Lettera al direttore di Avvenire
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Caro direttore,

recentemente sono venuta a conoscenza del fatto che un ragazzo della mia città, cugino  di una compagna di scuola del liceo, parteciperà al progetto Erasmus nell’ambito della facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, che frequenta con profitto. Trascorrerà un semestre in Spagna e avrà modo di confrontarsi con coetanei di tutto il mondo, in un paese straniero. Una bella proposta, una sfida raccolta con entusiasmo.

Si starà chiedendo, caro direttore, quale sia il motivo per cui sono qui a raccontarle di qualcosa che è diventato quasi un «must» per gli studenti del XXI secolo (ma non per questo si può considerare alla portata di tutti); di certo, visto l’alto numero di universitari italiani che riescono a portare a termine una simile esperienza, non fa notizia il fatto che un mio conoscente partirà a breve per Murcia.

L’eccezionalità dell’evento è legata, come avrà già inteso, alla storia personale di questo ragazzo. Che nel suo corredo genetico conta un cromosoma in più nella coppia 21. Ventuno come gli anni che ha finora trascorso, di certo superando difficoltà più grandi di lui, ma nel complesso riuscendo a vincere le più importanti sfide che la vita fino ad ora gli ha imposto. Con una determinazione tale da permettergli di conseguire il diploma di maturità, laddove la sua scuola era orientata a rilasciargli soltanto un attestato di frequenza. E una volta ottenuto il lasciapassare per l’università, il ragazzo non ha esitato e si è iscritto ad una facoltà che gli permetterà di essere utile agli altri, nello specifico ai bambini.

Ora, è superfluo affermare che un curriculum di tal genere sia piuttosto raro a trovarsi nel mondo delle persone down; ed è proprio per questo che una simile «scalata scolastica» si può considerare una notizia. Ma soprattutto costringe a riflettere sulla scelta dell’interruzione volontaria di gravidanza che, in presenza di un feto affetto da trisomia 21, oggi è sempre più spesso (nel 90% dei casi) la strada che una madre sceglie di percorrere. Ignorando il fatto che la vita di quel suo figlio probabilmente sarebbe stata felice e sicuramente «degna», come quella di chi nasce senza difetti apparenti.

Con ciò non è mia intenzione lanciare facili anatemi contro donne e uomini che devono confrontarsi con la malattia, la sofferenza, le enormi difficoltà che il nostro mondo impone a chi non ha tutte le carte in regola. E scelgono di rinunciare a quei figli che non sono come li avevano pensati e desiderati. Sarebbe banale e ingiusto giudicare, senza sapere; ma è anche vero che da parte nostra, che ci diciamo cattolici convinti, al primo posto sta sempre la vita, senza «se» e senza «ma». E non può essere cancellata nemmeno da una madre o da un padre, perché la vita non ci appartiene e nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di decidere se sarà felice o indegna.

Perché, agendo in tal modo, finiremmo, ancora una volta, per percorrere la nostre vie, per applicare le nostre categorie ad una realtà che, deo gratias, non è e non può essere completamente nelle nostre mani. Che troppo spesso riteniamo infallibili, quando invece sono deboli e fragili, ma non per questo incapaci di cullare e accompagnare nella sua crescita un bimbo con gli occhi a mandorla, che con la simpatia e l’affetto che emana, è in grado di sciogliere anche il ghiaccio. E, magari, da grande farà anche l’università!!
Cristina Tassi, Faenza (Ra)

Il cugino della sua amica, cara Cristina, si è avviato sulla strada aperta da Pablo Pineda, spagnolo e prima persona down laureata ( in psicopedagogia). Molti oggi lo conoscono come « maestro Pablo » , per ciò che è e per ciò che dà con il suo lavoro di insegnante. E chi lo conosce – i suoi allievi per primi – lo ama e lo rispetta. Così come continuano ad amarlo coloro che lo generarono ( trentacinque anni fa) e hanno saputo rispettarlo e accoglierlo con la sua ‘ diversità’, tragicamente considerata, invece, da tanti sinonimo di ‘ infelicità’ e ridotta a motivo di aborto. La vita di Pablo è una lezione che non dovremmo finire mai di imparare in questo nostro Paese dove ai down non viene riconosciuto quasi più il diritto a nascere. Auguri sinceri e affettuosi al suo giovane amico e a ogni altro down. Come tutti noi, quale che sia il nostro colore e la nostra origine, sono ‘ laureati’ in umanità. Un titolo che a nessuno è negato e che non è mai preso una volta per tutte.
MT

© Avvenire – 24 aprile 2010