di Tommaso Scandroglio da www.lanuovabq.it

Scalfari

Ci auguriamo che a Papa Francesco non sia sfuggito l’articolo di Eugenio Scalfari pubblicato venerdì scorso su Repubblica perché ne va del suo ministero. Infatti in quattro colonne il fondatore di questo quotidiano disegna l’agenda degli impegni che il Pontefice dovrà onorare negli anni a venire. Anzi, Scalfari fa di più. Dato che con orgoglio rende noto che aveva azzeccato il nome che il futuro Papa avrebbe scelto per sé al momento della nomina a Vicario di Cristo – carta canta ci tiene a sottolineare – ormai si sente autorizzato a vaticinare – rectius: a vaticanare – con sicumera su come il Pontefice interpreterà il proprio mandato. E così ecco stilare quattro profezie.

Intanto il nome scelto. “Francesco” è la garanzia che la priorità pastorale andrà ai poveri e che il Papa più che successore di Pietro sarà il successore del poverello di Assisi. Ammesso e non concesso che le cose andranno in questo modo, sorge un dubbio: a quale povertà si riferisce Scalfari? La soluzione si trova un paio di pagine prima dove Repubblica scrive che Francesco “aveva fatto del pauperismo la sua regola”. Il pauperismo predica che non si può arrivare a Cristo se non attraverso l’abbandono di ogni bene materiale. I ricchi proprio perché ricchi sono persone non gradite in Paradiso. In realtà il pauperismo fu condannato sempre dalla Chiesa e mai insegnato né vissuto da San Francesco. Questi seguì con il voto di povertà il consiglio evangelico di non attaccarsi troppo con il cuore alle realtà materiali, scegliendo per se stesso  – e non imponendolo ad altri che non avevano seguito la sua strada – di spogliarsi di ogni cosa.

Seconda profezia: dato che nel suo saluto di mercoledì scorso Papa Francesco si è presentato ai fedeli come Vescovo di Roma e non come Sommo Pontefice, va da sé che la struttura gerarchica della Chiesa è destinata ad andare in soffitta. Il nostro così preconizza: “Si tratterebbe d’un mutamento epocale perché l’ ordinamento verticista della Chiesa tende a trasformasi in un ordinamento “orizzontale”; diminuirebbe il potere del papa e della curia, aumenterebbe quello dei Concili e dei Sinodi, cioè dei vescovi”. Questo nuovo Papa, continua Scalfari, sarebbe un primus inter pares e non più Vicario di Cristo sulla terra, un Papa che privilegerà la collegialità a discapito del suo munus di monarca. Non più Sommo Pontefice, ma “prete di strada” come lo ha battezzato il barbuto fondatore di Repubblica. Peccato che nel primo discorso che Papa Bergoglio ha tenuto ai suoi cardinali li abbia bacchettati severamente, ammonendoli a conformarsi a Cristo e non a Satana, solo come un Re si sentirebbe autorizzato a fare di fronte ai suoi sudditi.

Terza profezia. La pastoralità salirà al potere, perché ciò che importa è sfamare gli affamati e vestire gli ignudi, il resto è solo teoria, vuota dogmatica. Liberi quindi da qualsiasi vincolo precettistico si produrranno interessanti “conseguenze a grappolo: il celibato dei preti, il ruolo delle donne nella Chiesa” etc. Anche in questo caso la profezia, ancor prima che venisse enunciata, è stata smentita dalle primissime parole rivolte dal Papa al collegio cardinalizio. Un discorso non di carattere pastorale bensì dogmatico che ha fatto riferimento alla Verità cardine del cattolicesimo: fondare tutto su Cristo, la luce che si oppone alle tenebre di Satana. E poi come non rammentare le parole di ieri all’Angelus sulla verità di fede che Dio è amore misericordioso?

Infine l’aruspice Scalfari scrutando nella sfera di carta di Repubblica vaticina per la quarta volta: “Per il “prete di strada” […] non possono esistere principi non negoziabili se non quelli dell’ amore del prossimo e della carità”. Anche in questo caso duole ricordare alla Pitia di Repubblica che – come insegna Tommaso D’Aquino nell’opera “In duo praecepta caritatis” e così da sempre la stessa Chiesa –  dal duplice precetto di amare Dio e il prossimo scaturiscono, dal punto di vista morale, i Dieci comandamenti che sono la matrice da cui a loro volta germogliano i principi non negoziabili. Se ami il prossimo non lo ammazzi nel ventre della madre prima che venga alla luce. Se ami il prossimo non gli stacchi la spina sul letto di morte. Se ami il prossimo lo avverti che mettere su casa con una persona del suo stesso sesso farà cadere la casa sulla testa di entrambi.

L’operazione di divinazione compiuta da Scalfari e dai suoi compagni di cordata nelle pagine precedenti al suo pezzo sconta l’uso di criteri di giudizio impropri per leggere una realtà come quella della Chiesa che è sì nel mondo (aspetto temporale) ma non è nel mondo (aspetto spirituale).
Il progressismo marxista di Scalfari non può che spingerlo a incensare la povertà materiale. Il suo democraticismo e giacobinismo alla Rousseau non può che suggerirgli come unica forma di governo rispettabile la collegialità. Il suo storicismo alla Hegel o alla Benedetto Croce non può che restituirgli una visione prospettica del mondo appiattita sull’orizzontale, evirando ogni afflato trascendente, e in tal modo il vero Papa sarà solo quello che farà scavare pozzi in Africa e regalare preservativi in America Latina.

Aspetto infine curioso è che coloro i quali – come Scalfari – si fregiano di non avere fede poi parlano di realtà – la Chiesa e il Papa – nate per custodire la fede e confermare nella fede. Ma come si fa a parlare con competenza di una cosa che non si conosce in tutti i suoi aspetti di base? E’ come se l’ateo – cioè colui che non crede nell’esistenza di Dio – ci volesse spiegare come è fatto Dio. Non suona contraddittorio?