Parla il cardinal Herranz Casado: “L’ideologia totalitaria non puo’ usare violenza  sulle tradizioni e sulla religione”
di MARCO ANSALDO

ROMA – “Sulla rimozione del crocefisso dalle scuole, se la Grande Chambre della Corte europea per i diritti dell’uomo respingesse il ricorso dello Stato italiano, temo che saremo di fronte non soltanto ad un gesto di cristofobia più o meno larvata e di inciviltà, ma anche a una manifestazione di fondamentalismo laicista”.
In Vaticano c’è molta attesa sulla decisione dei giudici di Strasburgo. A parlare, dopo la riunione della Corte (il verdetto sarà reso pubblico 1 solo fra sei mesi), è Julián Herranz Casado, Presidente emerito sia del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, sia della Pontificia Commissione disciplinare della Curia Romana. Herranz Casado, spagnolo, ha vissuto per più di 30 anni con Josemaria Escrivà de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei. Eminenza, quali sono le sue impressioni sulla sentenza della Corte di Strasburgo riguardante la rimozione del crocefisso dalle aule scolastiche?
“Mi sembra che i giudici siano partiti da due principi certamente condivisibili, come sono la laicità dello Stato e il diritto alla libertà religiosa. Ma tali principi sono stati interpretati e applicati con leggerezza, forse anche con un atteggiamento ideologico pregiudiziale. Sono perciò arrivati ad una sentenza  –  la soppressione del crocefisso nelle scuole, e specificamente nelle scuole italiane  –



che mi pare debba essere inquadrata tra le manifestazioni del fondamentalismo laicista”.

Perché pensa che sia stato interpretato male il principio della laicità dello Stato?
“Perché la laicità rappresenta, sì, un principio costitutivo negli stati democratici, ma sono gli Stati a determinarne nei singoli casi i modi specifici di attuazione, alla luce delle varie circostanze e culture locali. Si tratta di rispettare, come ha ricordato il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, nel suo recente e brillante intervento in merito, il principio di sussidiarietà nel rapporto tra gli Stati nazionali e le Istituzioni comunitarie. La laicità non può essere concepita come una ideologia o filosofia statale o comunitaria da imporre alle società nazionali violentando le tradizioni, i sentimenti e le credenze religiose dei cittadini”.

Ma la sentenza della Corte europea di Strasburgo viene a ricordare che lo Stato ha anche il dovere di tutelare la neutralità religiosa delle sue istituzioni. Non le sembra giusto?
“Il concetto di neutralità religiosa, cui si richiama questa sentenza, è interpretato e applicato nel senso del fondamentalismo laicista o agnostico. Infatti, la neutralità religiosa o aconfessionalità dello Stato significa unicamente che nessuna religione avrà carattere statale, ma non che lo Stato debba essere anticonfessionale, cioè che debba sopprimere in modo autoritario la presenza nelle istituzioni pubbliche di qualsiasi segno o simbolo religioso. Tale atteggiamento di rifiuto della religione in quanto tale farebbe dell’ateismo una specie di etica o religione di Stato e, nel caso nostro, del Consiglio di Europa e dell’Unione europea”.

Lei adopera l’espressione fondamentalismo laicista. Che cosa intende?
“E’ una ideologia totalitaria che, allontanandosi dal retto concetto di laicità, vorrebbe relegare la fede cristiana e in genere il fatto religioso al solo ambito privato della coscienza personale, abolendo ogni segno, simbolo o manifestazione esterna della fede nei luoghi pubblici e nelle istituzioni civili (scuole, ospedali, statue o monumenti, ecc). Tutto ciò scartando a priori che il cristianesimo, o in genere la religione, possa avere qualche dimensione culturale, storica o sociale che lo Stato debba riconoscere e tanto meno rispettare e tutelare”.

Ma perché secondo lei la Corte di Strasburgo non avrebbe applicato rettamente il principio della libertà religiosa?
“La sentenza si richiama senza un vero motivo (poiché la semplice esposizione del crocefisso non ha alcun carattere impositivo o discriminatorio) al diritto alla libertà religiosa degli alunni non cristiani. Mentre non rispetta, per quanto riguarda gli alunni cristiani (la stragrande maggioranza nelle scuole italiane) e la patria potestà dei loro genitori, l’articolo 18 della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” dell’ONU, che garantisce “la libertà di manifestare, individualmente o in comune, sia in pubblico che in privato la propria religione”.
Quanto alla integrazione sociale, l’esperienza ha dimostrato cha la proibizione di ogni segno religioso nelle scuole (ciò avvenne in Francia nel 2004 prima del concetto di “laicità positiva”) non la favorisce. Di fatto, come dimostra un documentato studio dell’International Herald Tribune del 2008, un numero crescente di famiglie musulmane francesi invece di una scuola “senza Dio” ha preferito trasferire i loro figli nelle scuole cattoliche”.

Lei ha detto che estromettere la croce dalle scuole italiane o di altre nazioni di profonde radici cristiane sarebbe anche un segno di “cristofobia più o meno larvata e di inciviltà”. Perché?
“Lo dicono in molti, anche non cristiani, come fece la famosa scrittrice Natalia Ginzburg, di origine ebrea, anni fa. La croce non è soltanto un simbolo religioso per i credenti, ma anche per tutti un segno di civiltà. In tanti ambiti della società (basti pensare a insegne come quella della “Croce Rossa”, a determinate bandiere nazionali e istituzioni di diritto internazionale, perfino alle farmacie, cliniche e ospedali, ecc.) la croce è considerata da secoli un segno di alto valore civico e culturale, dell’amore che accoglie e aiuta fraternamente, di uguaglianza di tutti gli uomini nella dignità personale e nella comprensione delle loro sofferenze, ma anche un segno di pace, di concordia, di perdono.

Se la Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo respingesse il ricorso dello Stato italiano appoggiato da altri undici Stati, e confermasse così la prima sentenza, temo che saremo di fronte non soltanto ad un gesto di cristofobia più o meno larvata e di inciviltà, ma anche a un’altra manifestazione di fondamentalismo laicista, dalla quale deriverebbe un danno per il concetto stesso di democrazia e di legalità democratica”.

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