«Se lo scopo delle Dichiarazioni anticipate di trattamento è consentire al medico di agire per il bene del paziente, è chiaro che non possono obbligare chi ha il compito di curare» Rodolfo Proietti, luminare della rianimazione, mette a punto i nodi decisivi della legge sul fine vita
di Emanuela Vinai
Tratto da Avvenire del 24 marzo 2011

Nel dibattito sul reale utilizzo delle Dichiarazioni anticipate di trattamento (le «Dat») il riferimento è a quei casi in cui non si è in grado di esprimere la propria volontà. Ci aiuta nell’approfondimento Rodolfo Proietti, ordinario di Anestesia e rianimazione all’Università Cattolica di Roma.

Professore, lei è impegnato da molti anni in prima linea nell’emergenza della rianimazione. Se arriva in Pronto Soccorso, in stato di incoscienza, qualcuno che ha precedentemente dichiarato di non voler essere rianimato, come si deve comportare il medico?

È necessaria un’attenta valutazione. Il paziente potrebbe infatti aver dichiarato di non voler essere sottoposto a terapie rianimative o intensive in quanto consapevole di essere affetto da una patologia inguaribile, evolutiva, giunta alla sua fase terminale. Confermata la presenza della patologia e rivalutata la prognosi, il medico, in scienza e coscienza, se ritiene la morte inevitabile e attesa in tempi brevi, deve astenersi da terapie rianimative oggettivamente sproporzionate per eccesso e, in questo caso, contrarie anche alla volontà del paziente. Diverso è il caso di una generica espressione di volontà a non essere sottoposti a terapie rianimative per il timore delle gravi complicanze che potrebbero conseguire alle manovre di rianimazione cardiorespiratoria (stati di incoscienza prolungati; gravi disabilità con perdita di autonomia). In questi casi le manovre di rianimazione debbono essere immediatamente iniziate.

E riguardo la vincolatività?
Se lo scopo delle Dat è quello di consentire al medico di agire per il bene del paziente, anche tenendo nel massimo conto volontà precedentemente espresse, è evidente che non possono essere vincolanti. La vincolatività non consentirebbe più al medico di valutare in senso critico i concreti obiettivi delle dichiarazioni anticipate: la condizione patologica in atto, per gravità ed evoluzione, è effettivamente quella riportata nelle Dat? La prognosi della patologia è sostanzialmente variata rispetto al momento della registrazione delle Dat? Il rifiuto delle terapie è rivolto prevalentemente a cure oggettivamente sproporzionate per eccesso (rifiuto dell’accanimento terapeutico) o è finalizzato a interrompere la vita anche quando la morte è evitabile e inattesa (richiesta di eutanasia)?

Alimentazione e idratazione sono riconosciute sostegni vitali e non terapie. E la ventilazione assistita?
È doveroso sottolineare che soprattutto le decisioni terapeutiche finalizzate al mantenimento della vita si costruiscono e si prendono all’interno di una relazione fondata su un rapporto di fiducia che conduce a una ‘alleanza terapeutica’ tra chi chiede aiuto (la persona malata) e chi propone gli strumenti diagnostici-terapeutici più idonei e sopportabili (il curante). Nel momento in cui la persona è incosciente il medico si trova investito della grande responsabilità di decidere da solo. In questo caso le Dat possono aiutarlo soprattutto a evitare terapie sproporzionate per eccesso.

Spesso i parenti dei malati ricoverati nei Centri di Rianimazione ci chiedono di fare ‘più del possibile’ e di adottare terapie strumentali, compresa la ventilazione meccanica, anche per prolungare solo di qualche ora la vita dei loro cari. In questi casi – i più frequenti – la disponibilità delle Dat faciliterebbe la decisione di limitare le terapie intensive.

Quando la ventilazione meccanica diventa una terapia futile, non più benefica per il paziente, incapace di fermare l’evoluzione della malattia, può essere sospesa. Diverso è il caso in cui la ventilazione meccanica è giudicata dal medico utile, efficace, proporzionata, in grado di consentire il superamento di un evento acuto e di impedire una morte evitabile. In questo caso il medico deve poter esercitare il diritto di iniziare o proseguire la ventilazione meccanica nel rispetto del dovere deontologico, etico e morale di proteggere la vita.

Quando invece il paziente è in grado di intendere e di scegliere, chi deve decidere sulla proporzionalità delle cure?
Le decisioni terapeutiche debbono essere condivise: non deve prevalere né la discrezionalità del medico né l’autodeterminazione del malato.

All’interno della relazione terapeutica il medico non ha il compito di convincere a tutti i costi ma quello di mettere il paziente nella condizione di poter decidere per il suo bene in modo consapevole. Deve saper comunicare con la persona malata, non solo informarla e, soprattutto, deve comprendere i motivi che determinano il rifiuto di una terapia: è insopportabile la malattia o è insopportabile la vita? La ‘medicina di relazione’ si fonda su questa capacità di farsi carico dei bisogni del malato e di affrontare insieme gli inevitabili momenti di disperazione.