da Baltazzar | Nov 11, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società
Nel paese ex jugoslavo i cattolici costituiscono il 90 per cento della popolazione. Per il referendum sono state raccolte in due settimane 700 mila firme
Il primo dicembre in Croazia si terrà un referendum per la messa al bando dei matrimoni gay, attraverso una modifica della Costituzione: lo ha stabilito il Parlamento di Zagabria con 104 voti a favore e 13 soli contrari. Attualmente il Paese ex jugoslavo in cui i cattolici sono il 90% non permette le nozze tra omosessuali, ma il governo di centrosinistra aveva annunciato di voler permettere alle coppie gay e lesbiche di registrarsi come «partner a vita».
UOMO E DONNA. La consultazione è stata convocata dopo che l’organizzazione “Nel nome della famiglia” aveva raccolto in due settimane 700.000 firme. Il quesito propone una definizione del matrimonio, attualmente del tutto assente nella Costituzione, come «un’unione tra un uomo e una donna». Gli attivisti dei diritti per i gay hanno contestato il referendum mettendo in dubbio la sua costituzionalità, visto che si tratterebbe di legiferare sui diritti di una minoranza.
GAY PRIDE. Nel 2003 in Croazia sono stati estesi alle coppie gay e lesbiche che abbiano vissuto insieme per almeno tre anni gli stessi diritti riconosciuti alle coppie di fatto eterosessuali. L’omosessualità resta comunque un tema delicato e gli annuali Gay pride che si susseguono dal 2002 sono spesso accompagnati da polemiche.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Famiglia
Denise divorzia dal marito e sposa il suocero, anche se la legge lo vieta. Ora si batte per vedere riconosciuta la sua unione, in linea con «il clima di libertà» introdotto dalla legge sul matrimonio gay
di Leone Grotti da www.tempi.it
Denise, 66 anni, ha chiesto ieri alla Corte di Cassazione francese di convalidare il suo matrimonio con Raymond durato 22 anni. A rendere complessa la relazione, come rivelato dal Figaro, è il fatto che Raymond è suo suocero, il padre del suo primo marito, da cui ha divorziato. Il primo marito di Denise ha ottenuto l’annullamento del loro matrimonio in primo e secondo grado in base all’articolo 161 del codice civile francese, che vieta «il matrimonio tra parenti, discendenti e ascendenti, in linea diretta».
PROBLEMA DI EREDITÀ. Denise ha divorziato dal marito nel 1980 dopo 11 anni di matrimonio e la nascita di una figlia e si è sposata con il suocero nel 1983 con l’aiuto del sindaco del piccolo villaggio di Alpes de Haute-Provence, per quanto illegale. L’ex marito ha chiesto l’annullamento del matrimonio dell’ex moglie con il padre nel 2005, quando Raymond è morto e si è posto il problema della successione. Secondo l’avvocato della donna «all’ex marito della mia cliente interessa solo l’eredità. Ma lei invece è arrivata fino in Cassazione per far riconoscere la sua bella storia, il suo matrimonio d’amore». Se il matrimonio sarà giudicato valido, la donna erediterà le sostanze di Raymond, altrimenti toccheranno al figlio dell’uomo.
NON CONTA SOLO L’AMORE? Se il problema dell’eredità è al centro di questa complessa causa familiare, il tentativo della donna va più in profondità: se l’unica cosa che conta in una relazione è l’amore, come dice anche la nuova legge approvata in Francia “Matrimonio per tutti“, perché dovrebbe valere per le coppie gay e non per i parenti? Guidata da questo spirito, Denise si è detta pronta a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo facendo leva sull’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che garantisce la libertà di matrimonio.
