Catechesi del Papa. Prima di morire Stefano «come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: “Signore, non imputare loro questo peccato”»

Dobbiamo ascoltare Dio che ci parla tramite gli eventi, ripete da qualche tempo Benedetto XVI. Per comprenderlo, però, occorre pregarLo e conoscere le sacre scritture. Ad esempio di questo oggi Benedetto XVI, nella Catechesi in piazza San Pietro, ha parlato «della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano (…) Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio e la preghiera».

Il Papa ha cominciato raccontando la vicenda del santo: «Stefano viene condotto in tribunale, davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che “Gesù (…) distruggerà questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato”. Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, “egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo”». Il discorso di Stefano davanti al tribunale, ha proseguito il Papa, «si sviluppa proprio su questa profezia di Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi». Stefano, per dimostrare come sia infondata l’accusa che gli viene rivolta, rilegge «tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al “luogo” della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio».

Il Papa ha quindi sottolineato che è proprio la meditazione sulla Sacra Scrittura che ci permette, come a Stefano, di comprendere il nostro presente: «Nel suo discorso Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione». Lo stesso accade ora ai persecutori di Stefano. In tutto ciò poi «egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio di Dio fattosi carne». È lui il vero tempio: «Egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il “luogo” del vero culto». Stefano, dunque, non nega l’importanza del tempio, ha rilevato il Papa, «ma sottolinea che Dio non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo. Il nuovo tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue». Un corpo che «Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima sacrificale per espiare i peccati». È così, ha detto il Papa, che «Gesù prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per “bruciarlo” in questo amore». È quindi accostandosi «alla Croce, alla comunione con Lui» che si entra «in questa trasformazione».

Infine, «la vita e il discorso di Stefano improvvisamente si interrompono con la lapidazione». Ed è proprio così che «egli diventa una cosa sola con Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina che in Gesù ha trovato il pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa preghiera della Croce». Prima di morire, infatti, Stefano «come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: “Signore, non imputare loro questo peccato”». Il Papa ha infine concluso chiedendosi «da dove questo primo martire cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso?». La risposta è «dal suo rapporto con Dio», che si riconosce e comprende «dalla meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo è giunto al vertice». Quindi per vivere della stessa certezza pure davanti ai nemici occorre che «anche la nostra preghiera» sia «nutrita dall’ascolto della Parola di Dio», perché sia compresa la Sua risposta.

C’è poi un secondo elemento: «Il Figlio di Dio – è il tempio “non fatto da mano d’uomo” in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia, esistenza quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci a Dio con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito».

di Benedetta Frigerio
da Tempi