di Riccardo Cascioli

“Ogni anno in Italia muoiono per smog xxxx persone”. Quante volte abbiamo letto e ascoltato questa notizia? Non a caso però abbiamo messo”xxxxx” al posto del numero, perché ogni volta i dati sono diversi e anche difficilmente conciliabili.

Partiamo ad esempio dal 2005: il 13 gennaio un dispaccio dell’Ansa ci avverte che ogni anno in Italia ci sono “diecimila morti per colpa dell’inquinamento”.  Si trattava di un’indagine (Mesa-2, “pubblicata come supplemento della rivista ‘Epidemiologia e& Prevenzione’”) compiuta in quindici città italiane, mettendo “in correlazione giorno per giorno per sei anni mortalità e ricoveri delle 15 città italiane più popolose con gli andamenti delle centraline che monitorano i principali inquinanti per tutto il periodo 1996-2002”. Il dato di 10mila morti è la proiezione sulla popolazione totale della mortalità riscontrata nelle città campione, tra cui  Napoli, Roma e Milano risultano le più a rischio.
Passano pochi mesi, siamo al 23 giugno, e il quotidiano Repubblica ci informa che secondo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Italia muoiono 106 persone al giorno, circa 39mila l’anno, e in generale l’inquinamento atmosferico costa agli italiani in media 9 mesi di vita. Un dato che ricalca quello reso pubblico nel febbraio precedente dalla Commissione Europea, che calcola in 310mila le morti per inquinamento in Europa: peggio di tutti sta la Germania con 65 mila decessi all’anno. L’Italia è seconda, appunto con 39mila.
Passa poco più di un anno – è il 19 settembre 2006 –  e i morti per inquinamento in Italia scendono a 9mila l’anno: “8220 muoiono in media per effetti a lungo termine delle concentrazioni eccessive di materiale particolato (Pm10) e 516 per le eccessive concentrazioni di ozono”. Curiosamente la fonte delle nuove cifre – decisamente discordanti con quelle precedenti – è ancora l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che questa volta ha redatto un rapporto per l’Apat (l’agenzia nazionale per l’ambiente) basandosi sui dati relativi a 13 città italiane con oltre 200mila abitanti, raccolti tra il 2002 e il 2004. Ad ogni modo, se facciamo un raffronto con l’analoga ricerca del 2005, di cui abbiamo parlato in precedenza e riferita al 1996-2002, scopriamo che c’è un miglioramento di oltre mille morti l’anno.
Andiamo avanti ancora pochi mesi: 23 febbraio 2007, i morti per l’inquinamento atmosferico per l’Italia scendono a 3500. Lo dicono gli Amici della Terra, citando i dati dell’Apat e – guarda un po’ – del Centro Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ma non è finita. Facciamo un salto più lungo e arriviamo ai nostri giorni: il 26 gennaio 2010 è il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, a presentare un dossier su “Le polveri assassine” e ci dice che in Italia muoiono 20 persone al giorno per inquinamento atmosferico, 7400 l’anno. E i dati, neanche a dirlo, provengono dal Centro Ambiente e Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Cosa dire davanti a queste cifre? Come minimo, che andrebbero prese con le molle. Come è possibile passare in pochi mesi da 10 a 39mila, per poi scendere a 3500 e quindi risalire a 7400? E oltretutto ogni volta si sparano numeri per lanciare allarmi, senza neanche prendere in considerazione quanto affermato pochi mesi prima. Come a dire che l’importante è creare la sensazione dell’emergenza, se poi i dati corrispondono alla realtà o meno, poco conta: il problema comunque c’è e giustifica l’allarme.

Noi crediamo invece  che i numeri contino, e vadano presi sul serio per capire la reale portata dei problemi.  E da questo punto di vista un certo giornalismo – scientifico o meno – non rende certo un servizio alla verità e al bene comune. Prendendo il caso dell’inquinamento atmosferico, nessuno dice che non ci sia o che l’aria delle grandi città sia salubre, ma non si possono nemmeno confondere fattori di rischio con la causa della morte, come si usa fare in questo caso. Dire che l’inquinamento è causa aggravante di certe patologie è diverso dal sostenere che c’è una relazione diretta – un rapporto causa-effetto – tra inquinamento e morte. Altrimenti, quando si sostiene che a Milano ogni giorno muoiono tre persone per inquinamento, bisognerebbe essere anche in grado di fare nomi e cognomi.

Inoltre bisogna prendere in esame tutti i fattori che contribuiscono a una situazione. Sempre rimanendo sull’inquinamento, se fossero veri certi allarmi riguardo alle grandi città, a cominciare da Milano,  dovremmo poterli verificare ad esempio con una diminuzione dell’aspettativa di vita. E invece cosa scopriamo? Che a Milano l’aspettativa di vita è più alta della media italiana: nel 2007, ultimo dato disponibile, l’aspettativa di vita delle femmine alla nascita era a Milano di 84,78 anni contro gli 84,04 nazionali; per i maschi di 79,54 contro i 78,67 (fonte Istat). Risultati analoghi si ottengono per le altre grandi città del nord Italia. E l’aspettativa di vita, oltretutto, è in costante crescita, in barba a chi sostiene che nelle città va sempre peggio. Dovessimo seguire il ragionamento di coloro che lanciano continuamente allarmi, isolando il fattore “aspettativa di vita” dovremmo sostenere che l’inquinamento fa bene alla salute.

Ma così non è: la questione vera è considerare tutti i fattori della realtà. In altre parole: l’inquinamento è anche l’effetto di un modo di vivere che permette di avere attività economiche che ci consentono di vivere bene e a lungo: mangiare, vestirci, vivere in appartamenti riscaldati così da non morire di freddo, curarci, spostarci in sicurezza e così via. Questo spiega perché, malgrado l’inquinamento, la vita media è più alta della media nazionale, e anche perché la gente continua a vivere e spostarsi in realtà urbane piuttosto che fuggire in aree rurali.  Oltretutto si dovrebbe riconoscere che l’inquinamento atmosferico già da decenni è in costante e significativo calo e che, mantenendo questo livello di sviluppo, lo sarà ancora nei prossimi anni.

Quindi, continuiamo pure a lavorare per abbattere il più possibile l’inquinamento, ma senza isterismi e allarmi infondati che servono solo a ritagliarsi spazi politici e a finanziare associazioni e partiti che pretendono di essere i salvatori del pianeta.