Croazia, il matrimonio è solo tra uomo e donna. Vince il “sì” col 65 per cento, ma per la sinistra si tratta di «omofobia»

Croazia, il matrimonio è solo tra uomo e donna. Vince il “sì” col 65 per cento, ma per la sinistra si tratta di «omofobia»

Confermate le previsioni nel referendum sulla definizione di matrimonio in Costituzione. Protestano le associazioni Lgbt e il premier prepara una legge per estendere i diritti delle coppie dello stesso sesso

da www.tempi.it 

matrimoni_gay_croaziaCroazia, nel referendum sulla definizione di matrimonio come sola unione tra uomo e donna ha stravinto il “sì”, con il 65 percento di preferenze. Ieri nella repubblica balcanica era il giorno della consultazione popolare sulla definizione delle nozze, promossa dall’associazione “In nome della famiglia” al fine di evitare prossime mosse del Governo in favore delle unioni omosessuali: al quesito “Vuoi definire il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna?” i croati che si sono presentati alle urne hanno risposto chiaramente in maniera affermativa, confermando le previsioni che nei giorni scorsi erano state fatte dai giornali.

BASSA AFFLUENZA. Le associazioni Lgbt contestano i risultati del voto, che ha mosso percentuali discretamente basse degli aventi diritto: l’affluenza è stata inferiore al 38 percento, cifra che però non ha avuto rilevanza ai fini del referendum, sul quale non esisteva quorum. Ora la ridefinizione sarà appunto trascritta in Costituzione, modifica che allinea la Croazia a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria, i cinque Paesi dell’Unione Europea che hanno già una definizione costituzionale dei matrimoni come esclusivamente eterosessuali. Sconfitto, così, il centrosinistra del premier Zoran Milanovic, che ha definito i risultati della consultazione «un’espressione di omofobia», e già prepara una nuova legge per estendere i diritti delle coppie dello stesso sesso.

Le folli idee del professor Sartori

Le folli idee del professor Sartori

di Fabio Spina da www.lanuovabq.it 

Il 15 agosto si può pensare che l’editoriale di Giovanni Sartori sia dovuto ad un colpo di sole, così anche il fatto che il Corriere della Sera ne condivida gli intendimenti. Ma perché rifilarci anche a novembre un nuovo editoriale che, facendo un minestrone un po’ di tutto,  finisce per dire che la colpa di quanto accade di brutto è del Papa e dell’aumento della popolazione? Anche stavolta la realtà viene stravolta al solo uso di far apparire condivisibili delle tristi e antiquate idee malthusiane senza capo né coda, che solo una società sempre meno sazia ma disperata come l’attuale può accettare.

Vale la pena riportare integralmente la parte centrale dell’editoriale pubblicato il 23 novembre 2013:

«Stiamo inquinando l’atmosfera, stiamo avvelenando l’aria che respiriamo e, al contempo, stiamo destabilizzando il clima. Sono notizie di questi giorni il ciclone senza precedenti che ha colpito le Filippine, e ora il diluvio, la bomba d’acqua anch’essa senza precedenti che si è abbattuta sulla Sardegna e che ancora la minaccia. Forse troveremo il modo di uscire dalla crisi economica (della quale portano la massima colpa gli economisti), ma come fermare l’impazzimento del clima, il progressivo riscaldamento, la crescita dei livelli del mare, l’erosione dei ghiacciai (che alimentano i fiumi) e, infine, la nuova probabile dislocazione delle piogge con la conseguente dislocazione delle zone aride? 

Il rimedio vero sarebbe una drastica riduzione delle nascite (specialmente in Africa) che ci restituirebbe un pianeta vivibile. A questo effetto le maggiori responsabilità sono della Chiesa cattolica (per l’Africa e anche parte dell’America Latina). Per ora papa Francesco si è limitato a carezzare molti bambini, stringere molte mani e a distribuire in piazza San Pietro la «Misericordina» che poi, aperta la scatolina, è un rosario. E la nostra televisione è inondata da appelli di soldi per salvare i bambini africani. A che pro? Le prospettive, restando le cose come sono, sono cicloni in autunno, piogge torrenziali in inverno, afa insopportabile d’estate. E d’estate non nevicherà più sui ghiacciai, il che implica che andranno a sparire. Di conseguenza i fiumi si prosciugheranno. 

