di Paola Ciadamidaro

ROMA, lunedì, 19 luglio 2010 (ZENIT.org).- La scelta di  leggere il libro “Scritti di un pro-life. Dal divorzio a Eluana Englaro” scritto da Francesco Agnoli e pubblicato da Fede & Cultura è stata, almeno inizialmente, dettata dalla curiosità suscitatami dalla veste tipografica e dalla immagine in copertina dove c’è in primo piano il cavallo a dondolo, gioco ormai quasi desueto nelle nostre famiglie e dunque poco conosciuto dai bambini del secondo millennio, ai quali precocemente si insegna l’uso delle tecnologie.

Sul cavallino, il maschietto, con in mano il frustino e, alle sue spalle, la bambina.

Il titolo del libro sembra quasi sparire, ingoiato da questo coloratissimo quadretto!

E’ comunque evidente quale sarà l’argomento trattato, con una specificazione temporale importante, in cui l’autore svolge una disamina degli eventi degli ultimi 30 anni del ‘900, scorrendoli con occhi, nonostante la tragicità, speranzosi.

Nei primi capitoli viene subito evidenziata la posizione morale, oltreché religiosa, di Agnoli, che, giustamente, insiste sulle differenze di “figure” e ruoli in una famiglia normale e, viceversa, in quelle che il divorzio ci ha regalato, come famiglie allargate; ciò a scapito unicamente di questi ragazzi che, in definitiva, pagano il prezzo più alto della disgregazione familiare, con la distruzione della propria personalità.

L’anello più debole della società umana, cioè il bambino-figlio, viene difeso dall’autore, che, quasi con il coltello tra i denti o, forse, un frustino in mano (metaforicamente parlando), riporta le cifre dell’aborto, di quella piaga che è, e resta, anche dopo la 194, una escalation di omicidi, ancora adesso commessi, molto spesso, clandestinamente.

Egli non ha assolutamente alcuna paura nel “raccontare” ciò che si faceva a Villa Gina, a Roma, dove le donne venivano anche sopraffatte in sala operatoria, per farle abortire, se e quando avessero manifestato gravi ripensamenti…e tutto per la “modesta”cifra di 8-10 milioni delle vecchie lire!

L’innocente viene sacrificato, sempre clandestinamente ed in maniera esecrabile, anche a Napoli, e se la mamma non ha i soldi, può ricambiare il favore con prestazioni sessuali.

Agnoli quindi, definisce la sofferenza morale dell’altra protagonista, la donna (la bimba in secondo piano della copertina, quasi a significarne il ruolo secondario in questa società), alla quale non viene tolta la vita, ma la si marchia irreparabilmente.

Nelle poche righe da pag. 30 alla 32, si riaccende la speranza, perché nel 1973 nasce il Movimento per la Vita e due anni dopo il primo Centro di Aiuto alla Vita, rendendo effettivamente libera la donna di non abortire.

Altre scelleratezze, tuttavia, l’uomo si accinge a compiere, nel nichilismo della tecnologia estrema, quando comincia a giocare con gli ovuli e gli spermatozoi di quest’uomo o di quella donna (non importa se essi nemmeno si conoscono) perché comunque hanno il diritto-dovere alla procreazione artificiale: è arrivato il baby business!

Nella continua ricerca dell’immortalità, ben si inserisce il concetto di eutanasia, laddove in America soprattutto fioriscono le società di crionica per il congelamento dei defunti, tutto ciò che rende l’uomo immortale è da studiare e sviluppare e, se proprio egli deve morire, tanto vale scegliere il modo e il momento, specialmente se si tratta di una vita non degna di essere vissuta.

Ed Eluana muore così (febbraio 2009) denutrita e disidratata perché papà Beppino con la sua confraternita-coorte scientifica così ha deciso per lei, e su questa decisione non possono esserci appelli, in nome di un malinteso e strumentalizzato libero arbitrio.

Agnoli però, attraverso i successivi capitoli, meditando sui grandi scienziati e filosofi (Copernico, Galilei, Pascal, Darwin), dai catari all’eutanasia nazista fino ai  giorni nostri, esamina e spiega quello che è il suo concetto di civiltà, non nascondendo tuttavia questo eterno dondolio dell’umanità  tra scienza vera e scientismo, tra etica e relativismo, tra materialismo e spiritualismo, ricordando ancora che per Lenin alcune persone sono solo “insetti nocivi” e per Hitler “sottouomini”; anche per i sessantottini e per gli hyppies esisteva unicamente la “lotta dura contro natura”.

L’autore comunque arriva al cuore del libro nell’ultimo capitolo, che è come un grido di aiuto, ma anche di speranza, analizzando il “disastro educativo”, imperniato solo sulla cultura di morte, ma ricordando gli eroi del ‘900, allorquando si chiede “dove sono i ragazzi della rosa bianca, il Vescovo di Munster Von Galen, Edith Stein, Massimiliano Kolbe?”.

Ed ecco  sorgere inevitabilmente la domanda che tutti ci poniamo: può esistere ancora nel terzo millennio l’Uomo-Eroe, paladino della vita?

Il cavallino si ferma, perché la risposta è SI’,ma alla condizione, unica e irrinunciabile, di cercare la verità, seguendo l’insegnamento di Agostino di Ippona: “ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare, nessuna di essere ingannata…è solo la verità che ci rende liberi”.