di Paolo Rodari
Tratto da Il Foglio del 16 ottobre 2010
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E’ di poche ore fa un’accusa durissima mossa da monsignor Ruggero Franceschini, vicario apostolico di Smirne e presidente della Conferenza episcopale turca, durante il Sinodo dei vescovi.

Un’accusa con due destinatari: la Turchia e il Vaticano. Franceschini, ricordando il triste episodio dell’uccisione del suo predecessore, monsignor Luigi Padovese, ha usato del pulpito del Sinodo per dire che nessuno ha fatto nulla contro le “insopportabili calunnie” messe in circolo su Padovese “dagli stessi organizzatori del delitto”, che è stato “un omicidio premeditato”.

Perché Padovese venne ucciso? C’è chi disse che venne ucciso a motivo di una relazione omosessuale con il suo assassino. Niente di più falso, ha detto Franceschini. L’omicidio avvenne con le modalità del fanatismo islamico come dimostra l’avvenuta decapitazione. Franceschini ha ricordato al Vaticano e al Papa che “la situazione pastorale e amministrativa del vicariato dell’Anatolia è grave per le divisioni all’interno della comunità cristiana, già fragile di per sé”, per le  difficoltà economiche del vicariato e per “la gravissima scarsità di personale missionario”. E ancora: Padovese è stato ucciso “dagli stessi poteri occulti che il povero Luigi aveva indicato come responsabili dell’assassinio di don Andrea Santoro, del giornalista armeno Dink e dei quattro protestanti di Malatya; cioè un’oscura trama di complicità tra ultranazionalisti e fanatici religiosi, esperti in strategia della tensione”. Cosa chiede alla chiesa Franceschini? “Quello che ora ci manca: un pastore, qualcuno che lo aiuti, i mezzi per farlo”.

La chiesa cattolica in Anatolia è a rischio di sopravvivenza. La diplomazia vaticana mantiene una linea prudente verso il governo del paese. Da una parte conosce le sofferenze della minuscola pattuglia cattolica. Dall’altra ritiene che depotenziare le voci delle proteste sia utile agli stessi cattolici che vivono nella regione. Anche quando morì Padovese il Vaticano adottò questa politica tanto che si affrettò a dire che non “era opera di un folle”. Franceschini non ha mai dato spago a questa linea. Ha sempre dato un’altra versione dei fatti. Così anche ieri, con molto coraggio.