di Andrea Tornielli
Tratto da Sacri Palazzi,

Le resistenze al motu proprio Summorum Pontificum, con il quale nel 2007 Benedetto XVI volle liberalizzare la messa antica, concedendo ai parroci di celebrarla in presenza di un gruppo stabile di fedeli, senza il bisogno di una speciale autorizzazione del vescovo, raggiungono livelli di guardia.

L’ultimo caso è accaduto in quel di Vetrego, paese vicino a Mirano in provincia di Venezia ma in diocesi di Treviso. Qui, con l’accordo del parroco e del consiglio parrocchiale, che non è affatto composto da tradizionalisti, era stato stabilito di celebrare il 1° maggio – domenica in Albis e festa della Divina Misericordia – una messa antica (solo per una volta, solo in quella speciale occasione), per festeggiare il sessantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale e il quarantesimo anniversario di permanenza dello stesso parroco, don Pietro Mozzato. Che avrebbe dunque rivissuto la messa della sua ordinazione sacerdotale. Nessuna nostalgia borbonica, nessun inno al Papa re (sentimenti peraltro difficilmente riscontrabili in Veneto, che non fece mai parte dello Stato Pontificio), nessuna finalità “politica”, nessuna polemica contro il Concilio Vaticano II… Solo una messa secondo il rito antico, con il messale del 1962, quello promulgato dal beato Giovanni XXIII, quello liberalizzato dal suo successore Papa Ratzinger.

A celebrare la messa in onore di don Pietro sarebbe stato padre Konrad Zu Loewenstein, della Fraternità San Pietro, cappellano di San Simon Piccolo a Venezia, che celebra more antiquo nel capoluogo lagunare in accordo con il cardinale patriarca Angelo Scola. I manifestini per invitare i fedeli erano già pronti. Ma… il parroco di un paese vicino, Spinea, vedendoli, ha pensato bene di dire al collega di Vetrego che quell’iniziativa avrebbe urtato la curia di Treviso. Così, nonostante la decisione presa in accordo con il consiglio pastorale (quando serve, s’invoca sempre l’importanza di questi organismi, quando non serve la si dimentica; quando fa comodo i laici e le loro inziative scompaiono, in barba allo stesso Concilio) e nonostante si ricadesse in tutto e per tutto nelle facoltà concesse da un motu proprio papale che è legge universale nella Chiesa, il parroco di Vetrego è stato vivamente sconsigliato di procedere. E’ stato infatti avvertito il vicario generale del vescovo Gianfranco Agostino Gardin, monsignor Giuseppe Rizzo, il quale ha fatto sapere (per interposto sacerdote) che la curia era contraria e la messa non s’aveva da fare.

Così don Pietro, che avrebbe potuto tranquillamente procedere come previsto e annunciato, si è sentito sotto pressione e ha pensato di annullare tutto, in barba ai manifesti già stampati e alle norme sancite dal Pontefice. I fedeli di Vetrego che avevano sostenuto l’iniziativa – ricordiamolo, celebrazione straordinaria una tantum per un giubileo sacerdotale della messa liberalizzata da Benedetto XVI – hanno provato invano a contattare vicario e vescovo, che, come spesso purtroppo accade in questi casi, han pensato  bene di non rispondere. Sui laici faranno molte omelie, convegni, progetti pastorali. Ma non si sentono in dovere di dar loro risposte, perché facendolo dovrebbero spiegare in base a che cosa proibiscono ciò il Papa ha liberalizzato.

Qualcosa del genere era già accaduto nei mesi scorsi a Mirano, sempre in diocesi di Treviso. Inutile dire che questo zelo e questa volontà di stabilire norme ad personam da parte di vescovi che sembrano non conoscere o non riconoscere le leggi universali della Chiesa viene applicato a senso unico, in un’unica direzione. Fingendo di non vedere ciò che accade in tante altre parrocchie (mi riferisco a certe liturgie, per così dire, ”disinvolte”, di cui non mancano esempi).

Chi segue questo blog sa come negli ultimi mesi il sottoscritto sia stato piuttosto severo nei suoi giudizi verso certi atteggiamenti del mondo tradizionalista. Ma ciò che sta accadendo, con pastori che pretendono di far valere la loro autorità al di sopra di quella del Papa, dimenticando le leggi della Chiesa e non degnando neppure di una risposta i fedeli laici “colpevoli” di aver proposto per una volta soltanto la celebrazione della messa antica, è davvero grave. La diocesi di Treviso, che ha dato i natali a san Pio X, non risulta – almeno per il momento – dispensata dalla comunione con il vescovo di Roma, né risulta seguire il rito ambrosiano o mozarabico. Celebra il rito romano. E dal 2007 di quel rito romano, accanto alla forma ordinaria, esiste, pienamente legittima e legittimata, la forma straordinaria. Anche nella curia trevigiana dovrebbero farsene una ragione.