Come dicevo di tutto questo non ci diamo pensiero perché prima di tutto bisogna mangiare. Vero. Ma è anche vero che ci sarà sempre meno da mangiare. Ripeto, l’unica cura ancora a nostra disposizione è di ridurre la popolazione e con essa ridurre l’emissione di gas serra e la conseguente concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera». 

Nulla di nuovo sotto il tifone; infatti dopo quello dell’aprile 1991 in Bangladesh, quando morirono più di 138mila persone, Jacques Cousteau, uno degli ambientalisti più famosi ed autorevoli del mondo, disse: «Non date la colpa al mare. La vera tragedia del Bangladesh sono gli uomini, una popolazione incontenibile.[…] Dovremmo essere in 700 milioni in tutto. Allora sì che la Terra diventerebbe paradisiaca».

Eppure tutti dovrebbero ormai sapere che il cibo nel mondo è sufficiente; il vero scandalo è nella differenza con cui le varie popolazioni ne dispongono, nello spreco che se fa nei paesi ricchi specie nella catena di distribuzione, nel fatto che c’è chi ancora muore di fame. Però va notato che dagli anni ’90 ad oggi, mentre la popolazione cresceva, la percentuale di persone denutrite è scesa dal 23,2 al 14,9%, secondo i dati della Fao. L’attuale produzione mondiale di alimenti è in grado di sfamare il doppio della popolazione corrente, circa un terzo della produzione è in qualche modo non utilizzata per fini alimentari: o viene sprecata o utilizzata per altre finalità come i biocarburanti.

Eppure tutti dovrebbero ormai sapere che tra riscaldamento globale e quanto accaduto sulle Filippine e in Sardegna non esiste alcun nesso di causalità dimostrato scientificamente. Inoltre sono tutti fenomeni eccezionali ma non unici nella storia.

L’aspetto che può invece sorprendere è che, ad agosto, lo stesso professor Sartori era stato meno catastrofista sulla destabilizzazione del clima.
«E come va il mondo, il pianeta Terra? Forse meglio. La buona notizia è che a detta dei climatologi il riscaldamento del nostro pianeta sembra che si sia fermato. Si intende, le previsioni sul clima non sono mai certe; sono, in verità, estrapolazioni ricavate da statistiche o da modelli matematici. Anche così, quali le possibili spiegazioni? Potrebbe essere che la crisi economica ha molto ridotto le emissioni di gas serra, pareggiando così il conto, e cioè pareggiando l’eccedenza di anidride carbonica che non veniva assorbita in precedenza dagli alberi e dal mare».

Cosa sarà successo in questi giorni a Sartori? Quando accadono eventi catastrofici, un’ideologia nichilista propone la stessa soluzione disumana che Lester R. Brown proponeva come rimedio contro la povertà: eliminare gli affamati. Così Sartori avrà pensato di riproporre che il rimedio contro le vittime degli eventi estremi  è eliminare le vittime. Ed il Corriere della Sera subito ha abbracciato questa linea.

Occorrerebbe, invece, in molti casi cambiare atteggiamento di fronte agli impatti di fenomeni meteorologici intensi, quando la meteorologia “è capricciosa”.

Gli antichi romani, ad esempio, di fronte alla siccità, alla crescita della popolazione e alle nuove esigenze di Roma costruirono decine di acquedotti; fu un modo fattivo di pensare alle future generazioni. Non si trattava di devastare il paesaggio o l’ambiente, ma l’idea del “bene comune” permetteva una umanizzazione del Pianeta. Oggi invece ci si aspetta che piova secondo la media tutti gli anni (possibilmente secondo le nostre esigenze, d’estate dovrebbe piovere solo di notte per non scontentare contemporaneamente contadini e turisti). Se ciò non accade allora dobbiamo mettere in atto azioni per “normalizzare” il tempo meteorologico.

Oggi si afferma che risolvere il problema degli uragani, e più in generale del cambiamento climatico, corrisponde a risolvere i problemi dei paesi poveri. In realtà i poveri muoiono di fame, di sete, malattie, hanno bisogno di energia e di svilupparsi integralmente adesso, mentre i presunti benefici climatici dovuti ai protocolli, forse, ci saranno tra alcuni decenni. I problemi hanno scale di tempo e priorità diversi. E’ come se al povero che al semaforo chiede i soldi per mangiare, rispondessimo soddisfatti che abbiamo investito nel catalizzatore della nostra auto per il bene dei suoi figli e di Gaia.