EVOLUZIONE DELLE FAMIGLIE. L’avvocato generale Léonard Bernard ha intanto chiesto alla Cassazione di negare la richiesta di Denise a vedersi riconosciuto il matrimonio con il suocero perché «al di là di un contesto di evoluzione familiare e dei costumi incontestabile, al cuore del problema c’è l’interesse dei figli», che il già menzionato articolo 161 del Codice civile francese protegge permettendo di avere «punti di riferimento generazionali e relazionali chiari». Ma secondo l’avvocato della donna questo modo di ragionare è «paradossale e in contrasto con il clima di libertà» introdotto dalla legge Taubira sui matrimoni gay.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Flatulenze, Segni dei tempi
Intervista a Alex Schadenberg, direttore della Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia: «Cosa ci stiamo perdendo? L’esserci, l’essere amati, sostenuti, accolti così come siamo»
di Benedetta Frigerio da www.tempi.it
Ai bambini deve essere riconosciuto il diritto di morire, come sostengono coloro che in Belgio vogliono legalizzare l’eutanasia dei piccoli e delle persone affette da demenza. «Ma come si fa a chiamare diritto una cosa che un bambino o una persona malata non è nemmeno in grado di chiedere?». Alex Schadenberg (nella foto), direttore esecutivo della Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia, spiega a tempi.it che «quello che sta accadendo in Belgio è simile a ciò che è già successo in Olanda».
Si è riaperto il dibatto sulla legge che legalizza l’eutanasia. Ora è permessa sopra i 18 anni, ma c’è chi sostiene che anche un bambino debba potersi autodeterminare.
La strategia è identica ovunque. Anche in Olanda hanno cercato di cambiare la legge per adeguarla a quello che già accadeva: c’erano medici che uccidevano i bambini e che volevano una tutela giuridica. Così, anche se l’eutanasia non è legale sotto i 12 anni, è stato elaborato un protocollo che, di fatto, la permette. Ora in Belgio si è riaperta la discussione per la presenza di dottori che già praticano l’eutanasia infantile e che vogliono una norma per essere protetti.
Non dovrebbero essere puniti dato che la violano?
In una democrazia dovrebbe succedere così, invece lo Stato cerca di coprirli andando contro le sue stesse norme. Non a caso, molti episodi di eutanasia non vengono riportati come tali.
Il protocollo olandese come riesce a giustificare un gesto simile?
Il protocollo serve per uccidere i bambini disabili in generale, per questo parla di porre fine anche alla eventuale sofferenza futura. Significa che se il bimbo è sereno, il genitore può comunque domandare l’eutanasia sulla base di un possibile disagio che verrà. Così si possono uccidere i bambini affetti da demenza o da spina bifida, anche se possono crescere e vivere in maniera serena. Basterebbe un po’ di amore. Invece così non c’è possibilità di salvezza, nemmeno per un bambino con un ritardo mentale che non emerga nella diagnosi prenatale. Significa eliminare tutti coloro che non sono capaci di produrre. È un’idea utilitaristica asfissiante, per cui le persone valgono a seconda delle loro capacità, di quanto “sanno fare”.
Cosa intende?
Così emarginiamo tutto ciò che non è ritenuto un produttore dei valori stabiliti dalla società attuale. Ma attenzione, cosa ci stiamo perdendo? L’esserci, l’essere amati, sostenuti, accolti così come siamo dovrebbe essere un bene insindacabile che tutti possono riconoscere.
E invece?
Questi valori sono stati sostituiti dal business, di cui però non si fa mai apertamente menzione. Anzi, lo si chiama compassione per nasconderne la presenza. Credo che la nostra società, che parla molto di tolleranza, debba rispondere senza ipocrisia a una domanda sul suo ruolo: vogliamo rifiutare i deboli uccidendoli o accoglierli facendoli sentire amati? Perché è questo il vero problema: se vogliamo amare o no.
da Baltazzar | Nov 6, 2013 | Biopolitica, Cultura e Società, Famiglia, Libri, Segni dei tempi
Avevo deciso di non trattare l’argomento per evitare di incorrere in possibili inconvenienti, ma poi ho pensato, da che cosa devo guardarmi, alla fine sono soltanto un“ripetitore”, come quegli strumenti che negli anni 70 si mettevano in un punto più alto del paese per poi far arrivare il segnale sui tetti delle varie case provvisti di televisore.
