di Marco Respinti, con la collaborazione della dott. ssa Lidia Zawada
Tratto da La Bussola Quotidiana il 6 luglio 2011

Il primo passo verso l’auspicata svolta storica la Polonia lo ha compiuto. La sua legislazione che, seppur a certe condizioni, consente l’aborto è ora un po’ meno impenetrabile. Come peraltro ci si attendeva, venerdì 1° luglio il Sejm, la “Camera bassa” del parlamento di Varsavia, ha votato la proposta di legge d’iniziativa popolare presentata all’aula il giorno precedente che, forte di 600mila firme raccolte dalla Fundacja PRO con l’appoggio dell’associazione civica Piotr Skarga, mire alla cancellazione totale e senza eccezioni dall’ordinamento giuridico polacco dell’interruzione volontaria della gravidanza. Per sostenere la decisione dell’aula, 40 deputati di diversi partiti hanno scelto di rendere alcune testimonianze davvero commoventi, in qualche caso persino personali.

Adesso – come appunto previsto – se ne occuperanno due Commissioni parlamentari, quella che cura le Politiche sociali e familiari, e quella competente per la Salute, quindi il testo tornerà al voto della Camera, a questo seguirà il voto del Senato e infine spetterà al presidente della repubblica pronunciarsi sulla trasformazione in legge della proposta. Contro un suo eventuale veto, il parlamento potrà a quel punto ancora agire un’ultima volta indicendo una votazione d’appello che vincerà solo ottenendo la maggioranza qualificata dei due terzi dei suffragi.

Ci voleva poco, dice però qualcuno, per ottenere un risultato così, comunque iniziale e ancora passibile d’invalidazione: dopo tutto – si osserva – si è trattato praticamente di un atto dovuto, tra l’altro compiuto da un’assise il 90% dei componenti la quale alla vigilia si dichiarava – nonostante tutto – cattolico. Certamente è vero, ma lo è in parte.

Anzitutto perché non è cosa da poco il solo fatto che in un Paese europeo – sia pure culturalmente e religiosamente particolare come la Polonia – scatti il semaforo verde – anche se per ora di routine – di fronte alla proposta di rivedere una legge percepita dalla mentalità (anche giuridica) corrente come “leggera” e dunque “tollerabile”. In secondo luogo perché i bastoni tra le ruote qualcuno ha comunque provato a metterceli.

Il dibattito parlamentare di venerdì si è infatti svolto in due momenti successivi. Anzitutto l’aula è stata chiamata a esprimersi sulla mozione dell’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD) di rigettare per intero la proposta senza nemmeno discuterla. Quindi, bocciata quell’iniziativa con 254 voti a favore e 151 contrari (11 sono state le astensioni), su proposta del partito Legge e Giustizia (PiS) i parlamentari hanno finalmente deciso, con 261 voti a favore e 155 contrari (e un solo astenuto), d’inviare il testo alle due suddette Commissioni, inaugurando l’iter legislativo.

In occasione del primo voto, gli antiabortisti hanno cioè dovuto trovare la forza e i numeri per superare lo sbarramento eretto dagli ex comunisti spalleggiani in maniera determinante da ben 108 deputati (la maggioranza) del partito Piattaforma Civica (PO), ossia la formazione del primo ministro Donald Tusk.

Sull’aborto, insomma, il partito di governo si è spaccato in due (69 suoi deputati, uniti a 166 del PiS e a 31 del Partito dei coltivatori presenti in aula, hanno votato contro la mozione dell’SLD di cancellare la discussione). Lo stesso premier Tusk, sovente presentato fuori dai confini polacchi come un conservatore, incarna una opzione politica decisamente laicista del tutto allinata alle posizioni polticamente corrette e liberal che l’Unione Europea osserva e promuove su temi “eticamente sensibili”. In una intervista del 1° giugno a Gazeta Wyborcza di Varsavia – il secondo più diffuso quotidiano polacco, di orientamento progressista – Tusk si è del resto espresso a favore della legalizzare delle unioni omosessuali, sostenendo che il suo partito particherà la tolleranza zero verso coloro che il premier polacco definisce “omofobi”. Ma evidentemente – il voto sull’aborto lo dimostra – nemmeno dentro il suo partito tutti la pensano in modo uguale, segno evidente del grande e trasversale scontro politico-culturale in atto oggi nel Paese.

Bronislaw Maria Komorowski, presidente della repubblica ed ex (secondo il titolo che dal secolo XV spetta al presidente della “Camera bassa” polacca) Maresciallo del Sejm, vicepresidente del PO cui sull’aborto spetterà il verdetto finale dopo i voti di Camera e Senato, ha dichiarato di non vedere alcuna necessità di modificare la legge giacché, a suo avviso, le disposizioni attuali garantiscono con il «massimo bene politicamente possibile» la protezione della vita nascente senza peraltro costringere le persone ad atti di “eroismo”. Un numero enorme di polacchi, comunque, dall’intera gerarchia cattolica del Paese alla Sezione di ostetricia e ginecologia dell’Associazione Cattolica dei Medici Polacchi, che ha inviato una lettera aperta al Sejm in occasione del voto di venerdì, la pensa in modo esattamente contrario.

Né il cartello delle Sinistre – l’SLD, l’associazione ambientalista Green 2004, il Partito delle Donne, la Federazione per le donne e la pianificazione familiare, nonché l’associazione Campagna contro l’omofobia – batte la fiacca. Per l’autunno l’SLD promette una proposta di legge per la liberalizzazione dell’aborto, previa istituzione di corsi di educazione sessuale scolastici sin dalle classi elementari nonché il rimborso agli utenti sia di contraccettivi sia di operazioni di fecondazione in vitro. E per sostenere l’azione ha allestito di fronte al parlamento una mostra fotografica. Gran testimonial è l’ex ministro della salute Marek Balicki (SLD), per il quale la condizione femminile nella Polonia di oggi è identica a quella dell’Arabia Saudita o dell’Iran.

Un importante tassello di questa delicata ma accesa partita a scacchi è infine costituito dallo scenario mediatico. L’unico quotidiano nazionale fino a poco tempo fa attestato su posizioni conservatrici, Rzeczpospolita di Varsavia, è stato acquistato dalla società Grevimedia dell’imprenditore Grzegorz Hajdorowicz il cui consiglio di amministrazione è presieduto da Kasimierz Mohol, ex vicecapo del WSI, cioè gli eredi dei servizi segreti militari attivi durante il regime comunista. C’è chi pronostica un brusco mutamento di fronte, accompagnato da una valanga di licenziamenti, come del resto già successo per altre testate – per esempio il periodico cattolico conservatore Ozon, acquistato e subito chiuso – e alcune trasmissioni televisive. Contro il laicismo massicciamente diffuso nei media – dicono a La Bussola Quotidiana fonti polacche – restano quindi oggi soltanto Radio Maryja diretta a Tórun, nel nord del Paese, da don Tadeusz Rydzyk e il settimanale Gazeta Polska – fondato nel 1993 e diretto a Varsavia da Tomasz Sakiewicz -, che però ha diffusione solo locale.

Il 9 ottobre la Polonia andrà a elezioni politiche. Per il presidente Komorowski è ovvio che i partiti facciano a gara nel mostrasti già da ora più realisti del re in un Paese dove la gente è comunque fortemente sensibile ai “princìpi non negoziabili”. Komorowski lo dice con gran cinismo. Noi, senza nemmeno un’ombra di sarcasmo, speriamo abbia ragione.