Intervento del Segretario generale della Cei al convegno “Testimoni digitali”

ROMA, giovedì, 22 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Più che le nuove tecnologie, ci sta a cuore l’uomo; e se ci misuriamo con esse, lo facciamo nella consapevolezza di quanto concorrano a tratteggiare le coordinate della storia e della cultura, fino a diventare l’ambiente in cui ci muoviamo e come l’aria che respiriamo”: è questa, secondo mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), la chiave interpretativa del convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale” che si è aperto giovedì a Roma otto anni dopo “Parabole mediatiche”.

“La sollecitudine per il bene dell’uomo e della società – ha affermato Crociata rivolto agli animatori della comunicazione e della cultura riuniti all’Hotel Summit – è dunque alla base di questo nostro convenire da tutto il Paese per riflettere insieme sulle frontiere aperte dalla tecnologia digitale”.

“Non è nostra intenzione – ha sottolineato il segretario generale della Cei facendo eco alle affermazioni di Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali – «occupare il web», quanto piuttosto offrire anche in questo contesto la nostra testimonianza per alimentare la cultura e quindi contribuire alla costruzione del futuro del Paese”.

In che modo? Evitando di “demonizzare il nuovo” così come di “considerare obsoleto o inutile il patrimonio di cultura che ci portiamo sulle spalle” e valorizzando “lo straordinario potenziale costituito dalle nuove tecnologie” con l’impegno ad “introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo ed informativo i valori su cui poggia la nostra vita”.

Nell’affrontare questa sfida giunge in soccorso il cammino già compiuto nella Chiesa italiana nello scorso decennio sulla scorta degli Orientamenti pastorali “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” che sottolineavano il ruolo delle nuove tecnologie di comunicazione e che hanno portato alla pubblicazione del “Direttorio sulle comunicazioni sociali”.

Il segretario generale della Cei ha quindi ricordato il contributo dei diversi strumenti sostenuti dalla Chiesa italiana nel campo della comunicazione: il circuito radiofonico “InBlu”, l’emittente televisiva “Tv2000”, il quotidiano “Avvenire”, l’Agenzia di notizie “Sir” e le 180 testate che fanno parte della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc). A questo si aggiungono i numerosi siti Internet di ispirazione cattolica e l’azione formativa, anche a distanza, per gli animatori della cultura e della comunicazione.

“Se queste iniziative sono rilevanti – ha sottolineato Crociata -, l’ambito che ci sta maggiormente a cuore rimane comunque quello locale”. È sul territorio, infatti, che “la figura dell’animatore della cultura e della comunicazione è chiamato a muoversi da un lato verso chi è già impegnato nella pastorale, al fine di aiutarlo ad inquadrare meglio il suo operato nel nuovo contesto socio-culturale dominato dai media, dall’altro nell’aprire nuovi percorsi, attraverso i quali raggiungere persone ed ambiti spesso periferici, quando non addirittura estranei alla vita della Chiesa e alla sua missione”.

“La presenza di mezzi di comunicazione promossi esplicitamente dalla comunità ecclesiale, infatti – ha ribadito Crociata citando il ‘Direttorio sulle comunicazioni sociali’ non deve essere intesa in alternativa ad un impegno negli altri media, con i quali, anzi, si avverte l’esigenza di intensificare il dialogo e la collaborazione”.

Il segretario generale della Cei non ha nascosto i ritardi della Chiesa nell’affrontare la sfida del mondo digitale, sottolineandone espressamente due.

Innanzitutto “l’autoreferenzialità del linguaggio”, “quasi di nicchia”, in un contesto culturale che “è cambiato profondamente e che ci porta a confrontarci con una generazione che, quanto a formazione religiosa, non possiede ormai più il nostro vocabolario”. Una generazione di “nativi digitali”, ha ribadito Crociata, che “non si pone contro Dio o contro la Chiesa, ma che sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa”.

Ne deriva che “l’impegno di coltivare una nuova alfabetizzazione va portato avanti con la consapevolezza che non si tratta semplicemente di sviluppare una vicinanza empatica alle tecnologie digitali, quanto di essere presenti anche in questo ambiente con modalità che non disperdano l’identità cristiana, l’eccedenza rappresentata dal Vangelo”.

“Deve starci a cuore – ha affermato Crociata citando nuovamente Benedetto XVI – più che la mano dell’operatore, un cuore credente”.

La seconda difficoltà, per il segretario generale della Cei, è quella di “mettere a fuoco, all’interno dei piani pastorali delle nostre diocesi, un progetto organico per le comunicazioni sociali, che integri queste ultime negli altri ambiti”.

Va abbandonata l’idea di “considerare la comunicazione come un ulteriore segmento della pastorale o un settore dedicato ai media, per intenderla invece come lo sfondo per una pastorale interamente e integralmente ripensata a partire da ciò che la cultura mediale è e determina nelle coscienze e nella società”.

E’ giunto il momento, per Crociata, di “scongelare veramente la figura dell’animatore della cultura e della comunicazione, figura sulla quale finora si è investito ancora troppo poco o comunque con scarsa convinzione”.

“In una pastorale concepita come azione a tutto campo, e non solo tra le mura ecclesiastiche” vanno intercettate quelle persone che “per impegni professionali o altri motivi non possono operare in parrocchia, ma volentieri darebbero il loro contributo se l’impegno fosse maggiormente collegato alle proprie competenze e gestibile con elasticità”. Occorre scongiurare il rischio che “doni e carismi restino inutilizzati per la scarsa attenzione prestata ai settori della cultura e della comunicazione”.

“Compito a casa” per tutti i partecipanti al convegno sono “un linguaggio credente ed un progetto organico per le comunicazioni sociali sul quale applicarsi fin dal nostro ritorno”. Queste sono, altresì, “le condizioni per elaborare una strategia comunicativa missionaria, che sia capace di coinvolgere tutti gli ambiti pastorali e di incidere sulla cultura della società”.

“Sarà questa – ha concluso Crociata – la sfida del decennio che inauguriamo, non a caso incentrato sull’educazione”.