Il “disagio” nei confronti della politica e la mancanza di un’agenda chiara
Tratto da Il Foglio del 24 agosto 2010

Per Berlusconi cinque sono i temi su cui c’è da prendere o lasciare; per Fini gli irrinunciabili della politica sono almeno un paio, per Bossi solo il federalismo è sacro. In fondo è chiaro. Ma quando si arriva all’agenda politica dei cattolici la questione si fa complicata. Ci sono tre princìpi non negoziabili – vita, famiglia, educazione – poi esiste tutta una serie di temi più o meno irrinunciabili, che salgono o scendono sulla scala dei valori a seconda del momento, o di quale parte della gerarchia o del cattolicesimo politico prende la parola. Per il cardinal Bagnasco il federalismo fiscale non va bene, per monsignor Perego i rom non vanno espulsi; per tutti la posizione sui temi bioetici è dirimente per la scelta di chi votare. Molti cattolici teologicamente coscienziosi la pensano come Vito Mancuso sul clima da “Sodoma e Gomorra”, come l’ha definito Aldo Cazzullo sul Corriere, tra i padiglioni di Rimini inviteranno invece a non confondere morale e moralismo e chiederanno libertà di educazione.

Cazzullo ha parlato di “disagio dei cattolici”. Forse la chiave è un’altra. Per tutta l’età repubblicana la chiesa, come corpo gerarchico-sociale, è stata un elemento di stabilità politica, votata ad ammortizzare i conflitti più esasperati (basterebbero quelli tra sinistra e il mondo liberale in economia). Ha cercato equilibri e consentito compromessi, cercando di tenere la barra dei propri princìpi. Con altro stile, anche la stagione del ruinismo è sembrata in grado di imporre temi comuni e di ottenere risultati. Ora l’impressione è che la mancanza di un’agenda ben definita – o di una strategia interna condivisa – renda per la prima volta i cattolici qualcosa di più problematico per il paese. Nel Pd, aprono grane bioetiche e di rappresentanza; al Pdl, pongono questioni su immigrazione e welfare; alla Lega, oppongono tematiche solidali. Nella loro personificazione centrista, smontano lo schema bipolare; nella loro configurazione di moderati, frenano i riformismi più arditi. Non è facile per nessuno farli rientrare compiutamente in un programma di coalizione. Segno di libertà, certo, e lo spazio pubblico per la religione non è in discussione. Più che il riproporsi della “questione romana”, è che per la prima volta i cattolici in politica rischiano di trasformarsi in una piccola mina vagante, più portatrice di problemi particolari che luogo dove compensarli.