Quindi mi appresto a ripetere, cominciando dall’ottimo convegno organizzato da Alleanza Cattolica, il 5 ottobre scorso a Milano su “Ideologia del gender e unioni civili omosessuali. Un itinerario contro la famiglia”. Sono intervenuti di fronte a una sala gremita di quasi quattrocento persone, il reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica Massimo Introvigne, Assuntina Morresi, Domenico Airoma, Alfredo Mantovano e Tugdual Derville, portavoce de La Manif Pour Tous. Subito dopo il convegno è proseguito con la tavola rotonda con la partecipazione di alcuni rappresentanti politici, dal senatore Maurizio Sacconi agli onorevoli Eugenia Roccella, Alessandro Pagano e Gregorio Gitti, moderatore il giornalista Andrea Morigi. Il convegno oltre a discutere della proposta di legge sull’omofobia, presentata come necessaria per proteggere gli omosessuali da violenze e aggressioni, che vanno certamente condannate senza riserve e punite severamente. Intendeva prendere in esame la nuova ideologia del “Gender”, apparsa negli ultimi anni, una vera “rivoluzione antropologica”.
A questo proposito papa Benedetto XVI in un discorso alla Curia Romana, del 21 dicembre 2012, ricorda le parole famose della teorica del femminismo francese, Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne nait pas femme, con le devient”)In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma ‘gender’, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è un dato originario della natura e che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi”.
In pratica questa è una nuova rivoluzione che può essere vista come una delle più grandi sfide a cui la Chiesa deve affrontare nella sua storia. Naturalmente non solo la Chiesa, ma l’ideologia del gender minaccia tutta la società e la persona umana stessa.
“La profonda erroneità – afferma Benedetto XVI – di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela”. Peraltro per Benedetto XVI si tratta di una rivolta contro Dio e così “non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò’ (Gen I,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschi e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà”. E’ una scelta faustiana dove l’uomo concreto muore: “Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale”. Ognuno con la sua libertà si fa da solo e così si giunge “a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio”.
Per avere un quadro più completo della questione propongo un testo che ho letto in questi giorni, si tratta di Paper Genders, il mito del cambiamento di sesso, di Walt Heyer, pubblicato quest’anno dalla casa editrice milanese, Sugarcoedizioni (pp. 169, e 16,80)
L’autore nell’introduzione ci tiene a scrivere che il libro non è stato patrocinato da nessuna organizzazione o movimento politico o aggregazione ecclesiale, ma è stato imposto dalla sua esperienza personale,“vissuta in netto contrasto con l’imperversante esaltazione del successo del cambiamento di genere da parte dei media e dei gruppi attivisti”. Continua Heyer, “ciò che mi ha spinto a scrivere questo libro è stato il mio desiderio personale di aiutare le persone trasngender, facendo luce sul lato oscuro del cambiamento di genere”.
Per i lettori del libro Heyer ricorda che “I disturbi dell’identità di genere (Gender Identity Disorders – GID) sono complessi e non ancora del tutto compresi”. Infatti il libro, proprio per l’argomento, ha una valenza abbastanza scientifica e specialistica, che riguarda le più disparate problematiche mediche e psicologiche.
Sempre nell’introduzione, Heyer sostiene che chi“cambia genere non dovrebbe essere disprezzato o vessato solo perché noi non siamo in grado di comprendere le sue sofferenze (…)Per evitare il suicidio e il rimpianto ha bisogno di sostegno, compreso quello dei medici e psicologi che lo sorreggono nell’estenuante conflitto, che evolve verso una crisi dell’identità di genere”.
Pertanto secondo Heyer “il tasso di suicidi tra i trans gender risulta essere di quasi il dieci volte superiore a quello della popolazione generale”. Heyer nel testo mette in discussione la procedura di “chirurgia del cambiamento di sesso”, “un termine fuorviante, perché è impossibile cambiare, attraverso la chirurgia estetica e gli ormoni, il genere di nascita di chiunque. Sulla carta, però, il cambiamento si può eseguire facilmente e, in effetti, è solo qui che si registra il cambiamento di sesso: sui certificati di nascita e sulle patenti di guida”. Ecco perché Heyer li chiama paper genders (generi sulla carta), perché l’unico cambiamento avviene sulla carta.
