Dal Vangelo secondo Marco 2,18-22.

Ora i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno. Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi». 

IL COMMENTO di don Antonello Iapicca

Amore e libertà. I discepoli di Gesù non digiunano come gli altri. I discepoli di Gesù digiunano per amore, in libertà. Il digiuno cristiano non è solo una pratica pia, un segno religioso in vista d’una purificazione. Il digiuno dei discepoli di Gesù è memoria. E’ inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno. E’ una condizione essenziale dell’esistenza, digiunare è vivere in pienezza la vita terrena. Che è già e non ancora. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non lo è in pienezza, perchè essa è riservata al Cielo. La terra è ancora un cammino, passi che si susseguono verso il Cielo, e la mancanza e il desiderio di pienezza si acuiscono all’avvicinarsi della meta.
Le nostre nozze con il Signore sono certo indissolubili, eppure vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto. Allora la nostra vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata. E’ il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna nell’attesa del compimento. La Chiesa che vive del Memoriale del suo Signore, l’eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo. Per Lui getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere, per Lui digiuna, perchè Lui è la sua vita. La Chiesa che nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza:  Maràn athà, che afferma la certezza che il Signore nostro viene, ma che si può leggere anche marana tha, Signore nostro, vieni! E’ la parola che chiude la Scrittura: “Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap. 22,20). Il digiuno è il nostro Maràn athà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l’attesa fatta preghiera, perchè lo Sposo torni presto per portarci con Lui, verso il posto che ha preparato per noi. E’ lì che ci attende.
Gesù presentando il calice nell’ultima cena, ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così di quello di Gesù. Un digiuno che è una promessa. Un appuntamento d’amore, l’attesa di bere con Lui il vino nuovo del regno di Dio. Digiunare è spogliarci in attesa d’essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell’ansia del santo e castissimo amplesso, quell’amore eterno per il quale siamo stati creati. E’ la vita nuova, la novita’ di un rapporto autentico con Dio, non piu’ basato sul timore ma sull’amore. Un abito nuovo, il vino nuovo, una festa e un’allegria sconosciute che scaturiscono dall’amore.
Per questo il morire è meglio del vivere, e San Paolo e tantissimi altri cristiani hanno desiderato ardentemente il Cielo, Cristo. “Muoio perchè non muoio” diceva Santa Teresa d’Avila, e non era disprezzo della vita. Anzi, più si vive intensamente la vita più si desidera di addormentarsi per risvegliarsi in Cielo. Più la vita è perduta per amore, più forte è l’ansia d’un amore perfetto e definitivo. “Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo” (N. Kabasilas). Feriti dal dardo d’amore del loro Sposo i figli delle nozze vivono un’attesa di pienezza che nulla può colmare.
Il digiuno è dunque la condizione del cristiano. Quando la lontananza da una persona cara che vorremmo vicino e non c’è; quando dobbiamo vedere le persone amate dileguarsi e scomparire dall’orizzonte della nostra vita; quando forte è l’esperienza della frustrazione, e sforzi, progetti, speranze sembrano andare in fumo; quando le sofferenze, la precarietà, le malattie, la solitudine, i fallimenti, ghermiscono l’esistenza e non le lasciano proprio nulla cui appoggiarsi, nulla a dare consistenza alle giornate, al lavoro, agli affetti; quando le debolezze ci rivelano incapaci di dare vita alla nostra stessa vita; quando la Croce ci accoglie, spogli di ogni certezza, nell’esperienza dura di trovarci lontani dal paradiso, nudi e indifesi come Adamo ed Eva prostrati dalla fatica e dal dolore; quando tutto questo definisce senza sconti la nostra vita, il digiuno emerge quale condizione esistenziale autentica e ineludibile. Per questo in alcuni momenti, quando più intensa è l’esperienza della mancanza di pienezza e più viva è la consapevolezza che la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte, quando siamo incastrati sul legno della Croce, è “naturale” il digiuno, che è, essenzialmente, accogliere la storia così come Dio ce la dona. Cristo crocifisso infatti, appare come la feccia degli uomini, uno davanti al quale coprirsi il volto per non guardare; eppure, celato in quel “digiuno d’uomo” c’era Dio. Nessuno lo vedeva, al contrario, era lì come il peggiore dei bestemmiatori. Esattamente come appare la nostra esistenza, ferita, nuda, affamata; ma in essa è nascosto Cristo, carne della nostra carne, la sua Vita divina deposta come un seme nella nostra vita mortale, la pienezza incastonata nella precarietà e nella caducità.  

Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa non è così solo una pratica ascetica per “saziare” e ingrassare l’uomo vecchio che, spesso, fa anche della religione qualcosa di carnale. Digiunare è un’esigenza, un grido dalla Croce, l’eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: “Dio mio, Dio mio, Sposo mio perchè mi hai abbandonato?”. Il digiuno sono le lacrime che sperano il Suo amore. E’ questa l’ascesi, l’ascesa al trono di misericordia che sappiamo non deludere mai. Digiunare è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni. La fame che il digiuno suscita è la verità, la nostra realtà, quella dei nostri figli, dei giovani cui, troppo spesso, indichiamo percorsi diametralmente opposti, consegnandoli così alla menzogna di vanità che mai potranno realizzare le loro vite. E’ dovere ineludibile di ogni educatore e apostolo illuminare profeticamente la verità e indicare nel digiuno, nel sacrificio, nel combattimento quotidiano, l’unica via autentica per vivere e non sopravvivere.

Digiunamo allora, senza occhi smorti a ostentare chissà quale sacrificio. Digiuniamo così che sia distrutta l’ipocrisia; digiuniamo perchè il mondo stesso riceva un raggio di luce, il mondo che giace nelle tenebre della menzogna e dell’illusione, tra diete e idolatrie che fanno della qualità della vita, della salute e del benessere un feticcio cui prostrarsi adoranti, mentre i godimenti d’ogni genere cercano di colmare il vuoto pneumatico che definisce l’esistenza più profonda. Il digiuno è il cammino che svela la verità celata nelle apparenze. Potremmo dire che digiunare è come dipingere un’icona, un’immagine del destino promesso tra le pieghe delle vicende umane, le nostre, donate ad ogni uomo. Infatti, “Pavel Evdokimov ha indicato in maniera così pregnante quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un “digiuno della vista”. La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la gloria di Dio sul volto di Cristo” (J. Ratzinger, Messaggio inviato al Meeting di Rimini, 2002). La nostra vita è come un’icona che svela al mondo la Verità trasfigurata nella carne delle nostre storie quotidiane. Il digiuno è dunque parte essenziale della missione che ci è affidata, aprire il Cielo della speranza a questa generazione. Il qui e quest’ora, non sono il destino definitivo: ogni uomo è nato per il Cielo. Il nostro digiuno ne è un segno, per tutti.

L’icona dello Sposo

Beato Giovanni Paolo II, papa dal 1978 al 2005
Lettera Apostolica « Mulieris Dignitatem », § 23, 26 – Copyright © Libreria Editrice Vaticana

La Chiesa – Sposa di Cristo

Un’importanza fondamentale hanno le parole della Lettera agli Efesini: «E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga (…) Per questo, l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (5, 25-32)…

Il Mistero pasquale rivela fino in fondo l’amore sponsale di Dio. Cristo è lo Sposo perché «ha dato se stesso»: il suo corpo è stato «dato», il suo sangue è stato «versato» (cf. Lc 22, 19-20). In questo modo «amò sino alla fine» (Gv 13, 1). Il «dono sincero», contenuto nel sacrificio della Croce, fa risaltare in modo definitivo il senso sponsale dell’amore di Dio. Cristo è lo Sposo della Chiesa, come redentore del mondo. (…)L’Eucaristia rende presente e in modo sacramentale realizza di nuovo l’atto redentore di Cristo, che «crea» la Chiesa suo corpo. Con questo «corpo» Cristo è unito come lo sposo con la sposa. Tutto questo è contenuto nella Lettera agli Efesini. Nel «grande mistero» di Cristo e della Chiesa viene introdotta la perenne «unità dei due», costituita sin dal «principio» tra uomo e donna.

Odi di Salomone (testo cristiano ebraico del  2° secolo)
N° 2

«Lo Sposo è con loro»

(Col battesimo) mi sono rivestito dell’amore del Signore (Gal 3,27)…,
egli mi stringe a sé.
Non avrei saputo amare il Signore,
se lui stesso non mi avesse amato per primo.
Chi può capire l’amore,
se non chi è amato?
Abbraccio l’Amato e l’anima mia lo ama.

Dov’è il suo riposo,
là io mi trovo (cf Ct 1,7).
Non sarò più straniero;
l’Altissimo è  misericordioso.
Io sono uno con lui,
poiché lo Sposo ha trovato il suo amore.

Perché amo il Figlio,
divento figlio.
Sì, chi si unisce a Colui che non muore
sarà pure lui immortale.
Chi trova gaudio in Colui che è la Vita
sarà vivo a sua volta .

Questo è lo spirito del Signore che non mente,
e insegna agli uomini a conoscere le sue vie.
Siate saggi, comprendete e siate vigili. Alleluia!