Per le autorità il ventenne si sarebbe suicidato L’accusa: «Il decesso  dovuto alle torture subite»
Il giovane era accusato di aver dissacrato il Corano • Sul suo corpo i segni di percosse, documentati anche da alcune fotografie
di Stefano Vecchia
Tratto da Avvenire del 16 settembre 2009

La morte in carcere, nella notte tra lunedì e martedì di Fanish Masih, sta accendendo gli ani­mi dei cristiani del Pakistan, già sot­toposti negli ultimi mesi a pressioni e attacchi, anche sanguinosi.

Il cristiano, appena ventenne era sta­to arrestato il 12 settembre, il giorno dopo che una folla di musulmani a­veva assaltato e incendiato l’edificio che serviva per le celebrazioni dei ri­ti cristiani – protestanti ma a volte anche cattolici – nel villaggio di Jaithikey, presso la popolosa città di Sialkot, nel Punjab. Per la polizia, la morte di Fanish sarebbe suicidio, ma per alcuni, sarebbe invece un omi­cidio. Dura l’accusa Nadeem Anthony, membro della Com­missione pachistana per i diritti umani, che in un’intervista all’a­genzia AsiaNews ha definito «in­sensata» la versione della poli­zia, secondo cui «il giovane si sa­rebbe impiccato in carcere».

Proprio lunedì i giudici avevano confermato il provvedimento di custodia cautelare a carico di Fani­sh, 20 anni, accusato da parte mu­sulmana per avere dissacrato, strap­pandola dalle mani di una giovane del villaggio e gettandolo al suolo, un fascicolo con brani del Corano. Nei fatti, probabilmente un episo­dio nata da una relazione contra­stata tra i due giovani, che è stata pretesto per un nuovo episodio di violenza anticristiana. Fanish, si era reso in un primo momento irrepe­ribile, mentre il padre era stato fer­mato. Il giovane, rintracciato il gior­no successivo, era stato trasferito nel carcere distrettuale di Sialkot per es­sere interrogato. Ieri mattina, riporta ancora Asia News, i secondini hanno trovato il corpo del giovane privo di vita e con i segni di ferite. Questa circostanza ha portato la Commissione pachi­stana per i diritti umani a parlare di torture che avrebbero causato il de­cesso. «Sono visibili – ha aggiunto Nadeem Anthony – i segni delle per­cosse e delle ferite sul corpo, regi­strate da alcune fotografie», non compatibili con la tesi dello stran­golamento per impiccagione.

Due giorni fa, la Commissione na­zionale Giustizia e Pace aveva e­spresso «grande preoccupazione» per l’aumento dei casi di violenze contro le minoranze religiose in Pakistan: otto quelle organizzate contro le comunità cristiane e mol­ti i casi isolati dall’inizio dell’anno. Ultimo caso, il 12 settembre, quan­do una folla guidata dal leader reli­gioso locale, ha attaccato un inse­diamento cristiano a Orangi, nei sobborghi della grande metropoli meridionale di Karachi. Qui, un cri­stiano quarantenne è sfuggito al lin­ciaggio solo per l’intervento della polizia. A scatenare la rabbia dei mu­sulmani verso la piccola comunità cattolica locale, costretta alla fuga, ancora una volta l’accusa di blasfe­mia sufficiente, secondo il codice penale pachistano, per comminare pene severe e sovente pretesto di e­secuzioni sommarie.

Un problema che comincia a preoc­cupare anche il nostro Paese. Ieri la questione «della difesa del diritto di fede e della tutela delle minoranze religiose» è stato sollevato dall’Italia durante la riunione dei ministri de­gli Esteri della Ue, a Bruxelles. Co­me ha riferito il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, la rappre­sentanza del nostro Paese ha «fatto riferimento ai fatti recentemente av­venuti in Pakistan ed abbiamo chie­sto alla Ue un’azione incisiva, se non altro in termini di linguaggio, sulla ri­soluzione che apparirà all’assem­blea generale dell’Onu intitolata: “E­liminazione di ogni forma di intol­leranza e di discriminazione fonda­te sulla religione o sul credo”».