Il libro ripercorre tutto il programma di chirurgia del cambiamento di sesso a partire da chi ha iniziato l’esperimento, il dott. Alfred Kinsey, proseguito da Harry Benjamin e poi da John Money, tutti legati da un filo comune, la pedofilia. Il testimone successivamente passò al dott. Paul Walker. Ad oggi scrive Heyer negli Stati Uniti si trovano circa venti chirurghi che eseguono interventi sui genitali per cambiare sesso.
Heyer desidera che la pubblicazione del libro favorisca una nuova comprensione del fenomeno e serva come guida per la prevenzione dei suicidi delle persone trans gender. Il libro smaschera il facile ottimismo che è stato ad arte veicolato dai mass media intorno al cambiamento di genere, ma che molti si pentono, non lo diranno mai.
di DOMENICO BONVEGNA
da Baltazzar | Ott 21, 2013 | Biopolitica, Testimonianze
Nel documentario di Pierre Barnérias medici e parenti delle vittime raccontano la realtà della “buona morte”. Che permette veri e propri «omicidi camuffati»
di Leone Grotti da www.tempi.it
La mamma di Marcel Ceuleneur (nella foto con la nipote) non era in fase terminale, anzi, non era neanche malata, salvo gli acciacchi dell’età avanzata, e non soffriva di dolori insopportabili. Eppure «le hanno fatto l’eutanasia, anche se la sua situazione non soddisfaceva i criteri stabiliti dalla legge». Quello della madre di Marcel è solo uno dei tanti casi di eutanasia in Belgio, in costante crescita negli anni e legale dal 2002: se “appena” 235 persone vi hanno fatto ricorso nel 2003, nel 2011 sono diventate già 1.133.
LAVAGGIO DEL CERVELLO. Dopo le tante testimonianze raccolte da rapporti indipendenti sull’abuso dell’eutanasia nel paese, dove solo il 20 per cento dei casi viene dichiarato, è uscito da poco un documentario intitolato “Eutanasia, fino a dove?” (si può vedere qui, in francese) che raccoglie storie e testimonianze, come quella di Manuel, che documentano l’abuso della legge. Manuel è un sindacalista che non aveva mai avuto niente da ridire sulla “buona morte”, fino a quando non ci è passata sua mamma. «Io ero contrario all’eutanasia di mia mamma – racconta nel documentario realizzato dal giornalista Pierre Barnérias – il suo medico di fiducia era contrario, così come tutta la mia famiglia. Lei non aveva mai parlato di eutanasia, per giunta, se non dopo aver conosciuto un medico che le ha fatto il lavaggio del cervello e l’ha uccisa senza che ci fossero le precondizioni stabilite dalla legge. La verità è che dicono che vale solo in certi casi, ma poi succede tutt’altro».
CONTROLLORI NON CONTROLLANO. Secondo la legge solo un malato in fase terminale e senza speranze cliniche, attraverso ripetute domande scritte, dopo la valutazione di un secondo medico e di una équipe di infermieri può ottenere l’eutanasia. Ma secondo quanto dichiarato nel documentario dalla presidente della Commissione di controllo che deve assicurarsi che la legge non venga abusata, «noi riceviamo direttamente le dichiarazioni dei medici, che spesso sono compilate in modo incompleto. Purtroppo, non abbiamo la possibilità di valutare il numero reale di casi di eutanasia praticati nel paese». La Commissione, infatti, valuta i rapporti inviati dai medici e non è in grado di fare controlli indipendenti.
ALTRO CHE AUTODETERMINAZIONE. Etienne Montero, docente alla facoltà di Diritto di Namur, capitale della Vallonia, conferma che «non si può controllare l’eutanasia, l’ha ammesso la stessa Commissione di controllo. È chiaro che un medico che va contro la legge non si denuncia da solo: o non riporta alla Commissione il caso di eutanasia o riempie male i moduli o li falsifica. Secondo uno studio recente, solamente in un caso di eutanasia su due è stato raccolto il consenso scritto dei pazienti. Questo è illegale. L’ideologia alla base di questa legge è il rispetto dell’autonomia e dell’autodeterminazione, ma è evidente che viene contraddetto ogni giorno nei fatti».