Combattere la miseria e lottare contro gli effetti dei fenomeni meteorologici intensi, è promuovere, assieme al miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La convivenza con l’insieme delle condizioni atmosferiche normali ed anormali che caratterizzano il clima, non si riduce all’equilibrio, sempre precario, delle concentrazioni di gas atmosferici. Essa si costruisce giorno dopo giorno, nel perseguimento d’un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini. “Lo sviluppo è il nuovo nome della Pace”, anche in campo climatico-ambientale.

La società del divertimento distrae dalla felicità

di Giovanni Fighera da www.lanuovabq.it

Goya,

Nell’operetta morale «Dialogo di Malambruno e Farfarello», dopo aver chiesto la felicità al demone e aver ottenuto una risposta negativa, Malambruno desidererebbe almeno togliere l’infelicità. Farfarello risponde che ciò è impossibile a meno che non smetta di volersi bene. Se ciò che ci procura tristezza è la domanda che sembra non trovare appagamento, è sufficiente smorzare la tensione del desiderio per stare, solo apparentemente, meglio. Ecco perché un assopimento dell’animo è, in generale, piacevole, perché consiste in uno stordimento della ragione, in un annebbiamento delle domande del cuore: «Il desiderio del piacere diviene una pena, e una specie di travaglio abituale dell’anima. Quindi [… ] un assopimento dell’anima è piacevole. I turchi se lo procurano coll’oppio, ed è grato all’anima perché in quei momenti non è affannata dal desiderio, perché è come un riposo dal desiderio tormentoso, e impossibile a soddisfar pienamente; un intervallo come il sonno nel quale se ben l’anima forse non lascia di pensare, tuttavia non se n’avvede» (Zibaldone).

Nell’operetta morale «Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare» il protagonista  nella sua solitudine del convento / manicomio di Sant’Anna chiede allora quali siano i rimedi contro la noia, contro questo pungolo che non ci fa stare tranquilli, ma ci fa sospirare di desiderio. La risposta è «il sonno, l’oppio, il dolore». La società contemporanea sembra essere una fabbrica di assopimento dell’animo. L’oppio di cui parla Leopardi è la droga diffusa in tutte le sue forme nel mondo giovanile e anche in quello più adulto, le forme di felicità chimica, ovvero di stordimento e di distruzione graduale della ragione umana e del fisico. La droga sembra diventare abitudinaria accompagnatrice delle serate di chi vuole divertirsi, trattata come amica. A quale stordimento giunge spesso l’uomo! L’assopimento è, spesso, procacciato attraverso l’alcool, attraverso l’ebbrezza che toglie ogni inibizione e che, nel contempo, stordisce. Il genio familiare cita, però, anche un altro espediente, il sonno, che si può intendere nel senso letterale del termine o in quello metaforico di fuga dalla realtà, costruzione di una campana di vetro all’interno della quale ripararsi e non vivere. Quante forme di sonno esistono, quante forme di annichilimento della coscienza vengono sovente adottate! Il sonno è, però, senza che ricorriamo ad una lettura metaforica, la via immediata cui molti ricorrono per stare meno male. Non a caso chi si sente depresso  si rifugia spesso nel dormire.

Eppure, l’animo spesso predilige forme di assopimento più vitali. Quest’ultima può sembrare un’espressione ossimorica e paradossale, ma non lo è: infatti, l’uomo, volendosi illudere di vivere e pensando che l’intensità della vita dipenda dalla quantità di attività, si riempie  le giornate di occupazioni, satura ogni spazio vuoto, eliminando le occasioni per pensare e per porsi domande. «La vita continuamente occupata» scrive Leopardi nello Zibaldone, «è la più felice, quando anche non sieno occupazioni e sensazioni vive, e varie. L’animo occupato è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge a quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro, il provvedere ai suoi bisogni ordinari, ec. ec. ec.) giacché li considera allora come piaceri (essendo piacere tutto quello che l’anima desidera), e conseguitone uno, passa a un altro, così che è distratto da desideri maggiori, e non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose e la speranza di quei piccoli fini […] bastano a riempirlo, e a trattenerlo nel tempo del suo riposo». Leopardi è, però, ben cosciente dell’inganno del divertimento e dell’occupazione continua della propria giornata con mille attività. Scrive, infatti, nello Zibaldone: «Né la occupazione né il divertimento qualunque, non danno veramente agli uomini piacere alcuno. Nondimeno è certo che l’uomo occupato o divertito comunque, è manco (meno) infelice del disoccupato, e di quello che vive vita uniforme senza distrazione alcuna… Occupata o divertita (sottointeso la vita), ella si sente e si conosce meno, e passa, in apparenza più presto, e perciò solo, gli uomini occupati o divertiti, non avendo alcun bene né piacere più degli altri, sono però manco infelici: e gli uomini disoccupati e non divertiti, sono più infelici, non perché abbiano minori beni, ma per maggioranza di male, cioè maggior sentimento, conoscimento, e diuturnità (apparente) della vita».

