Parla il mariologo De Fiores: la preghiera cui è dedicato ottobre fa contemplare i misteri di Gesù con il cuore della Madre
di Giacomo Gambassi
Tratto da Avvenire del 13 ottobre 2010

Cita il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin che in una sua lettera scri­veva: «Nel Rosario tutta la nostra vi­ta si cristianizza attraverso lo sviluppo del­l’Ave Maria». «Ecco, proprio questa forma di preghiera che definirei unica ci dà modo di assimilare ciò che Cristo ha vissuto e quan­to la Chiesa proclama e celebra», spiega il monfortano padre Stefano De Fiores, do­cente alla Pontificia Facoltà Teo­logica «Marianum» e presidente dell’Associazione mariologica in­terdisciplinare italiana.

Da secoli il mese di ottobre ha al centro il Rosario. Una tradizione con radici precise. «Richiama la battaglia di Lepanto dell’ottobre 1571 in cui si sono affrontate le flotte dell’Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa – afferma De Fiores –. La vittoria è stata attribuita alla Madonna del Rosario da san Pio V il quale, ancora prima di avere informazioni precise, aveva dato la lieta no­vella sottolineando che era stato fermato un pericolo per l’Europa. Da qui la volontà di de­dicare questo mese alla valorizzazione del Rosario».

Una preghiera che il mariologo definisce u- na «pratica senza eguali fra gli esercizi di pietà e le espressioni di devozione che caratteriz­zano l’Occidente cristiano». Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato, nel 1978, l’a­veva chiamata «la mia preghiera prediletta». E De Fiores ricorda che papa Wojtyla vede­va nel Rosario «una contemplazione dei mi­steri di Cristo con il cuore della Madre». «Gra­zie allo sguardo di Maria – aggiunge il do­cente – troviamo come in uno scrigno pre­zioso la vita di Cristo in tutte le sue valenze. Basti pensare alla quadriforme espressione dei misteri: gaudiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi. Quindi si tratta di continuare nella Chiesa quella contemplazione di Gesù ini­ziata dalla Vergine». Fulcro è l’ Ave Maria recitata dieci volte in o­gni mistero. «La ripetizione appartiene alle religioni. Non abbiamo altri modi di inte­riorizzare ciò in cui crediamo se non se­guendo questa strada. La mentalità razio­nalista ritiene che sia sufficiente presentare un concetto appena una volta per com­prenderlo. Invece le verità di fede vanno fat­te proprie e ripensate. In effetti serve una ru­minatio». E con le dita che sfiorano i grani della coro­na il Rosario diventa preghiera tattile. «Il cor­po non può essere assente – chiarisce il ma­riologo –. Direi che più le mani si muovono, più si è portati a meditare. Oggi si parla giustamente di una spiritua­lità del corpo: il corpo aiuta l’anima a elevarsi. E la corona consente che ci sia una partecipazione integrale nella preghiera».

Ma il Rosario non è una pratica a sé. Del resto Paolo VI lo definiva un «sup­porto» alla liturgia. «Per questo – ag­giunge De Fiores – è bene che il Ro­sario sia collegato alla liturgia. Così i tempi liturgici possono influire sul­la scelta dei misteri. Perché, ad esempio, il 6 gennaio non accennare all’Epifania di Cristo proprio nei misteri? E questa armonizzazio­ne con la liturgia è stata ben mostrata dal ma­gistero pontificio in cui il Rosario è ritenuto un efficace compendio del Vangelo».

Da qui il richiamo a uno ‘stile’ che la pre­ghiera mariana può assumere. «Per essere toccati dalla sua bellezza servono pause di silenzio, un bel canto del Gloria a lode della Trinità e soprattutto la proclamazione della Parola. Infatti si tratta di una preghiera emi­nentemente biblica, come ha evidenziato Benedetto XVI. Va quindi favorito il legame fra la Scrittura e il Rosario che non fa altro che meditare il Verbo attraverso il mistero del­l’incarnazione, autentico perno di questa preghiera».

Comunque alcuni accorgimenti possono es­sere utili. «Per avvicinare i giovani è possibi­le animate le ‘poste’ (o decine) del Rosario secondo i linguaggi dei ragazzi e renderle vi­ve con l’aggancio all’attualità. Oppure si può ricorrere a proiezioni di immagini artistiche che faranno del Rosario anche un mezzo di catechesi in quanto un’icona parla e spie­ga». Poi ci sono le intenzioni. «Due le ha e­splicitate Giovanni Paolo II: la pace e la fa­miglia. Certo possono essere ampliate ai molteplici ambiti della vita. E, quando nella seconda parte dell’ Ave Maria diciamo ‘San­ta Maria…’, entriamo in una dimensione di intercessione con la quale ci affidiamo alla Madre di Dio».