«SAREMMO TUTTI ASSASSINI». Lo sanno bene gli stessi medici che praticano l’eutanasia. Il dottor Marc Cosyns, intervistato nel documentario, afferma: «La legge sull’eutanasia belga è molto simile a quella olandese. Ma non è così rigida, si può interpretare molto da caso a caso. Il problema più grande del Belgio è che ci sono dei pazienti dementi o malati mentali che non possono più esprimere il loro consenso. Per loro oggi è impossibile applicare l’eutanasia rispettando la legge e quando lo si fa, non si dichiara niente al governo. È chiaro che questa cosa è un po’ illegale, infatti bisogna cambiare il sistema perché attualmente potremmo essere tutti definiti dalla legge assassini. Noi invece facciamo solo quello che i pazienti ci chiedono».
IL RACCONTO DELL’INFERMIERA. Claire-Marie Le Huu, infermiera belga conferma in video la leggerezza con cui viene somministrata la “buona morte”: «Ho assistito a tanti casi di eutanasia somministrata in modo illegale. In uno dei primi, un anestesista una volta mi ha chiesto di aiutarlo con una persona che aveva chiesto di morire. Io mi sono rifiutata perché quell’uomo non soffriva assolutamente in maniera insopportabile e non c’erano i requisiti previsti dalla legge. L’ho detto ai miei capi, ma dalle loro risposte evasive ho capito che era una pratica consolidata. Quell’uomo alla fine è morto e come lui tanti altri. Spesso non c’è nessuna richiesta scritta: si chiede alle persone tre volte se vogliono l’eutanasia invece che le cure palliative, e la loro risposta orale è considerata sufficiente».
EUTANASIA PER L’EREDITÀ. Uno degli argomenti usato spesso contro l’eutanasia in Belgio è che può portare a veri e propri omicidi legalizzati, convincendo persone anziane e sole che la morte è la scelta migliore, facendole sentire un peso per la società e la famiglia. Una storia simile raccolta nel documentario viene racconta da Catherine (foto sopra), signora anziana che preferisce mantenere l’anonimato totale: «Dopo la morte di suo marito, mia sorella è rimasta sola. Era anziana, i suoi due figli medici la controllavano spesso e quando si sono accorti che un uomo andava sempre in casa sua per farle i lavori di casa, hanno avuto paura che lei dilapidasse tutti i risparmi che aveva. Per questo l’hanno convinta a fare l’eutanasia. Avevano tutti i moduli in ordine, tranne il fatto che mia sorella non era malata. Io poi non sono neanche stata informata della sua scelta. La verità è che i figli hanno deciso per lei e l’hanno fatto per avere la sua eredità. Una legge che permette queste cose è una mostruosità totale».
GIUDICI IMPOTENTI. Se la signora non si è rivolta ai tribunali, Marcel (foto a fianco) ha provato a chiedere giustizia per sua mamma. «Primo ho scritto a due ministri della Giustizia, che mi hanno ignorato, poi ho chiesto alla commissione di controllo di indagare ma non hanno fatto nulla». Per questo si è rivolto ai tribunali, ma dopo quattro anni di procedure i giudici hanno rigettato la sua richiesta: la madre aveva espresso il suo consenso al “trattamento”. «È tutta una farsa – commenta sconsolato Marcel – i giudici non si metteranno mai contro un sistema consolidato. Per cambiare la situazione basterebbe che la Commissione di controllo facesse il suo lavoro: controllare l’eutanasia. Ma non lo fanno».
«LIBERTÀ DI MORIRE?». Pierre Barnérias, che si è avvalso dell’aiuto di due giornalisti per realizzare il documentario, ha lavorato per 23 anni per diversi televisioni francesi come France 2, France 3, TV5 Monde, TF1 e molte altre. Dopo aver realizzato il documentario l’ha proposto a tutte le televisioni belghe e francesi ma nessuna ha voluto mandarlo in onda. Per questo ha deciso di pubblicarlo lo stesso su internet: «Sono rimasto perplesso dal rifiuto delle televisioni di mandare in onda la mia inchiesta – afferma in un’intervista – Ci ho messo due anni, dal 2011 al 2013, e ho raccolto testimonianze incredibili, di veri e propri omicidi mascherati. Il mio obiettivo non era quello di bloccare la legge, ma solo di far riflettere sulla libertà di morire e sul potere incontrastato di cui godono i medici».
da Baltazzar | Ott 21, 2013 | Biopolitica, Chiesa, Segni dei tempi
di Josip Horvaticek da www.lanuovabq.it

I vescovi croati non perdono occasione di denunciare il gravissimo pericolo per la famiglia, i giovani e la società intera rappresentato dall’ideologia del gender.
