Ankara strumentalizza il conflitto israelo-palestinese in chiave antioccidentale per guidare il nuovo fronte islamico e riconciliarsi col mondo arabo
Alexandre Del Valle (Geopolitico)

Come la Turchia vuol diventare il leader del mondo islamico e riconciliarsi con gli ex-nemici arabi?

Risposta: Strumentalizzando la causa palestinese e diventando il leader dell’antisionismo

E in questo ambito di nuovo scacchiere mondiale, di crescita dei paesi emergenti e di intensificazione dell’Odio (o “rissentimento revanscista”) contro l’Occidente che bisogna analizzare la recente evoluzione anti-israeliana del Primo Ministro turco Recep Taiyyp Erdogan, del Presidente Abdullah Gül e del suo partito di Governo della Giustizia e dello Sviluppo (AKP).

Bisogna ricordare che per l’AKP, l’alleanza con la NATO e Israele sono state imposte dalla guerra fredda e dai militari laici kemalisti. Il governo neo-islamico non ha mai accettato l’alleanza con Israele imposta dai militari kemalisti. Dall’operazione Piombo Fuso a Gaza in poi, Erdogan ha regolarmente criticato Israele. Fino a chiedere il suo bando dall’Onu. Il raffreddamento nei suoi confronti si è manifestato anche con il recente rifiuto a farsi aiutare dopo il recente terremoto nella provincia di Elazig (Turchia orientale, 41 morti). La nuova strategia nazionale, regionale e internazionale della Turchia è quindi basata sulla necessità di “riconciliare” Ankara con il suo vicinato islamico. Questa nuova strategia panislamica concepita da Ahmet Devatoglu (nato a Konya, in Anatolia centrale), deve permettere alla Turchia di aumentare la sua “Profondità strategica”, titolo di un suo libro. Una profondità strategica che impone di bilanciare l’alleanza israeliana “maledetta” con un’alleanza “fraterna” con i vicini islamici, specialmente l’Iran o la Siria, ma anche “la strada araba” in generale. Ed è chiaro che il miglior modo di sedurre gli Arabi, tradizionalmente diffidenti nei confronti dei Persi iraniani e dei Turchi, è di strumentalizzare la “causa delle cause” per gli islamici e i “Rossi-Verdi-Neri” in generale : la Causa palestinese.

Da quando il partito AKP è al potere, le numerosissime manifestazioni di solidarietà con il « popolo martire palestinese » e le massicce dimostrazioni organizzate dai militanti islamisti turchi per protestare contro la guerra a Gaza o il “genocidio dei palestinesi” hanno dimostrato che la strumentalizzazione dell’antisionismo adottata da Erdogan nelle sue enesime dichiarazioni pro-Hamas e anti-israeliane sono utili sia per motivi di politica interna e elettorato, sia per consolidare la nuova immagine della Turchia neo-ottomana, islamica e post-ottomana nel mondo arabo e nel Dar al Islam in generale. Infatti, le dichiarazioni violenti dei leaders turchi come Il Primer Recep Taiyyp Erdogan contro Israele e i suoi dirigenti, “colpevoli di un genocidio contro i palestinesi” li hanno permesso, dall’inverno 2008-2009 ad oggi, di riguadagnare una popolarità in Turchia e in tutto il mondo islamico a arabo. Questo nuovo schieramento anti-israelismo e pro-palestinese, essenzialmente verbale ma significativo di un cambiamento di mentalità, ha permesso alla Turchia post-kemalista, di solito considerata dagli Arabi come « traditrice » (a causa dell’alleanza con lo Stato ebraico e della laicizazione imposta da Atatürk), di apparire “islamicamente corretta”. Dalla guerra di Tsahal contro Hamas a Gaza (inverno 2008-2009), le diverse crisi israelo-turche provocate da Erdogan e dall’AKP, hanno permesso al Primer turco di dimostrare agli elettori musulmani turchi che hanno votato l’AKP e agli Stati musulmani pro-Hamas nuovamente “amici” (Siria, Iran), che la nuova Turchia gestita dagli islamici non è più quella anti-araba, laica, filo-israeliana e “tradittrice” di prima. Questa volontà turca di diventare il leader del mondo islamico strumentalizzando l’antisionismo e l’antioccidentalismo e schierandosi sempre di più con i paesi del Nuovo Asse anti-occidentale o Non-Allineato (BRIC, OCI, OCS e Non-Allineati), spiega quindi la violenta reazione della Turchia nei confronti di Israele per il blitz condotto dalla sua Marina contro la Freedom Flotilla, nel quale sono rimasti uccisi nove attivisti turchi membri di un’associazione islamica IHH, conosciuta per il suo pieno sostegno al movimento Hamas. E ovvio che nel patrocinare questa organizzazione e nel monopolizzare l’attenzione mediatica internazionale e islamica esigendo la fine del blitz contro Gaza e gritando teatralmente che la Turchia “non perdonerà mai Israele colpevole del genocidio del popolo di Gaza”, Erdogan e il presidente turco Gül hanno marcato molti punti e sono già diventati di fatto i leader del mondo arabo. Per finire questo cantiere, la prossima tappa sarà la rottura con Israele.

Ricordiamo che in Turchia, il 60 per cento dei cittadini interrogati di recente in un sondaggio condotto dalla MetroPOLL Research Company, dichiara che Ankara “avrebbe dovuto mostrare una reazione ancora piu’ forte nei confronti di Israele”…

Quelli che credono che la perspettiva europea di Ankara è una garanzia di “occidentalizzazione” e di rifiuto dell’islamismo radicale commettono quindi un’errore grave di analisi. Al livello internazionale, i leader dell’AKP vedono nell’adesione turca alla UE un’occasione di sostituire la compromettente alleanza israelo-americana con quella, più filo-musulmana dell’Unione europea. I dirigenti di Ankara vogliono cosi dimostrare alla loro base filo-palestinese che con la richiesta d’adesione all’Unione (ma anche col riavvicinamento all’Arabia  saudita, all’OCI e alla Siria) saranno meno dipendenti dei Satana “americano-sionisti”. L’evoluzione recente della diplomazia turca, sempre meno filo-occidentale e più schierata con il mondo islamico, la causa palestinese, la Russia e i paesi emergenti del Sud e d’Asia, è un esempio emblematico di questa nuova realtà globale geostrategica