di Stefano Andrini
Tratto da Avvenire del 6 maggio 2009
«Poiché esiste un legame storico e concettuale fra liberalismo e cristianesimo, averlo reciso ha portato il liberalismo dentro una crisi senza uscite; ricostruire questo legame è ciò che oggi è richiesto, se l’Europa non vuole dilapidare la sua identità».
Lo ha affermato ieri all’Istituto «Veritatis Splendor» il cardinale Carlo Caffarra alla presentazione del libro di Marcello Pera Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori). «Lo Stato secolarizzato e post-metafisico – ha osservato l’arcivescovo di Bologna – ha due presupposti. Non ha bisogno di appoggi esterni per mantenersi, né di ricorrere a tradizioni diverse dalle proprie per assicurarsi la lealtà dei cittadini. Il rapporto politico, inoltre, è esclusivamente giuridico. A questo punto si capisce molto bene che i Padri costituenti dell’Europa unita abbiamo rifiutato qualsiasi riferimento alle radici greche, latine, giudeo-cristiane e come l’ingresso della Turchia nell’Ue non costituisca problema».
Citando lo Zibaldone di Leopardi, il cardinale si è chiesto se esiste una verità circa il bene dell’uomo indipendentemente dai risultati della discussione e deliberazione pubblica. «Tale verità – è la risposta – esiste e non può che essere il riconoscimento di ciascuno da parte di ciascuno dell’uguale dignità di persona». Habermas, ha ricordato il cardinale, è stato costretto a giungere a queste convinzioni, affermando che la legittimazione di una carta costituzionale da parte del popolo non può limitarsi al computo aritmetico di maggioranzeminoranze. Essa deve fondarsi su una argomentazione ragionevole «dotata di sensibilità alla verità». Una conseguenza, secondo Caffarra, è che «i partiti politici non possono assicurare la presenza di tale sensibilità da sé soli, essendo per natura preoccupati prevalentemente di interessi di parte».
Da parte sua il politologo Angelo Panebianco ha concordato su alcuni punti dell’analisi di Pera: il liberalismo come figlio della civiltà cristiana, l’inconsistenza del relativismo, i rischi di politiche multiculturali e di maggioranze sempre più intrusive nelle scelte etiche. Tuttavia non ha nascosto alcune perplessità: «Pera parte da una definizione troppo ampia di liberalismo prendendo di mira un pensiero laico che liberale non è. Ha certamente ragione a collegare la società aperta alla civiltà cristiana, ma non tiene conto che poi la società aperta diventa convivenza tra pluralità di visioni. Il problema non è quello dei liberali nemici del cristianesimo, perché i veri liberali non sono anticristiani. Ma di trovare, tra liberalismo e cristianesimo, un punto di incontro, per esempio, nel richiedere il ritiro dello Stato da una serie di ambiti in cui si è introdotto indebitamente».
Pronta la replica del senatore Pera: «Non mi basta la definizione di liberalismo come limitazione del potere. In realtà è prima di tutto la dottrina dei diritti non negoziabili. Come documenta l’articolo 2 della Costituzione, sintesi di liberalismo e di giusnaturalismo cristiano, spesso dimenticato dalla legislazione europea». Sulla società aperta Pera non ha dubbi: «Il cristianesimo ne è il fattore fondante. È errore filosofico dire che è un elemento della società aperta, lo stesso di chi pensa l’Europa come contenitore indifferenziato».