La Chiesa nell’agorà dell’opinione pubblica. Che fare? Adeguarsi agli orientamenti della maggioranza degli italiani nella speranza, o nell’illusione, di raggranellare consensi e riempire le chiese? Oppure tirare avanti con noncuranza ribadendo la solita salda dottrina, a prescindere dal consenso, dal dissenso, dall’indifferenza dell’opinione pubblica? Nando Pagnoncelli, “scienziato” dell’opinione pubblica e attento osservatore della Chiesa, di fronte al dilemma così impostato probabilmente sorriderebbe. La sua posizione sfugge ai facili schematismi. E probabilmente è l’unica non solo ragionevole, ma anche fedele al Vangelo. Nando Pagnoncelli – da cinque anni presidente e amministratore delegato di Ipsos, dopo vent’anni passati ad Abacus – dialoga con Mauro Broggi nel libro-intervista Le opinioni degli italiani non sono un’opinione (La Scuola, pagine 144, euro 9,30) affrontando soprattutto il tema dei sondaggi politici e della politica nei confronti dell’opinione pubblica, per concludere con un denso, efficace e schietto capitolo sulla Chiesa. La prima osservazione è di quelle che fanno tirare un sospiro di sollievo.

Ciò che da tempo scriviamo per averlo “annusato”, lui lo sottoscrive in virtù delle sue ricerche. La cosiddetta “ingerenza” non esiste. Ma esiste una colossale contraddizione: «È chiarissima – afferma Pagnoncelli – la contraddittorietà di fondo dell’opinione pubblica, cattolica e non, e della politica italiana di fronte ai pronunciamenti della Chiesa. Contraddittorietà totale, lo abbiamo visto a proposito di tanti temi, dall’immigrazione alle ronde, ai rom, alla sicurezza, nelle vicende Welby, Englaro, ecc.: “La Chiesa deve stare zitta” quando dice qualcosa che non condivido; “Come ha detto la Chiesa”, invece, quando sostiene ciò che anch’io penso». Pagnoncelli non si stupisce che si possa essere in disaccordo con la Chiesa, ci mancherebbe altro. Discuterne analisi e diagnosi fa parte del gioco democratico e contribuisce a “costruire” l’opinione pubblica. A stupirlo è che si neghi alla Chiesa il diritto di esprimere opinioni: «Questa è una contraddittorietà che a mio parere va risolta: non si può accettare o rifiutare secondo la propria convenienza non i contenuti, ma la liceità di esprimersi della Chiesa. Oppure imporle limiti d’espressione, come quando si sente affermare che “la Chiesa può parlare solo su temi etici”. E quando il tema etico riguarda direttamente un provvedimento di legge?».

L’intervista fa giustizia di tanti luoghi comuni. Nonostante le campagne di disinformazione e denigrazione, due italiani su tre manifestano fiducia nei confronti della Chiesa, fiducia che per il 45 per cento è “molta”. Eppure tantissimo è ancora da fare sul piano educativo. Il voto, per esempio: il 51 per cento dei cattolici praticanti vota per il centrodestra e il 32 per il centrosinistra, ma senza motivazioni diverse dai non praticanti. Per capirci, la questione etica è marginale al momento del voto: vita e aborto sono il tema più importante per appena il 5,8 per cento dei cattolici assidui e il 2,3 dei santuari. Potremmo dire che il voto dei cattolici non è un “voto cattolico”: la fede rimane ai margini. Né i credenti sentono il bisogno di un “partito cattolico”. Ma qui scatta una dissonanza. Spiega Pagnoncelli: «In tutte le fasce in cui abbiamo diviso i cattolici (impegnati, praticanti, praticanti saltuari e non praticanti) prevale percentualmente l’opinione che non ci siano oggi in Italia forze politiche che più di altre rappresentino i valori dei cattolici italiani. Pensa il contrario, invece, la maggioranza dei non credenti».

Non deve stupire, quindi, che tra i cattolici prosperi il fai-da-te, consistente in una forte dimensione individuale di relazione con la Chiesa e in un indebolimento notevole dell’aspetto più comunitario e di magistero. E che una quota ragguardevole di credenti si dicano “attenti ma non vincolati” alle indicazioni del magistero. E il dilemma iniziale? E il confronto con l’opinione pubblica? «Penso – risponde Pagnoncelli – che la Chiesa non debba cercare il consenso attraverso la misurazione dell’opinione pubblica interna o esterna ma, attraverso strumenti adeguati, debba comprendere il comune sentire, verificare la sintonia, l’empatia rispetto ad alcuni temi. Debba misurare il livello di conoscenza, anche comprendere le argomentazioni che le si oppongono, o quale sia il pregiudizio nei suoi confronti. La consapevolezza del fatto che l’opinione pubblica vada in una direzione diversa è importante per la Chiesa non per inseguire quest’opinione prevalente, ma per relazionarsi con essa, per trovare chiavi di dialogo».


Umberto Folena da Avvenire