversi anni e mi ha richiesto uno sforzo significativo in termini di pensiero e di sentimento e tale processo non si è ancora concluso. Devo ancora lavorarci su. Questo processo è infinito, non ha fine. L’inizio è diverso per ciascuno di noi, ma alla fine tutte le strade ci portano all’unica meta – almeno noi ci tentiamo.

Cos’è la verità per lei?
Non sempre ho cercato la verità. L’ho fatto solo nell’ultima parte della mia vita. Ho vissuto la prima metà di essa sotto l’influsso di motivi edonistici. Poi ho cambiato. La filosofia è la ricerca della verità, ma la verità giace al fondo di un abisso senza fondo. Sembrerebbe che la verità non è assoluta, come se ci fosse “la mia verità e la tua verità”. Ma c’è tuttavia una verità profonda ed eterna: la vita stessa.

Lei direbbe che il fatto che ogni essere umano è destinato ad amare e ad essere amato è una verità universale?
Sì, questo è certamente universale. Noi siamo mancanti come esseri umani, il nostro modo di sentire e pensare la realtà è difettoso. E potrebbe anche succedere che arriviamo al punto di annientarci prima di riuscire ad amarci gli uni gli altri.

Lei pensa che la discussione sull’aborto o su altre questioni relative al rispetto per la vita possano essere affrontate adeguatamente con un giudizio che viene esclusivamente dal punto di vista della ragione, senza tirare in ballo la religione?
Dobbiamo stare attenti a questo riguardo. Fino a cinque anni fa riuscivo a viaggiare e ho viaggiato tanto – Australia, Nuova Zelanda, Francia, Inghilterra e tanti altri posti. Dovunque sono andato ho voluto sottolineare che parlare dell’aborto è un argomento limitato per chi è interessato veramente alla vita in tutti i suoi aspetti. L’aborto è sbagliato, ovviamente, ma dobbiamo anche concentrarci su altri campi che sono nella penombra dell’aborto, come la clonazione, l’eutanasia, la fertilizzazione in vitro o il trapianto di tessuti. Tutte queste cose devono trovare delle risposte nel contesto del rispetto della vita. Ho realizzato due filmati. Il primo si chiamava The silent scream. Era scioccante. Se cerchi di dimostrare che l’aborto è una cosa sbagliata, questo filmato è perfetto. Vedi il feto strappato pezzo a pezzo dall’aspiratore. Quando l’ho fatto non avevo bisogno di convincermi che l’aborto era una cosa sbagliata, ma riconosco che era scioccante. Ho chiesto alla persona che ha inventato la metodica degli ultrasuoni di validare questo filmato perché un gruppo chiamato “Planned Parenthood” sosteneva che avevo manipolato le immagini. Ho anche risposto loro che potevano girare un filmato loro stessi per conferma, se avessero voluto. Ma non l’hanno mai fatto perché sapevano quello che si sarebbe visto. Il secondo filmato fu The eclipse of reason. Era un filmato di un aborto, ma questa volta ripreso col fetoscopio. Era un aborto fatto a 19 settimane di età gestazionale. Era terribile, ma le immagini erano molto potenti. L’aborto ha così tanto a che fare con la moralità e con la persona di Cristo che è difficile parlarne senza tirare in ballo la religione.

Molta gente dice che la Chiesa, in quanto entità religiosa che afferma l’esistenza di Dio, sarebbe contraria alla ragione, alla scienza e al progresso. Cosa dice lei al riguardo?
La Chiesa Cattolica ostacolerebbe un progresso che non è affatto un progresso! Progresso è la capacità degli esseri umani di amarsi l’un l’altro. La libertà è l’ambiente in cui noi possiamo imparare ad amarci gli uni gli altri. Senza libertà non c’è amore. Poi il progresso non è necessariamente misurato in dollari o in qualche altra unità di misura. Il progresso morale è un fenomeno statico. Se vogliamo aderire a una verità centrale e costruire intorno a essa, tale costruzione sarà più eterna di quella che potremmo ottenere spingendo una chiave di volta in qualsiasi direzione vogliamo. Il divorzio facile non è progresso, come del resto l’aborto o la contraccezione. Questo non è progresso. La parola “progresso” deve essere utilizzata con attenzione e parsimonia. Philip Wylie scrisse un libro (The Answer, 1963) dove racconta di una bomba ad idrogeno fatta esplodere senza preavviso in una isoletta del Pacifico. Gli abitanti dell’isola morirono tutti. Quando l’isola fu visitata dopo l’accaduto, trovarono una tavoletta d’oro che portava questa iscrizione “amatevi gli uni gli altri”. La dignità non è una cosa che si può perdere o guadagnare. Non puoi perderla.

Dottor Nathanson, cos’è la professione medica per lei?
Bisogna praticare la medicina con amore. I soldi sono importanti. Le assicurazioni per “malpractice”, soprattutto per certe categorie di medici come gli ostetrici-ginecologi, possono costare fino a 150 mila dollari all’anno. Io credo che il modo migliore per imparare a praticare la medicina con amore sia andare per un certo periodo in un Paese del Terzo mondo, per cercare di alleviare le sofferenze della popolazione locale, perché la medicina è fatta di questo, alleviare le sofferenze. A dire la verità soffrire non è una cosa brutta. La sofferenza permette di scolpire il proprio carattere, come uno scultore scolpisce la statua dal blocco di pietra. Non possiamo eliminare la sofferenza coi soldi, le medicine o l’eutanasia. Dobbiamo fare sì che la sofferenza sia sopportabile. Ma non dobbiamo cercare di eliminarla totalmente, perché questo ci porterebbe a ucciderci gli uni con gli altri. Mi ricordo mio padre, era un ostetrico-ginecologo. Da un certo punto di vista era un uomo amabile, da un altro non lo era per niente. Lui era come ognuno di noi: complesso e incompleto. La condizione umana è troppo complessa per una soluzione finale delle nostre difficoltà.

(Elvira Parravicini, Veronica Bushman)