Prosegue il dibattito sulla legalizzazione

di Padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 19 luglio 2009 (ZENIT.org).- Il traffico della droga e i connessi problemi di criminalità organizzata e di corruzione continuano a rappresentare un grave problema. Il 24 giugno l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODOC) ha pubblicato l’edizione 2009 del suo annuale Rapporto mondiale sulla droga.
Il Rapporto mostra che il mercato globale della cocaina, degli oppiacei e della marijuana è in costante diminuzione. Per contro si stima in aumento nel mondo sviluppato la produzione e l’uso delle droghe sintetiche.

La coltivazione dell’oppio in Afghanistan, la fonte di più del 90% dell’oppio mondiale, si è ridotta del 19% nel 2008, secondo l’UNODC. La Colombia, che produce circa la metà della cocaina venduta nel mondo, ha registrato un simile declino di coltivazione, pari al 18%. Secondo il Rapporto, la produzione globale di coca è in calo da cinque anni consecutivi, nonostante alcune coltivazioni in Perù e Bolivia siano aumentate.

“Il mercato globale della cocaina, del valore di 50 miliardi di dollari, si sta incrinando”, ha affermato Antonio Maria Costa, Direttore esecutivo di UNODC, presentando il Rapporto a Washington.

“I livelli di purezza e le quantità confiscate (nei principali Paesi consumatori) sono in calo; i prezzi sono in aumento e le tipologie di consumo sono in mutamento. Questo può aiutare a spiegare la terribile esplosione di violenza in Paesi come il Messico. I cartelli dell’America centrale sono in lotta per mantenere un mercato in calo”, ha affermato.

Riguardo alla marijuana, la droga più coltivata e consumata al mondo, il Rapporto ammette che mentre nei maggiori mercati i dati sul suo consumo sono costanti, vi è incertezza per i Paesi in via di sviluppo.

L’UNODC aggiunge che, dalla ricerca risulta che la marijuana sia più dannosa di quanto non si possa comunemente credere. Il tasso medio di THC (la sostanza attiva) contenuta nella marijuana idroponica del Nord America è quasi raddoppiato nel corso dell’ultimo decennio. Questo ha notevoli implicazioni sulla salute, come evidenziato dal significativo aumento nel numero delle persone che si sottopongono a cure, afferma il Rapporto.

Per quanto riguarda le droghe sintetiche – anfetamine, metanfetamine e ecstasy – il rapporto rileva che i dati sono contrastanti. Il loro uso si è livellato tra i Paesi sviluppati. Nel mondo in via di sviluppo, il timore è che la produzione e il consumo possano crescere, ma i dati statistici affidabili sono scarsi.

Tuttavia è noto che esistono laboratori di dimensioni industriali in Asia sudorientale che producono quantità massicce di compresse di metanfetamine, crystal meth e altre sostanze come la ketamina, osserva il Rapporto.

Mercato nero

Costa ha rilevato che esiste oggi un mercato nero di enormi proporzioni. Tuttavia ha respinto l’idea che la legalizzazione delle droghe possa rappresentare una soluzione al problema.

“Le droghe illecite sono un pericolo per la salute. Per questo le droghe sono e devono rimanere sotto controllo”, ha sostenuto.

“Le società non devono essere costrette a scegliere tra la tutela della salute e la tutela della sicurezza pubblica: si può e si deve fare entrambe le cose”, ha dichiarato. Piuttosto che legalizzare occorrerebbe stanziare più risorse per la prevenzione e la cura della tossicodipendenza e attuare misure più efficaci per combattere il crimine legato alla droga.

Questo non convince i fautori della legalizzazione. Le pagine editoriali del Wall Street Journal del 25 aprile hanno ospitato un dibattito tra opinioni divergenti sull’argomento. Steven B. Duke, professore di diritto della Yale Law School, si è dichiarato favorevole alla legalizzazione.

La sua tesi era che la depenalizzazione del possesso e dell’uso di marijuana porterebbe all’erario entrate miliardarie e eliminerebbe anche una fonte di violenza e di spargimento di sangue in Messico.

Duke ha paragonato la situazione attuale, al proibizionismo degli Stati Uniti negli anni ’20. “L’unica soluzione duratura contro gli omicidi tra cartelli, nel Messico, è di legalizzare le altre droghe che abbiamo trascurato quando nel 1933 abbiamo abolito il proibizionismo”, ha affermato.

Di avviso contrario è John P. Walters, vicepresidente del Hudson Institute e direttore dell’Office of National Drug Control Policy dal 2001 al 2009 sotto la Presidenza di George W. Bush.

