Un’occasione per riflettere sul senso più profondo del ministero ordinato

ROMA, giovedì, 2 luglio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo scritto da padre Salvatore Vitiello, docente di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, e apparso sul tredicesimo numero di Paulus

(luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”.

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Il tema scelto da papa Benedetto XVI per l’Anno Sacerdotale, inaugurato nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, lo scorso 19 giugno 2009, consente alcune riflessioni sull’identità sacerdotale, dalla quale derivano il ministero e la missione dei presbiteri. La missionarietà, dal punto di vista teologico, è compresa in ciascuna delle note della Chiesa ed è particolarmente rappresentata sia dalla cattolicità sia dall’apostolicità. Come adempiere fedelmente al compito dell’essere apostoli, testimoni fedeli del Signore, annunciatori della Parola e amministratori umili e certi della Grazia, se non attraverso la missione, intesa come vero e proprio fattore costitutivo dell’essere Chiesa? La missione non è, innanzi tutto, una serie di iniziative da attuare, né un progetto umano da porre in essere indipendentemente dall’ascolto della realtà e della volontà del Signore. La missione non trae origine nemmeno dalle risorse, umane ed economiche, che si hanno a disposizione. I grandi santi, Paolo per primo, hanno iniziato missioni straordinarie senza alcun mezzo umano, ma con l’unica “arma potente” dell’abbandono totale e confidente alla divina Provvidenza, della certezza di essere amati totalmente dal Signore e per questo chiamati ad amare i fratelli. La missione è una questione di consapevolezza di se stessi. Chi è il cristiano? chi il missionario, il sacerdote, l’apostolo? Quale la sua specifica identità?

Ruolo o stato?

Non si tratta di definire i ruoli, le “spartizioni d’influenza” nella Chiesa. Tanto meno si tratta di distinguere tra “Chiesa missionaria” e “Chiesa”, quasi che all’interno dell’unico Corpo di Cristo possano sopravvivere organi autonomi. Si tratta di partire dall’unica cosa davvero essenziale: il rapporto personale con Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, centro del cosmo e della Storia, unico Salvatore dell’umanità. Dall’identità missionaria ecclesiale, cristologicamente e trinitariamente fondata, dipende l’identità del presbitero nella Chiesa. Il sacerdozio ministeriale esiste per volontà del nostro Maestro e Signore, che l’ha istituito nell’Ultima Cena; presuppone il sacerdozio comune, ma ne differisce essenzialmente e non solo quanto al grado di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo. Non è una questione di “intensità” né di impegno soggettivo. È questione di configurazione ontologica, cioè del nostro essere a Cristo. «Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo Corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di Verità. È ciò che la Chiesa esprime dicendo che il sacerdote, in virtù del sacramento dell’Ordine, agisce in persona Christi capitis, “in persona di Cristo Capo”» (CCC 1548). Il Signore, consacrato e inviato dal Padre (cfr. Gv 10,36), ha reso partecipi di tale consacrazione e missione gli apostoli e i loro successori. Questa stessa consacrazione e questa missione, in grado subordinato, si trasmettono ai presbiteri affinché compiano la missione loro affidata da Cristo, come cooperatori dell’ordine episcopale. «Cristo, che il Padre santificò e consacrò, inviandolo al mondo […]; e allo stesso modo i presbiteri, consacrati con l’unzione dello Spirito Santo e inviati da Cristo» (PO 12). Queste brevi considerazioni permettono di ricollocare l’identità missionaria del presbitero, la sua fedeltà e, conseguentemente, anche tutto il suo agire pastorale, all’interno della grande missione di Cristo e della Chiesa.

Quale concezione del ministero?

A tal riguardo una questione teologica appare di non trascurabile rilievo: quale concezione del ministero oggi è predominante? Quale dimensione se ne privilegia? L’impressione è che due “identità” del presbitero siano oggi a confronto: il ministero come prosecuzione dell’essere e dell’agire di Cristo nella storia (concezione legata alla configurazione ontologica), e il ministero come funzione/compito della e nella Chiesa (concezione più funzionale/pastorale). Pur non escludendosi, anzi implicandosi reciprocamente ed essendo inseparabili e complementari, le due “identità” non possono essere considerate equivalenti. È necessario riconoscere che ogni “funzione pastorale” e ogni esercizio del ministero ordinato dipendono unicamente dalla configurazione ontologico-sacramentale a Cristo Capo. La missione, quindi, dipende totalmente dalla consacrazione o ordinazione e si esercita, anche in vista alla sua efficacia apostolica, in forza di tale dato oggettivo. Il ministero è la prosecuzione dell’essere e dell’agire di Cristo nel tempo e perciò anche della sua missione: la concezione della “identità” del presbitero. La reciprocità delle due prospettive (“configurazione a Cristo” e “ministero ecclesiale”), lungi dal creare tensione, illumina pienamente ciascuna e ne arricchisce non poco la visione globale. Il ministero in favore degli uomini si comprende solo come servizio prestato a Dio, come ricorda la Lettera ai Romani: «Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo» (Rm 1,9). Lo stesso decreto Presbyterorum Ordinis associa in modo inequivocabile le due prospettive, quando afferma che ai presbiteri «è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra i popoli mediante il sacro ministero del vangelo, affinché l’oblazione dei popoli sia accetta, santificata nello Spirito Santo» (PO 2).

Come sacrificio spirituale

Così attraverso il ministero dei presbiteri si compie il sacrificio spirituale di tutti i fedeli, in unione con il sacrificio di Cristo, unico Mediatore: sacrificio che i presbiteri offrono in modo incruento e sacramentale in attesa della nuova venuta del Signore. È questa la principale dimensione, essenzialmente missionaria e dinamica, dell’identità e del ministero sacerdotale; come ricorda sant’Agostino: «Gli apostoli hanno predicato la parola della verità ed hanno generato le Chiese» (Enarrationes in Psalmos 44,23: PL 36, 508). A fronte di tante incertezze e stanchezze, anche nell’esercizio del ministero, è urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia, ricordando quanto affermato da san Tommaso d’Aquino: «Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo» (Summa Theologiae I-II, q. 113, a. 9, ad 2). La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza che egli ha acquisito, sia in seminario sia negli anni della formazione iniziale e permanente, della realtà sacramentale del suo “nuovo essere”. Dalla certezza della propria identità, non artificialmente ed umanamente costruita, ma gratuitamente e divinamente donata e accolta, dipende il rinnovato entusiasmo per la missione: annunciare al mondo l’incontro fatto, la Verità incontrata e riconosciuta come salvifica, innanzitutto per la propria esistenza. Anche per i presbiteri vale quanto efficacemente ricordato dal Santo Padre nell’incipit della sua prima enciclica: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est 1).

Salvatore Vitiello

Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma