Legittimo il nostro intervento su Tettamanzi: un sindaco contrario ai dogmi della fede. È giunto il momento di privilegiare l’amore per gli italiani prima di preoccuparci degli immigrati
di Magdi Cristiano Allam
Tratto da Il Giornale del 6 giugno 2011

Dobbiamo ringraziare Marco Tar­quinio, il direttore dell’ Avveni­re, l’organo della Conferenza episcopale italiana, per aver ieri additato il Giornale come la voce che più di altre si eleva contro l’asse Pisapia-Tettamanzi. È stato il nostro Mario Gior­dano a denunciare come, anche nel re­cente raduno religioso di 50mila cresi­mandi nello stadio di San Siro, l’arcive­scovo di Milano non abbia perso l’occa­sione per manifestare il suo sostegno po­litico al neo-sindaco, espressione della sinistra radicale favorevole all’aborto, all’eugenetica, all’eutanasia, ai matri­moni omosessuali, alla droga di Stato, ai centri sociali, alla mega-moschea, ai pri­vilegi ai rom e agli immigrati rispetto al­le istanze dei cittadini milanesi.

Fermo restando il nostro diritto alla li­bertà d’espressione anche su temi pret­tamente religiosi, è decisamente un no­stro dovere intervenire, persino severa­mente, nel momento in cui il cardinale Tettamanzi dismette l’abito talare color rosso porpora per indossare quello del militante politico a sostegno di Pisapia come ha fatto prima, durante e dopo le elezioni amministrative. Non perché io la consideri un’indebita interferenza, es­sendo assolutamente favorevole alla presenza della voce della Chiesa nella sfera pubblica quale laico e non laicista. Personalmente, sin da quando ero anco­ra musulmano, ho difeso il Papa Bene­detto XVI quando a Ratisbona e altrove ha manifestato dall’alto del suo magiste­ro la verità in libertà, assumendo delle posizioni che hanno inequivocabilmen­te una valenza politica che va oltre l’am­bito religioso, storico, culturale e socia­le.

Trovo pertanto di per sé sbagliato l’ap­proccio del giornalista Tarquinio che vorrebbe mettere il bavaglio ai colleghi che criticano Tettamanzi. Mentre consi­dero assolutamente legittimo il fatto che, nella sua veste di direttore dell’orga­no ufficiale della Cei, difenda le posizio­ni dell’arcivescovo di Milano, fermo re­stando il nostro diritto- dovere a conside­rare come non meno legittima la nostra critica, anche sferzante, per delle posi­zioni che non condividiamo nel merito e di cui ci rammarichiamo perché ci pre­occupa il disorientamento che il cardi­nale crea tra i fedeli cattolici schierando­si dalla parte di un sindaco che incarna delle scelte in flagrante contraddizione con i dogmi della fede cristiana, a comin­ciare dalla sacralità della vita.

Noi rivendichiamo il diritto-dovere a contestare l’asse Pisapia-Tettamanzi perché espressione di una concezione relativista della persona, della società, dell’identità e della fedeche consideriamo dannosa al punto da farci precipitare nel suicidio della nostra civiltà. Consideriamo ad esempio il tema ripetutamente evocato dell’accoglienza degli immigrati additato come fulcro della proposta sociale sia di Pisapia sia di Tettamanzi. Ma veramente il capital-comunista Giuliano Pisapia e il catto-relativista Dionigi Tettamanzi sarebbero più «ospitali», nel senso di essere favorevoli all’accoglienza degli immigrati, più di quanto non lo siano il cattociellino Roberto Formigoni e il laico-leghista Roberto Maroni? Assolutamente no!

La vera differenza, usando un’allegoria più che mai pertinente, è che dell’esortazione evangelica «Ama il prossimo tuo così come ami te stesso», il tandem Pisapia-Tettamanzi fa propria solo la prima parte «Ama il prossimo tuo» anche a scapito dell’amore per se stessi, mentre il tandem Formigoni- Maroni l’accetta nella sua integralità mettendo sullo stesso piano l’amore per il prossimo e l’amore per se stessi. Ebbene io dico che è arrivato il momento di avere la lucidità e il coraggio di privilegiare l’amore per se stessi, l’amore per l’Italia e per gli italiani, perché diversamente non potremo donare amore al prossimo in modo responsabile e costruttivo. La polemica è stata innescata sabato 4 giugno da Pisapia che ha accusato Formigoni di non essersi finora occupato della questione degli immigrati in fuga dalla sponda meridionale del Mediterraneo e di avere «abdicato al ruolo di regia politica della gestione di questa emergenza». «Milano – ha precisato Pisapia – deve tornare ad essere la città dell’accoglienza», mentre si faceva ritrarre esultante in compagnia di giovani africani alla festa «Living togheter» al quartiere Corvetto. Questa concezione di Milano la ritroviamo nelle parole di Tettamanzi lo scorso 23 maggio quando parlò della necessità che torni ad essere «Mediolanum che come terra di mezzo è da sempre un crocevia di popoli e quindi anche di fedi cui va garantita libertà di culto come prevede la Costituzione».

Questa Mediolanum di Tettamanzi corrisponde a una visione relativista della vita che culmina nell’abbraccio dell’identità mondia-lista: «A Milano bisogna riprendere a ragionare non da milanesi o da italiani, ma in termini di mondialità: che va considerata motivo di ricchezza. Non di paura». Che cosa è la mondialità evidenziata in un contesto identitario come distinta e come un superamento del nostro essere milanesi e italiani? È l’adesione a una identità a tal punto plurale dove noi finiamo per non aver più la certezza di chi siamo. Alla radice del conflitto vi è una concezione qualitativamente diversa della persona, della società, dell’umanità e della stessa vita. Per l’asse Pisapia- Tettamanzi il concetto di«accoglienza»si colloca nell’esaltazione ideologica dell’immigrazionismo, ossia nella considerazione comunque positiva dell’arrivo a casa nostra degli immigrati a prescindere da qualsiasi considerazione quantitativa o qualitativa.

Così come si inquadra nella prospettiva multiculturalista di Milano e dell’Italia dove noi siamo invitati ad azzerare le nostre radici, i nostri valori, la nostra identità e ci è richiesto di aderire a una nuova civiltà che si realizza con la sommatoria quantitativa delle istanze di tutti coloro che arrivano a casa nostra, piantano la loro tenda e dettano le loro condizioni. Ebbene noi non ci stiamo! Caro Tarquinio noi la pensiamo in modo qualitativamente diverso! Rivendichiamo il diritto-dovere di sostenere a viva voce che è arrivato il momento di rifondare l’Italia affrancandola dalla strategia massonica che ha ispirato l’unità d’Italia attraverso la guerra e la sottomissione dei popoli, riuscendo a scardinare la nostra anima al punto da farci immaginare oggi che sia addirittura positivo concepirci come una landa deserta per trasformarci in terra di occupazione dell’immigrazionismo, dell’europeismo dei banchieri e del mondialismo capital comunista. È arrivato il momento di far primeggiare l’Italia degli italiani occupandoci di noi italiani prima di preoccuparci degli immigrati; di privilegiare l’Europa dell’anima anziché dell’euro; di scegliere il mondo dell’essere, non dell’avere e dell’apparire!