La frenetica vita di oggi sembra la paradigmatica rappresentazione di una risposta che la società contemporanea ha dato alla questione della felicità, risposta pilotata dal potere che induce falsi bisogni e li pone come esigenze fondamentali dell’io. Siamo bombardati da messaggi che ci inducono a pensare in positivo per la moltitudine dei beni di consumo che l’uomo può ottenere, siamo immersi nella civiltà che ci gestisce il tempo libero ora per ora, come nei villaggi turistici dove il nostro divertimento è sentirci dire cosa fare e come occupare le nostre giornate. Riempire il vuoto, mettere a tacere l’horror vacui, che provoca un senso di vertigine, è la parola d’ordine attuale. I più, nella propria dimenticanza, non si avvedono neppure di non essere liberi in questo modo di agire, presuppongono di stare bene, semplicemente perché non sentono più la domanda. Paradossalmente una montagna di piaceri sommerge il vero desiderio.

Nei Pensieri Pascal definisce questo atteggiamento umano di distrazione con il termine divertissement. L’espressione nel suo significato etimologico (dal latino divertere cioè «volgere qua e là, lontano dalla strada principale, dal solco tracciato») ben designa il tentativo, coscientemente o incoscientemente perpetrato, di strapparci dal nostro cuore originario, sede delle domande più autentiche sul significato e sul senso delle cose, attraverso distrazioni, palliativi, piaceri surrogati della felicità che hanno come conseguenza quella di alienarci, di allontanarci da noi stessi, di renderci estranei a noi stessi, di essere sempre fuori da noi così che «la nostra casa risulta disabitata». Per questo Pascal scrive: «Nulla è tanto insopportabile per l’uomo quanto lo stare in riposo completo, senza passioni, senza preoccupazioni, senza svaghi, senza applicazione. Allora sente il suo nulla, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Immediatamente dal fondo della sua anima verranno fuori la noia, la tetraggine, la tristezza, l’affanno, il dispetto, la disperazione». L’uomo passa, così, da un piacere all’altro senza sosta, rimanendo deluso in continuazione, ma sopperendo a questo disinganno con l’immensa varietà dei piaceri. Spesso, non ha tempo di stancarsi dei piaceri, poiché vi si sofferma troppo poco e non ha lo spazio per riflettere sull’incapacità di essi a felicitarci. Ecco perché sovente, invece di approfondire i rapporti, si preferisce passare da un’amicizia all’altra, da un rapporto sentimentale all’altro nella paura che si possa altrimenti cogliere l’inganno di chi affida la felicità ad un bene (come idolo) oppure già nel puro cinismo che fa di ogni cosa un nulla, privo di significato e quindi bene interscambiabile. L’idolatria è l’altra faccia della medaglia su cui è rappresentata la cinica violenza di distruzione dei beni in una spietata iconoclastia: l’idolatria produce la stessa distruzione dell’idolo, quando l’uomo verifica la sua inadeguatezza e, quindi, lo distrugge e lo cambia in un altro idolo. Come si passa da un bene all’altro, così si passa anche da un luogo all’altro, come i ragazzi al sabato sera, in modo da riempire quelle lunghe ore della notte che si vorrebbero interminabili, ma che non si sa come trascorrere.

