Caso Cucchi, i medici del Pertini rischiano 8 anni • Per i sanitari si ipotizza l’abbandono di incapace, reato che prevede pena superiore all’omicidio colposo
di Pino Ciociola
Tratto da Avvenire dell’1 maggio 2010
Un bicchiere d’acqua e zucchero, uno solo: gliel’avessero dato, Stefano sarebbe vivo. Mettono i brividi le tesi della Procura di Roma, che ha chiuso le indagini e indicato 13 persone responsabili della morte di Stefano Cucchi, il 22 ottobre scorso nel reparto protetto dell’ospedale ‘Sandro Pertini’.
Sei medici e tre infermieri.
I sei medici sono Aldo Fierro, Stefania Corbi, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Rosita Caponetti. L’accusa nei confronti dei primi cinque è abbandono di persona incapace, reato aggravato dalla morte di Stefano. Ipotesi che sostituisce quella iniziale di omicidio colposo (8 anni di pena massima, mentre per l’omicidio colposo è 5). Sono anche indagati gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, per concorso in abbandono di persona incapace.
Tre agenti di Polizia penitenziaria e un funzionario.
Tocca a tre guardie carcerarie, poi: Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. La Procura contesta loro le lesioni personali e l’abuso di autorità in relazione alle percosse che Cucchi subì mentre aspettava di comparire davanti al giudice che doveva processarlo per detenzione di stupefacenti. Infine è indagato anche Claudio Marchiandi, funzionario del Provveditorato regionale amministrazione penitenziaria, al quale si contesta, come al medico Rosita Caponetti, il reato di falso, in relazione al ricovero di Stefano al ‘Sandro Pertini’.
«Negata l’assistenza elementare».
Nel capo di imputazione la Procura indica anche le patologie di Stefano al momento del ricovero: politraumatismo acuto con bradicardia in stato di magrezza patologica. Dunque il ragazzo era in pericolo di vita. E i sanitari omettevano di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza, che «apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità» e«non comportavano particolare difficoltà di attuazione, essendo certamente idonei ad evitare il decesso» del ragazzo.
Bastava un bicchiere d’acqua e zucchero.
Stefano si sarebbe cioè potuto salvare «se gli fosse stata somministrata dell’acqua con un minimo quantitativo di zucchero», afferma la Procura capitolina nel suo capo d’impu- tazione per medici e infermieri, che al contrario «omettevano di adottare qualunque presidio terapeutico a riscontro di valore di glicemia ematica pari a 40 mg-dl, rilevato il 19 ottobre, pur essendo al di sotto della soglia ritenuta dalla letteratura scientifica come pericolosa per la vita (45 mg-dl)».
«I medici dovrebbero vergognarsi».
Per Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, «non si può parlare di soddisfazione, perché si svela uno scenario ancora più drammatico di quello ipotizzato. Come famiglia siamo grati ai pm per il lavoro fatto»: il loro augurio adesso è che «la posizione degli agenti di Polizia penitenziaria possa essere rivalutata. Stefano è stato vittima di un pestaggio ed è stato lasciato morire. Ribadiamo che le colpe di quel pestaggio sono gravi. E anche i medici dovrebbero vergognarsi».
«Proveremo la nostra estraneità».
I legali dei medici e degli agenti intanto sfoggiano ottimismo: «Bisogna vedere se il pm riuscirà a provare le accuse. Soprattutto che Stefano era persona incapace», sostiene Gaetano Scalise, avvocato difensore di Aldo Fierro, responsabile del reparto protetto del ‘Sandro Pertini’: «Porteremo elementi a difesa che tenderanno a smentire l’accusa». Stessa convinzione per Diego Perugini, legale della guardia carceraria Nicola Minichini: «Anche l’incolpazione di lesioni merita un approfondimento, ma la cosa che a noi più interessa è la verifica effettiva su chi ha provocato quelle lesioni. Ci saranno gli elementi per dire che è stato uno piuttosto che un altro e quando sono avvenute?».