Nessun rilassamento

Walters ha precisato che il progresso ottenuto in Colombia dimostra chiaramente che è possibile ridurre la produzione di droga. Egli ha anche sostenuto che la storia insegna che un allentamento delle restrizioni porta ad un maggiore abuso e a più dipendenza.

Egli ha osservato che la vigente normativa sugli stupefacenti è nata in risposta alla grande diffusione della droga e della violenza alla fine del XIX secolo. A quel tempo l’accesso ai medicinali a base di oppio e cocaina era libero. Come conseguenza di questa accessibilità vi sono stati circa 250.000 persone sotto dipendenza da oppiacei negli Stati Uniti, su una popolazione di 70 milioni.

Contro la droga si è espresso anche un’editorialista del quotidiano Australian, Miranda Devine, in alcuni recenti articoli. Scrivendo sul Sydney Morning Herald del 23 maggio, ha citato ex tossicodipendenti che criticano le politiche di riduzione del danno che lasciano indefinitivamente al metadone i dipendenti da eroina.

Devine ha invece sostenuto i trattamenti di disintossicazione che liberano i drogati dalla dipendenza.

Il 20 giugno, la stessa Devine è tornata sull’argomento mostrando l’esempio della Svezia in cui si è riusciti a vincere la guerra contro la droga. Da un Paese tra i più permissivi, la Svezia ha cambiato radicalmente registro penalizzando la droga e obbligando i drogati a disintossicarsi.

In esito a questa politica, l’uso di droga in Svezia è notevolmente diminuito rispetto al resto dell’Europea dove vengono poste in atto politiche più permissive. Devine ha poi citato lo European School Survey Project On Alcohol And Other Drugs report del 2007, secondo cui, solo il 2% degli studenti svedesi tra i 15 e i 16 anni aveva fumato cannabis nei 30 giorni precedenti, rispetto al 20% della Spagna e al 18% della Repubblica ceca.

L’ultimo Rapporto dell’UNODC sostiene anch’esso che l’uso della droga deve rimanere illecito. In molte aree della cooperazione internazionale si registrano risultati contrastanti, osserva il Rapporto. Per esempio, la lotta alla povertà molte volte fallisce, ma solo quando si arriva al tema della droga vi sono pressioni per abbandonare ogni sforzo.

Più morti

Il Rapporto osserva che le sostanze legali che creano dipendenza sono causa di molti più morti all’anno rispetto alle sostanze illegali. Infatti, si stima che circa 500 milioni di persone, oggi vive, moriranno a causa del tabacco. Questa differenza di mortalità non deriva dal fatto che le sostanze lecite siano farmacologicamente più dannose di quelle illecite, ma dal semplice fatto di essere legali e quindi più disponibili, sostiene il Rapporto.

Pertanto, se attualmente le sostanze illegali fossero legalizzate, la loro diffusione sicuramente aumenterebbe, per raggiungere magari i livelli delle sostanze lecite, provocando un notevole aumento della mortalità.

Il Rapporto osserva inoltre che la legalizzazione delle droghe avrebbe un impatto devastante sulle nazioni in via di sviluppo. Attualmente le popolazioni dei Paesi più poveri non si possono permettere l’acquisto di droghe illecite, proprio perché sono vietate. La loro legalizzazione le renderebbe più economiche, provocando un aumento enorme del loro consumo in quei Paesi. Attualmente si registra un problema simile per quanto riguarda il tabacco. Le politiche sanitarie e le restrizioni sulla pubblicità hanno ridotto il consumo di tabacco nei Paesi occidentali, mentre nei Paesi in via di sviluppo i livelli di consumo sono ancora molto elevati.

Nel 2030, più dell’80% dei decessi da tabacco si concentrerà nei Paesi in via di sviluppo, secondo l’UNODC. “Questi Paesi non sono in grado di sostenere il peso della malattia. E sono ancora meno in grado di poter rinunciare a una parte della forza lavoro a causa di forme di dipendenza più immediatamente debilitanti”, avverte il Rapporto.

Alcuni sostengono che i costi derivanti dal controllo del narcotraffico siano maggiori dei benefici, osserva il Rapporto. Questo è un falso dilemma, secondo l’UNODC, ed è anzi urgente che la comunità internazionale si impegni maggiormente sul controllo del traffico di stupefacenti e sulla riduzione della violenza e della corruzione ad esso associati.

“Occorre progredire contemporaneamente sia nella lotta alla diffusione degli stupefacenti, sia nel contrasto alla criminalità”, conclude il Rapporto. Certamente non è un cammino facile, ma tutti gli elementi lo indicano come la via migliore per arginare la piaga della droga.