Potremmo essere tentati di autoescluderci da questi tentativi di assopire l’animo, pensando che droghe, alcool, moltitudini di piaceri riguardino forse altri, non noi. Forse non siamo, però, immuni dalla più comune delle smemoratezze, da quella borghesizzazione della vita, da quel desiderio di una «vita tranquilla» che ci lascia pensare che noi abbiamo già compiuto il nostro dovere, perché abbiamo lavorato ed è, quindi, giusta e meritata la serata di pura dimenticanza, come la vacanza del dolce far niente dopo un anno in cui le giornate sono state saturate dal lavoro e dall’iperattività. È la condizione del gregge, descritta da Leopardi nel «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia», un gregge che può oziare senza sentire il pungolo della noia, senza avvertire che siamo nati per Altro, per una felicità piena. Il gregge siamo tutti noi quando soffochiamo le domande sulla vita, quando preferiamo il quieto vivere, quando pensiamo nell’intimo del nostro cuore (senza magari osare confessarlo) che tanto la felicità vera non esiste e che convenga, quindi, godersi la tranquillità senza chiedere di più dalla vita, dagli amici, dal rapporto con la moglie o la fidanzata. Il monito di Dante è, però, severo e risuona nelle nostre orecchie attraverso la voce di Ulisse: «Fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza».

Omofobia, il braccio violento della legge

Omofobia, il braccio violento della legge

di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Padova,

Ci sono quelli come Barilla che la lezione sull’omosessualità e la parità di genere l’hanno capita tardi e quindi devono essere successivamente rieducati tramite pubbliche scuse e strategie aziendali “inclusive”. Poi ci sono quelli che non difendono a spada tratta la famiglia naturale, però anche in loro albeggia qualche dubbietto sul fatto che due maschi possano “sposarsi” o avere un bambino. Per costoro e in ossequio al noto adagio che è meglio prevenire che curare la comunità omosessuale sta studiando dei percorsi formativi ad hoc.

Presso l’Università di Padova infatti è al via un progetto didattico chiamato “Tuttidiversi”, progetto – così si legge sul sito ufficiale – “realizzato da studenti ed ex studenti con l’associazione Antéros LGBTI Padova ed il contributo dell’Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario (ESU)”. Il percorso si snoderà attraverso cinque incontri, iniziati il 14 novembre scorso e che si concluderanno il 12 dicembre. Le tematiche affrontate riguarderanno le “discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, a partire dalle quali si discuterà di lavoro, migrazioni, disabilità, famiglie, inclusione sociale, politiche locali e diritti di coppie e singoli, transessualità”. In particolare si parlerà di discriminazione “nei luoghi di studio, di lavoro e nelle amministrazioni pubbliche” e “negli ambienti sportivi”. L’omofobia è davvero democratica, riguarda tutti e tutto.

Inoltre troviamo nella locandina anche il titolo di un altro incontro: “Migranti LGBT: quali diritti e quali opportunità?”. Non serve la sfera di cristallo per intuire che in quella conferenza si illustreranno gli espedienti amministrativi perché un “matrimonio” gay celebrato all’estero o un’unione omosessuale riconosciuta fuori dall’Italia possa recare qualche vantaggio giuridico anche qui da noi. Poco sotto Natale il ciclo di incontri si concluderà con “Pluralità delle forme di famiglia”. Lasciamo all’intuito del lettore immaginare di cosa si possa trattare.

“ll percorso è patrocinato da Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri)” – lo stesso ufficio che mise a punto per il Dipartimento Pari Opportunità un documento strategico per la diffusione in Italia del credo omosessualista – e trova sostegno nella famigerata Rete Lenford (associazione Avvocatura per i diritti Lgbt). Rete che poi è stata finanziata dall’Ordine degli Avvocati di Verona per mettere in piedi il prossimo 22 novembre il convegno dal titolo “Orientamento sessuale e identità di genere nella professione e nella previdenza forense”. Davvero il tema dell’orientamento sessuale può essere appiccicato a qualsivoglia tema che viene in mente: dalle previsioni meteo alla celiachia.

