A volte, nei momenti difficili della storia del cristianesimo c’è la tentazione di cedere al pessimismo. Di recente la tentazione si è avvertita più forte in interventi che sottolineano il rischio di un declino del cristianesimo, con argomenti un po’ confusi e affastellati. Secondo una certa lettura, la secolarizzazione falcidia il cattolicesimo occidentale, e il cristianesimo rischia di scomparire nel Medio Oriente per la morsa del fondamentalismo islamico, che anche in Africa sta contendendo ai cristiani ogni possibile spazio.
Le Chiese hanno poi le loro colpe, i protestanti degli Stati Uniti sono spesso ripiegati in una visione negativa e a-storica della realtà, la Chiesa cattolica ha constatato l’infedeltà di alcuni suoi membri; ancora, il cristianesimo è sulla difensiva in Oriente per l’ostilità di estremisti indù, per l’aggressività di settori islamici e perduranti avversioni ideologiche. Infine, secondo una riflessione condotta sul filo del paradosso da Ida Magli nei giorni scorsi, i cristiani non rendono testimonianza a Gesù, quasi lo dimenticano, riducono la fede al compimento di opere buone ma prive dell’afflato spirituale che è l’essenza del cristianesimo.

In questo modo pezzi di verità si alternano a singolari silenzi, le glorie dei cristiani come il martirio e le persecuzioni sono considerate passività, e filtra quasi un rimpianto per quella Chiesa trionfante (Ecclesia triumphans) che ci è stata consegnata dall’iconografia del passato. Si perde di vista, però, la novità epocale in cui siamo immersi, per la quale la storia umana è divenuta planetaria e universale, e il cristianesimo ne patisce i limiti e le sofferenze ma ne vive anche le gioie e i traguardi. Occorre vedere le cose un po’ da lontano per una giusta prospettiva di valutazione.

Da poco tempo è scomparso il comunismo “realizzato” che ha dominato per decenni parti importanti d’Occidente, e le Chiese cristiane (cattolica, ortodossa, protestanti) sono rifiorite nel cuore di popolazioni quasi cancellate dalla mappa delle religioni. Cattolici e ortodossi hanno fatto grandi passi in avanti per superare una storia secolare di divisioni e di conflitti, e rinsaldare un legame forte che dia speranza ai cristiani di tutto il mondo.

In Africa la religione cristiana, pur con diverse denominazioni, si è diffusa come mai era accaduto, e vive la concorrenza con l’islam, in alcuni casi drammatica, in altri con forme accettabili di convivenza. Il martirio e le persecuzioni rattristano e spingono ad agire perché non si ripetano, ma sono anche il segno più grande di un cristianesimo vivo, forte e radicato nella fede, come tante volte in passato.

Anche la secolarizzazione europea e un certo pessimismo del protestantesimo americano sono il frutto di situazioni storiche nuove, che non sono chiuse e cristallizzate nel tempo. Insomma, al quadro tutto opaco cui si tende a indulgere può sostituirsi un caleidoscopio più complesso, per certi aspetti ricco di speranze.

Dove, invece, non si può cedere al pessimismo è quando si parla del declino della figura, e della parola di Gesù. Se così fosse, per chi crede veramente, secondo il monito di Paolo, tutto sarebbe già perso. Ma non è così, né agli occhi della ragione né a quelli della fede. I cristiani possono sbagliare, le Chiese hanno commesso errori nella storia, e la storia stessa condiziona le Chiese. Ma senza la presenza di Gesù di Nazaret, e la fede totale in lui di milioni e miliardi di uomini nel corso dei tempi, il mondo come è oggi non esisterebbe, non avremmo avuto quel cammino tumultuoso e splendido che l’umanità ha fatto in duemila anni, che sono come «un soffio agli occhi di Dio» e di fronte alla storia.

Alcune visioni apocalittiche dei primi tempi del cristianesimo hanno preannunciato i guasti che si determinano quando ci si allontana dalla parola di Dio, e gli uomini spesso li verificano direttamente. Però, secondo la sua parola, Gesù sarà con noi sino alla fine dei secoli; egli ha parlato delle «tribolazione nel mondo» ma ha chiesto fede perché «io ho vinto il mondo» (Gv, 16, 33) e perché io sarò «con voi tutti i giorni», fino alla fine dei secoli (Mt, 28, 20).

Forse il più grave peso che oggi portano i fedeli in Gesù Cristo è la loro divisione e una rinnovata unità cambierebbe ancora la storia dell’umanità. Le difficoltà del tempo presente, però, non devono attenuare la fiducia, in certa misura devono accrescerla perché Gesù non è venuto per conservare l’esistente, ma aiutare l’uomo a crescere in fede e conoscenza e fare dell’umanità una famiglia unita nel rispetto della legge di Dio, nell’amore per il prossimo e la vita in ogni sua manifestazione. Il traguardo è lungi dall’essere raggiunto, ma il cristiano deve respingere il pessimismo, convinto che non trionferà il male.

Carlo Cardia

© Avvenire – 18 giugno 2010