di Don Antonello Iapicca
Mt 16,13-19

In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

IL COMMENTO

«Ipse est Petrus cui dixit: “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam”. Ubi ergo Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi nulla mors, sed vita aeterna» (Enarrationes in XII Psalmos davidicos; PL 14, 1082). «Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa; dove c’è la Chiesa, lì non c’è affatto morte ma vita eterna». Pietro e la Chiesa. E la vita, e la fine della morte. Il desiderio d’ogni uomo, il nostro desiderio d’oggi, il più profondo, il più intenso, l’anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, azione. La vita e mai più nessuna morte. I peccati stessi gridano il nostro desiderio di felicità eterna, che si tramuta purtroppo in fuga da ogni sofferenza confondendo il piacere con l’eterno esistere a cui aspiriamo. Le guerre, i divorzi, financo gli aborti, e gli abomini genetici, e le nostre ore intrise di rabbia, malinconia, ribellioni e mormorazioni. Non ci arrendiamo all’ineluttabile scorrere, v’è dentro un grido più forte di tutto, l’accorato appello lanciato ad una vita che sembra sorda ad ogni richiamo, che sfugge malvagia senza risposta. Tutti drogati di qualcosa o di qualcuno, sperando il cristallizzarsi, seppur effimero, d’un secondo almeno, un istante di tregua e di pace dove cullare le deluse speranze vissute solo in un sogno. Leopardi descriveva magistralmente i sentimenti che s’affastellano in noi:

“Questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell’umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano” (G. Leopardi, A Silvia).

Il “vero” che ci travolge, e ci spalanca “ignude tombe”, e dolori, e lacrime, e delusioni. La vita come il cammino dei due di Emmaus, che avevano sperato in Lui, Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere, che li avrebbe liberati e invece…. Anche Lui chiuso in una “tomba ignuda”, anche Lui “all’apparir del vero” è caduto “misero” e solo. E son tre giorni ormai. E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, di fare la stessa fine atroce. Come noi, come tutti. Lacrime e delusioni, sconfitte e “ignude tombe”. E nudo il Signore è sceso nella tomba, un sudario a venerarne le piaghe, e una pietra a sigillare le speranze. Nudo come tutti noi. Tre giorni. Un’eternità. Il silenzio e le lacrime. Tutto infranto e i desideri spezzati. E una sera, all’imbrunire d’un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, la stanza d’una pasqua appena volata via, d’improvviso un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La Sua voce, il Suo volto, le Sue piaghe. E’ Lui, è prprio Lui, I segni del Suo amore inchiodato ad un legno, e quella luce da quelle ferite. E la gioia, incontenibile, era morto ed ora è qui, è vivo, è tornato dall’ignuda tomba. Vittorioso. Sulla morte. Sul peccato. Lì, in quel cenacolo, la vita. E’ scomparsa la morte, è apparsa la vita. La vita eterna. In quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito. L’amore esploso in una vita più forte della morte. Il perdono per ogni peccato. E Pietro, lui, la roccia, lui, il primo, ad essere perdonato. Il primato del perdono e la roccia della Chiesa, della Sua Chiesa, è la misericordia. La beatitudine di Pietro, e di noi con lui, è tutta in questa esperienza: Pietro, il papa, perdonato da una Grazia celeste; un perdono che nè carne e nè sangue possono rivelare. Un perdono che viene dal sepolcro, che ha attraversato l’inferno, che s’è fatto dono gratuito e immeritato. Perdonato. Solo uno sguardo perdonato può riconoscere Dio. I puri di cuore vedono Dio; gli occhi purificati nella Sua misericordia riconoscono Dio in un povero rabbì di Nazaret. Il figlio di Giuseppe, un uomo, Lui è il Messia. Dio fatto uomo. Nella precarietà, nelle contraddizioni della carne, in un corpo corruttibile abita Dio, e vive la Sua Vita immmrtale. La Vita nella morte. E’ la fede della Chiesa, la risposta ad ogni speranza, sulla strada di Emmaus e sulle strade d’ogni uomo, all’apparir d’ogni vero e in tutte le ignude tombe, la vita che brilla nel perdono più forte della morte. L’amore di Dio che vince il sepolcro. Pietro, amato e perciò vivo. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa. «Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa; dove c’è la Chiesa, lì non c’è affatto morte ma vita eterna». La cattedra di Pietro è la cattedra della misericordia e nella Chiesa si apprende l’amore. Ed in esso la Vita. Quella preparata per ogni uomo. La Chiesa porta del Cielo per ogni uomo. Ed un Pastore a guidare il cammino. Un Pastore incarnato nel pastore che ci è donato. Pietro, ed ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente ad ogni uomo l’amore di Dio, la Sua misericordia. Un Pastore che prende il largo gettando le reti sulle parole di Gesù. “Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. È proprio così nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. È proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perchè in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo” (Benedetto XVI, omelia alla Santa Messa di inizio Pontificato) . E sulla porta del mondo Pietro, garante e custode della Parola d’amore incarnata qui ed ora, in questa nostra storia che sembra accendersi solo alla vista del sangue. E dell’odio. E della vendetta. A questo mondo, che è fuori e dentro ciascuno di noi, Pietro dischiude le porte della sua casa, la Chiesa dov’è vivo Cristo. La casa di Pietro, le viscere di misericordia di Dio. Dialogo, tolleranza, rispetto. Tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro invece spalanca il Cielo, l’amore eterno, che è perdono e misericordia e dono, unico scoglio ad infrangere ogni male. E’ la Chiesa, Madre e Maestra d’amore e di pace. E’ Pietro, che presiede nella carità un manipolo di poveri uomini strappati all’inganno. La Chiesa e il suo gregge, uniti a Pietro, in ogni generazione segno dell’unica speranza, Cristo, lo sguardo di misericordia del Padre su ogni uomo. Oggi. E sempre.

Commento al Vangelo di :

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 190

« Ti chiamerai Pietro » (Gv 1,42)

« Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa ». Questo nome di Pietro gli viene dato perché, per primo, egli pose fra le nazioni le fondamenta della fede e perché è la roccia indistruttibile sulla quale poggiano le basi e l’edificio intero di Gesù Cristo. A motivo della sua fedeltà viene chiamato Pietro, mentre il Signore riceve lo stesso nome a motivo della sua potenza, secondo la parola di San Paolo : « Bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo » (1 Cor 10,4). Davvero, meritava di condividere uno stesso nome con Cristo, l’apostolo scelto per essere il collaboratore della sua opera. Insieme, hanno costruito lo stesso edificio. Pietro ha piantato, il Signore ha fatto crescere, il Signore ha mandato coloro che avrebbero dovuto irrigare (cfr 1 Cor 3,6s).

Lo sappiate, fratelli carissimi, proprio a partire dalle sue colpe, nel momento in cui il suo Salvatore stava soffrendo, il beato Pietro è stato innalzato. Dopo aver rinnegato il Signore, è divenuto presso di lui il primo. Reso più fedele dalle lacrime versate sulla fede che aveva tradita, ha ricevuto una grazia più grande ancora di quella che aveva persa. Cristo gli ha affidato il suo gregge affinché lo conducesse come il buon pastore e, lui che era stato tanto debole, è divenuto il sostegno di tutti. Occorreva che colui che, interrogato sulla sua fede fosse caduto, per stabilire gli altri sulle fondamenta incrollabili della fede. Per questo è chiamato pietra fondamentale della pietà delle Chiese.