Il presidente dell’Aifa: «Oggi c’è uso incontrollato» Ancor più necessaria l’indagine parlamentare • Anche il ginecologo Antinori contro l’aborto chimico: ci sono più dolore, più infezioni, più sofferenza psicologica
di Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire dell’11 agosto 2009

Sull’opportunità che una commissione parlamentare indaghi  sulle modalità di applicazione della Ru486 nel nostro Pae­se si incentra il dibattito politico nato dopo l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) della pillola abortiva. A fa­re rumore sono le giustificazioni del presi­dente dell’Aifa Sergio Pecorelli che, per spie­gare la decisione dell’Agenzia, fornisce infor­mazioni allarmanti sull’attuale impiego del­la Ru486. E nonostante gli inviti ai parlamen­tari a non occuparsi di «un farmaco», le con­traddizioni delle scelte «tec­niche» sono apparse eviden­ti a diversi osservatori, politi­ci e non. In un’intervista apparsa do­menica sul Corriere della Se­ra

il presidente Pecorelli si schiera a fianco del presi­dente della Camera Gian­franco Fini nel ritenere inuti­le una commissione parla­mentare sulla Ru486: serve «solo se si vuole cambiare la legge 194». Pecorelli tende a presentare l’atti­vità dell’Aifa nell’approvazione della Ru486 quasi come quella di un notaio alle prese con un atto dovuto dalla procedura europea e di­segna scenari di grande pericolo che si corre­rebbero attualmente con l’uso poco control­lato della Ru486 da parte degli ospedali che la importano. Su Repubblica è l’oncologo Um­berto Veronesi a definire una «metodica me­no traumatica» per le donne l’adozione della pillola abortiva per interrompere la gravi­danza. Contesta entrambi il deputato udc Lu­ca Volontè: «La cocciuta e palese superficia­lità del presidente dell’Aifa è grave almeno quanto la ignorante malafede di Umberto Ve­ronesi. Sulla “kill pill”, sulla Ru486, c’è colpe­vole disinformazione e semplicioneria ideo­logica». Una posizione che vede d’accordo il ginecologo Severino Antinori (più noto per la sua attività nella fecondazione assistita): «Il presidente dell’Aifa, Sergio Pecorelli, si con­traddice. Prima parla di farmaco sicuro e poi di percorso tortuoso, psicologicamente diffi­cile da sopportare. Non ha specificato le con­seguenze, dovrebbe dimettersi». Quanto a Ve­ronesi «prende una cantonata», commenta Antinori: con la pillola abortiva ci sono «più dolore, più infezioni, più sofferenza psicolo­gica, più infertilità e aumento della morta­lità». «In Francia e in altri Paesi avanzati – con­clude – rispetto all’introduzione si è registra­to un calo nell’assunzione del farmaco, chia­ro segno che la pillola non è poco traumati­ca». Insiste Luca Volontè: «Un’indagine conosciti­va è già stata fatta alla Camera la scorsa legi­slatura. Nulla impedisce al Senato di attivare un’altra indagine conoscitiva, utile visti i nuo­vi casi di morte». E si potrebbe aggiungere u­tile viste le parole del presidente dell’Aifa, che ha denunciato aborti con la Ru486 avvenuti «in un auto­grill» o comunque «lontano dal presidio ospedaliero», in­dicando nella «importazione parallela, un fenomeno in co­stante lievitazione». Un dato che sembra in contrasto con quanto emerso dall’ultima Relazione al Parlamento sul­l’attuazione della 194, e che richiederebbe quindi ade­guata documentazione da parte dell’Aifa o delle Regioni. Infatti la Rela­zione ministeriale rileva che se nel 2005 era­no state solo 132 le interruzioni di gravidan­za con la Ru486 (erano iniziate la sperimen­tazione al S. Anna di Torino e l’importazione diretta a Pontedera), nel 2006 sono state 1. 151, scese poi nel 2007 a 1. 010. Così come curioso sembra che il presidente Pecorelli paventi – in caso di mancata approvazione dell’Aifa – il ri­corso all’arbitrato europeo da parte della Exelgyn, dando per scontato che l’Italia do­vesse soccombere: in realtà le autorità dei sin­goli Stati, in caso di procedure per mutuo ri­conoscimento (come è il caso della Ru486, in­trodotta a partire dalla Francia), hanno una li­bertà di manovra di adattare l’autorizzazione al diritto nazionale o negarla, che è invece as­sente nel caso in cui il farmaco sia stato ap­provato con la procedura centralizzata pres­so l’Emea (l’ente europeo sui farmaci). Caso mai, come ha rilevato domenica sul Sole-24 O­re il sottosegretario Eugenia Roccella, ora è la legge italiana che rischia di essere svuotata dalla pratica dell’aborto farmacologico, come accaduto in Francia, dove «si è cambiata la legge adeguandola alla nuova prassi».