È piuttosto normale che alla vigilia di una tornata elettorale importante le forze politiche si ricordino di parlare anche dei contenuti “forti”, ossia quelli che interessano realmente i cittadini nella loro vita quotidiana.

Anche se è altrettanto normale che sia difficile leggere proposte che siano all’altezza delle soluzioni reali che i cittadini attendono, ascoltando unicamente slogan e proclami tanto altisonanti quanto privi di contenuto. Comunque sia, il tema famiglia fortunatamente è e resta tenacemente al centro dei dibattiti.

Le forze politiche, infatti, sanno che la famiglia è la maggiore risorsa strategica presente nel nostro sistema sociale, e si preoccupano ansiosamente di corrispondere alle occorrenze espresse di continuo dagli elettori. È chiaro altresì che in questa delicata fase della nostra storia non è onesto promettere investimenti sociali che inevitabilmente avrebbero un costo insostenibile. Ciò è vero soprattutto perché il nostro Paese, vincolato dall’alto al Patto di stabilità europea si vede costretto a far fronte dal basso ad un debito pubblico di proporzioni macroscopiche.

Tuttavia, qualche piccola iniziativa è sempre possibile, magari operando indispensabili scelte dolorose.
Tutti gli italiani sanno che la famiglia è da tempo crudelmente abbandonata a se stessa nel sobbarcarsi ogni onere sociale immaginabile, educativo ed economico che sia, verso i giovani e verso gli anziani. Da questo punto di vista i progetti solitamente presentati si mostrano debolissimi, astratti e totalmente incoerenti.Generalmente il ragionamento è marginale e difensivo, presupponendo che si debbano prima ridurre le spese dello Stato affinché sia possibile poi “aiutare” le famiglie.
Il punto vero, viceversa, è un altro. Bisogna liberarsi dall’idea che è doveroso sostenere pubblicamente la famiglia solo quando si presentano delle difficoltà.

Un progetto politico serio in materia, infatti, non può accontentarsi di palliativi, deve guardare con precisione e risolutezza alla portata sociale e al capitale futuro garantito da famiglie stabili, laboriose e giovani, tesaurizzando il volume produttivo e l’aumento demografico che di lì possono venire.
Insomma, la famiglia attende di essere valorizzata nella sua efficienza potenziale, utilizzando tutte quelle facilitazioni e implementazioni economiche e legali solitamente riconosciute alle imprese. Tanto per cominciare un accesso al credito bancario non misurato individualmente, ma quantificato complessivamente sul numero dei membri, seguendo parametri d’affidabilità esigenti e progressivi: garanzia di stabilità nel tempo, prospettiva di crescita quantitativa delle nascite, previsione fruttifera in termini di servizi rendibili alla comunità. Non si capisce perché le aziende godano di aiuti fondati sulla qualità, e le famiglie, invece, non possano beneficiare di medesimi criteri di fiscalizzazione e liquidità.
Alla fine, bisogna decidere. O si ritiene che la famiglia sia irrilevante dal punto di vista sociale, e allora non se ne parli proprio. Oppure, se si considera determinante puntare sul principale nucleo naturale e costituzionale di rapporti umani, allora si punti conseguentemente sul massimo che si può raggiungere. Il resto è vuota retorica o benemerita assistenza, non politica familiare. D’altronde, i partiti e le coalizioni, se vogliono, possono pure continuare a scegliere il contrario, non restando stupiti però della disaffezione dei cittadini, e della poca partecipazione e affluenza al voto degli elettori.

Benedetto Ippolito da Avvenire