Nel corso dell’omelia della Santa Messa celebrata al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica, nei pressi di Zagabria, in occasione del pellegrinaggio annuale delle Forze Armate croate di domenica 6 ottobre, l’Arcivescovo di Spalato, mons. Marin Barišic, ha affermato la necessità di «reagire, vivere e agire nello spirito della fede» ai problemi della vita quotidiana. C’è da domandarsi, ha aggiunto mons. Barišic, se«non siamo diventati fuggitivi, disertori, pensionati della fede?» Non è la nostra fede staccata dalla vita, o forse perfino fuggita dalla realtà, «non ci siamo ritirati, diventati invisibili e paurosi?» Ritirandoci dalla realtà «non abbiamo forse abbandonato i campi della cultura, dell’educazione, del matrimonio e della famiglia, alle idee che sono prive di una bussola che ci guidi verso il futuro e la verità?». Quale conseguenza di questa pusillanimità, «vi è il pericolo che non sapremo più né ci sarà più permesso dire se un bambino è maschio e femmina, se i genitori sono il padre e la madre, oppure le lettere A e B o i numeri 1 e 2».
L’arcivescovo di Spalato si è infine appellato ai soldati, alle forze dell’ordine e ai veterani della Guerra per la Patria (la guerra di indipendenza croata del 1991, ndr) affinché siano difensori della famiglia la quale rappresenta «il fondamento della vita e dell’ordine sociale».
L’appello di mons. Barišic è più che mai attuale nonostante le recenti vittorie del vasto fronte che si oppone all’attuazione dell’ideologia del gender nella scuola e nella società croate.
Infatti, la Corte Costituzionale ha bocciato la procedura di attuazione del corso di educazione sessuale di stampo gender nelle scuole croate, nel contempo accusando il governo di avere agito con metodi non democratici; la raccolta di firme per indire un referendum affinché nella Costituzione sia inserito un articolo che preveda che il matrimonio rappresenta solamente l’unione di vita di un uomo e una donna ha avuto un grandissimo successo – il numero finale di firme raccolte in sole due settimane è stato di circa 770.000.
Tuttavia il governo di sinistra non demorde: non è certo che il referendum si possa tenere, giacché in un Paese alle soglie del totalitarismo come la Croazia ogni garanzia democratica è sempre sub judice; è in fase di redazione una nuova legge sulla famiglia, secondo la quale le unioni omosessuali non si chiameranno ‘famiglia’, ma avranno i medesimi diritti delle famiglie naturali, ad eccezione del diritto di adozione – unica concessione fatta al movimento di opposizione, la quale tuttavia è esclusivamente di natura tattica ed è facilmente modificabile in un prossimo futuro; infine per il nuovo anno scolastico il ministro dell’istruzione, Jovanovic, ha imposto, pur con qualche modifica puramente cosmetica, lo stesso programma di educazione sessuale dello scorso anno, anche in questo caso senza consultare i genitori e non lasciando loro la libertà di scegliere per i loro figli programmi alternativi a quello fondato sull’ideologia gender.
La battaglia è ancora lunga e irta di difficoltà, soprattutto perché l’avversario, cosciente di trovarsi in minoranza nella società croata, sfrutterà il vantaggio di essere al potere utilizzando tutti i mezzi che tale posizione gli consente, ivi inclusa l’intimidazione poliziesca, della quale hanno già avuto un assaggio alcuni esponenti del movimento cattolico Hrast. Del resto, il maggiore partito al potere ha una notevole familiarità con i metodi totalitari dell’ideologia comunista, attuati in questo Paese per quasi mezzo secolo, e che gli attuali governanti croati hanno abbandonato solamente a parole.