Dall’occidente solo flebili voci di protesta
di Giuseppe Dalla Torre

Tratto da Avvenire del 30 dicembre 2009

Per quanto riguarda la libertà religiosa, l’anno 2009 si chiude con un pesante deficit. Secondo un recente studio, infatti, oggi nel mondo ben 7 persone su 10 non hanno libertà in materia di coscienza. Si tratta di un dato impressionante, il quale con la brutalità del reale straccia il velo che impedisce, a noi occidentali, di renderci conto di essere anche in questo tra i pochi privilegiati nel pianeta. Dato che per noi l’intolleranza religiosa è ormai memoria remota, siamo pigramente portati a ritenere che dappertutto sia ormai così. Invece non lo è, e di fronte alla crudezza dei dati ed alla drammaticità delle situazioni sottostanti, è necessario che prendiamo piena consapevolezza di un fenomeno che parrebbe antimoderno.

Di esso due sembrano, rispetto al passato, gli elementi salienti. Innanzitutto il suo costante aumentare nel corso degli ultimi anni, contro ogni previsione. Si tratta di un incremento dovuto a diversi fattori, tra i quali certamente la crescita ed il diffondersi come metastasi di forme di fondamentalismo intollerante, che portano ordinamenti statali un tempo paradigmati sui modelli valoriali delle democrazie occidentali a ripiegarsi progressivamente in forme illiberali, anche in materia religiosa. È il caso di molti Paesi di tradizione islamica. Ma non mancano anche altri fattori della crescita del numero di persone che, nel mondo, non godono di libertà religiosa: si pensi soltanto al fatto che tra i Paesi i cui ordinamenti prevedono più o meno intense limitazioni della libertà religiosa – che costituiscono oltre il 60 per cento degli Stati – si contano quelli a più alta concentrazione di popolazione mondiale, come la Cina e l’India. E si tratta di popolazioni in costante e consistente crescita.

Altro elemento che segna nel senso della novità rispetto al passato il fenomeno dell’intolleranza religiosa, è dato dai soggetti attivi delle diverse forme di persecuzione. Tradizionalmente violazioni della immunità della coscienza venivano dal potere politico, dagli Stati. Non a caso il diritto di libertà religiosa nasce, storicamente, nei confronti dei poteri pubblici e delle loro pretese di uniformazione dei sudditi alla religione ufficiale dello Stato. La questione si ripropone, oggi, per il confessionismo intollerante di alcuni Stati, in particolare nel mondo islamico, ovvero per l’ideologismo altrettanto intollerante di altri Stati, come la Cina, in cui i residui del marxismo ateo si miscelano con più antichi sentimenti nazionalistici, che inducono a guardare con diffidenza, ad esempio, al cristianesimo, in quanto ‘religione straniera’.

Ma oggi si deve prendere atto che in molte realtà l’attentato alla libertà religiosa, come  diritto individuale e collettivo, non viene dallo Stato ma da gruppi sociali, in genere espressione delle culture e delle religioni native. È il caso emblematico dell’India, Paese di grandi tradizioni e di grande civiltà, i cui ordinamenti sono senz’altro ispirati da valori democratici e riconoscono sicuramente quei diritti fondamentali di cui la libertà religiosa è parte. In questa grande realtà del mondo asiatico, infatti, cresce negli ultimi anni l’intolleranza religiosa, soprattutto verso i cristiani, da parte di gruppi di cittadini; a fronte di ciò si constata una debole reazione dei poteri pubblici contro le violenze private perpetrate per ragioni religiose.

L’Occidente ha alzato, di tanto in tanto, la voce di protesta a difesa del diritto di libertà religiosa, ma, diciamolo pure, con poca convinzione e poca forza. È solo per insensibilità, a causa dei veli di cui si parlava, o anche per il tarlo di un secolarismo antireligioso che lo consuma dall’interno?