Torniamo al progetto che vede interessata l’università di Padova. Desta sorpresa che tra le qualifiche dei relatori non ci sia nemmeno un docente di ruolo: né un ricercatore, né un professore associato o ordinario. Eppure le porte del prestigioso e serioso ateneo patavino, che ha visto come studenti nomi come quello di Copernico e come docenti Galileo Galilei, si sono magicamente aperte a questo ciclo di incontri. Chissà come avranno fatto nonostante il livello accademico dei relatori non sia elevato. Certo, il gol è stato fortunoso, non ha centrato la rete direttamente, tanto è vero che il luogo dove si svolgeranno gli incontri è il Dipartimento di Scienze Chimiche che con l’omosessualità c’entra come Osama Bin Laden con la pace nel mondo. Non sociologia o giurisprudenza o psicologia, ma chimica. O forse questo dipartimento invece è il luogo più consono. I movimenti omosessualisti infatti tentano con gli alambicchi della propaganda ideologica del gender di inventarsi l’uomo nuovo: neutro nel suo orientamento sessuale fintanto che il soggetto non deciderà in merito.

Iniziative come queste non sono nuove. Lo scorso anno l’Università degli Studi di Milano elargì la bella sommetta di 4.000 euro per un ciclo di conferenze e cineforum organizzato dal gruppo studentesco Gaystatale. A titolo di cronaca: le iniziative proposte dall’Associazione “Erasmus Student Network” – un rete tra studenti che studiano all’estero – non ricevettero un becco di un quattrino perché – così si legge nel verbale del Consiglio di amministrazione – “tali progetti non rientrano nelle finalità indicate nell’avviso agli studenti”.

I soldi pubblici donati al gruppo Gaystatale furono spesi anche per stampare il manifesto che pubblicizzava questi incontri, manifesto che ritraeva Benedetto XVI truccato da donna: un papa drag queen. D’altronde la parola “omofobia” ormai è usata da tempo e da molti, invece il termine “cristianofobia” è un neologismo che non ha diritto di essere proferita dalle labbra di nessuno.

Di queste iniziative per educare le masse omofobe evidenziamo, tra gli altri, un aspetto in particolare. Il fine di tante iniziative culturali non è tanto quello di affermare che l’omosessualità sia una condizione normale. Bensì il fine è la rivendicazione che l’omosessualità sia naturale. Può sembrare un finezza linguistica, ma così non è. Se andiamo a verificare le modalità attraverso cui le lobby gay cercano di sdoganare l’omosessualità vedremo che l’aspetto dialettico-bellicoso è quello che la fa da padrone (ne sono testimonianza diretta i molti incontri sul tema a carattere critico boicottati con violenza da attivisti gay).

L’omosessualità non viene presentata come se fosse una bella giornata di Maggio. Non si esaltano gli aspetti positivi dell’omosessualità, invece si mettono sotto la lente di ingrandimento i conflitti sociali che essa provoca per mano di retrivi baciapile, le presunte istigazioni al suicidio e atti di bullismo, i nemici che vogliono attentare alla libertà individuale della persona omosessuale, le condotte discriminatorie, i diritti negati, etc. Si esalta la parte destruens, non quella costruens. L’approccio è sostanzialmente marziale, altro che gaio. In questo il movimento gay paga lo scotto delle sue ascendenze hegeliane e marxiste.

In altre parole questa strategia assai fosca che poggia sulla dinamica conflittuale tra due opposti inconciliabili è roba vecchia già vista con l’asserita, ma non provata, relazione violenta tra padroni e proletari, ricchi e poveri, nord e sud del mondo, maschi e femmine, donne e famiglia, scienza e religione. Ora tocca al conflitto tra “omosessuali ed eterosessuali”, categorie che nella realtà antropologica nemmeno esistono (la persona omosessuale è un eterosessuale latitante, ebbe modo una volta di scrivere il dott. Roberto Marchesini). E l’unico modo per risolvere il conflitto non è trovare un punto di convergenza, ma obbligare il nemico – l’uomo della strada che non sapeva nemmeno che qualcuno gli aveva dichiarato guerra – alla resa totale ed incondizionata.

Le iniziative benedette anche da alcune austere università pubbliche vanno dunque nella direzione di spingere la normalità ad esporre bandiera bianca perché poi sul campo di battaglia sventoli invece un altro tipo di vessillo: la bandiera arcobaleno del movimento gay.

Galles, centinaia di bambini abortiti per errore

Galles, centinaia di bambini abortiti per errore

di Gianfranco Amato da www.lanuovabq.it

Sono centinaia i bambini perfettamente sani che potrebbero essere stati abortiti per errore in un famoso ospedale di Cardiff, in Galles. Una storia che ha dell’incredibile e ancora più incredibili sono le reazioni di giudici e opinionisti, che hanno derubricato lo scandalo a semplice «errore» medico per quanto «sgradevole».

La vicenda ha cominciato a emergere lo scorso anno quando una donna di 31 anni, Emily Wheatley, incinta di nove settimane, con una gravidanza a rischio, si è recata all’University Hospital of Wales di Cardiff per un controllo. Dopo l’ecografia si è sentita dire che il suo bambino purtroppo era morto per cui si doveva procedere alla revisione della cavità uterina (raschiamento). Per questo intervento però la signora Wheatley decideva di andare in un altro ospedale, il Nevill Hall Hospital di Abergavenny, dove le hanno fatto un’ulteriore ecografia scoprendo che il bambino era ancora vivo e perfettamente sano.

Emily Wheatley è fortemente traumatizzata dalla situazione, ci pensa sua madre a sporgere immediatamente denuncia al Public Services Ombudsman for Wales, il difensore civico gallese per i disservizi pubblici. Segue un’approfondita inchiesta, i cui dati – riferiti nei giorni scorsi – si rilevano agghiaccianti. Si scopre, infatti, che presso l’University Hospital of Wales si applica fin dal 2006 un protocollo ormai superato dalle nuove linee guida emanate dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists per prevenire i margini di errori diagnostici degli aborti spontanei nel primo stadio della gravidanza. In pratica si usano ecografie addominali laddove è disponibile e consigliata l’ecografia transvaginale. In quell’ospedale nascono ogni anno seimila bambini, mentre si registrano tra i 600 e i 1200 aborti spontanei. Da qui la stima che le donne vittime di diagnosi sbagliate possano essere state centinaia.

Le conseguenze di questa incredibile vicenda appaiono, però, più surreali degli antefatti che le hanno generate. L’ospedale, infatti, si è semplicemente scusato imputando tutto ad un semplice «errore medico»; dovrà solo provvedere a cambiare immediatamente il metodo di accertamento delle condizioni del feto. La Wheatley, la cui figlia scampata all’aborto ha ora 8 mesi, è stata risarcita con la risibile somma di 1.500 sterline, mentre l’Ombudsman, Peter Tyndall, nel rapporto ufficiale se ne è uscito con una sortita dal tipico aplomb anglosassone: «Le donne a cui è stato recentemente diagnosticato un aborto spontaneo all’University Hospital of Wales, e a cui è stata conseguentemente praticata un’evacuazione uterina, troveranno tutto ciò estremamente sgradevole (“extremely disturbing”)».

Insomma, è stata compiuta una vera e propria strage ma tutto si risolve con delle scuse. Del resto, anche da noi in Italia il fatto non ha trovato alcuna eco. Il che non dovrebbe neanche sorprendere più di tanto vista la concezione che ormai sta diventando comune. Ricordiamo come non più di un mese fa Filomena Gallo e Gianni Baldini, rispettivamente Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente di Biodiritto Università di Firenze, abbiano dichiarato senza mezzi termini che «gli embrioni sono di proprietà della coppia» che li ha generati, e come tali nella loro piena e assoluta disponibilità, al punto da potersene disfare come meglio aggrada.

Di fronte a vicende come quella di Cardiff appare sempre più evidente come l’uomo moderno abbia perso il senso della ragione. Quando si giunge a teorizzare la reificazione dell’essere umano, considerandolo alla stessa stregua di un “prodotto”, di cui si può rivendicare la proprietà e persino distruggere con assoluta nonchalance – essendo semplice “cosa” –, allora tutto diventa possibile e accettabile. Anche la storia di ordinaria follia accaduta all’University Hospital of Wales.

Non può non venire alla mente, a questo proposito, il noto concetto di banalità del male di Hanna Arendt, un male che sembra trascendere ogni possibilità di comprensione e persino di attribuzione di responsabilità personale. La banalità del male in questo caso, oltre che nella tragedia dell’uccisione di centinaia di innocenti perpetrata presso il prestigioso ospedale gallese, sta anche nelle incredibili reazioni a quella strage: nessuna conseguenza concreta di carattere giuridico a livello di sanzioni, ma soprattutto l’assenza di qualunque sincero sentimento di umana compassione. A questo siamo ormai ridotti.